Guerra civile in Sudan: 250 morti e 65mila sfollati per i combattimenti a sud del Paese
Non si placa l'escalation di violenza in Sudan, dove dallo scorso luglio è esplosa una guerra civile nella regione meridionale del "Nilo Azzurro". Il conflitto tra il popolo Berta e la comunità Hausa è scoppiato per il controllo di alcuni territori rurali nel sud del Paese, al confine con l'Etiopia. Secondo quanto riferito dalle Nazioni Unite, è di circa 250 morti e oltre 500 feriti il bilancio della strage causata dai combattimenti occorsi nell'area di Wad al-Mahi nelle ultime due settimane.
"È semplicemente straziante vedere donne e bambini camminare per ore, costretti a rifugiarsi nelle scuole. Molti di loro sono malati di malaria, quindi abbiamo dovuto chiedere agli abitanti donazioni di zanzariere. Come ministero, non abbiamo risorse sufficienti per ottenerle", ha riferito al Guardian Gamal Nasser al-Sayed, massima autorità del ministero della salute nelle provincia meridionale del Paese.
Secondo alcuni dati diffusi dalle Nazioni Unite, inoltre, sono circa 65mila le persone in fuga dalla regione da inizio ottobre. Persone che hanno dovuto lasciare le loro case, distrutte dalla violenza armata. Uno di questi è Abdo Yassen, 37 anni, un impiegato del governo scappato dal suo villaggio con la moglie e il figlio:
Quando gli aggressori sono venuti con le mannaie per uccidere i civili del nostro villaggio, hanno tagliato la gamba a un uomo. Poi sono arrivati altri uomini armati di pistole che hanno bruciato le nostre case. Non ci è rimasto più niente, dovevamo semplicemente scappare.
Tramite una nota il segretario generale dell'Onu, António Guterres, ha invocato un "cessate il fuoco" nell'area interessata dal conflitto e ha invitato il governo a condurre un'inchiesta indipendente per identificare i responsabili del massacro.
L'esortazione del numero uno delle Nazioni Unite non è stata ignorata: un portavoce dell'esercito sudanese ha riferito al Sudan Tribune che il comandante della provincia del Nilo Azzurro è stato rimosso dal suo incarico a seguito di un'indagine interna.
Le ragioni del conflitto
Come riporta Al Jazeera, gli esperti sostengono che l'instabilità politica e la violenza tribale al confine tra il Sudan e l'Etiopia sono aumentati in seguito al colpo di stato militare guidato dal generale Abdel Fattah al-Burhan nell'ottobre 2021: il golpe avrebbe creato un vuoto istituzionale nella regione, che a sua volta avrebbe favorito la rinascita delle ostilità in un paese dove esplodono regolarmente guerre civili per le terre, il bestiame e le fonti d'acqua.
In particolare, l'agricoltura in Sudan impiega circa il 43% della forza lavoro e rappresenta un buon 30% del PIL nazionale. Inoltre, secondo le stime della Banca Mondiale, gli allevamenti impiegano almeno 26 milioni di persone in tutto il Paese: lo riporta il World Food Program dell'Onu.
La protesta contro il governo un anno dopo il golpe
Mentre le fazioni opposte della politica sudanese si accusano a vicenda di sostenere la guerra civile, nel Paese regna il caos: i combattimenti nella regione del Nilo Azzurro hanno esacerbato ulteriormente le proteste dei civili contro il governo di Khartoum. Lo scorso 3 ottobre, i manifestanti hanno dato fuoco agli uffici governativi della città di Damzin.
Ieri, nel giorno dell'anniversario del golpe, i disordini sono stati ancora protagonisti nella capitale e in altre 18 città del Paese: migliaia di manifestanti anti-golpisti hanno marciato nelle strade e nelle piazze, invocando un ritorno alla democrazia. Le autorità hanno risposto con proiettili e gas lacrimogeni nel tentativo di disperdere le folle.
A Khartoum, dove il governo ha bloccato i ponti e impedito l'accesso a internet, un veicolo della polizia ha investito e ucciso un manifestante di 20 anni: Abdel Wahab. Il Comitato centrale dei medici sudanesi (CCS) ha confermato per primo la morte del ragazzo e ha contestato la violazione della neutralità dei presidi sanitari da parte delle forze dell'ordine.
Ad alimentare il dissenso popolare, contribuiscono l'inflazione e la carenza di cibo: a un anno di distanza dall'insediamento dei militari al potere – riferisce il World Food Program – in Sudan il prezzo medio dei generi alimentari è salito del 137% e circa un terzo della popolazione civile (il 50% in più rispetto al 2021) soffre la fame.