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Gli USA in guerra tra religioni – Se la politica non è laica, arrivano i mostri

Maometto ridicolizzato da un film finanziato da integralisti ebraici e cristiani. l’Islam insorge. Quattro cittadini statunitensi vengono uccisi. Gli USA trattano e preparano navi da guerra. Ecco perché la politica dovrebbe votarsi alla laicità.
A cura di Anna Coluccino
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Una guerra (o anche solo la minaccia della guerra) a due mesi dalle elezioni non rientra nel disegno della campagna elettorale perfetta. Questo è bene che sia chiaro. Nessuno, tanto meno in piena crisi, ha voglia di sapere che il proprio governo dovrà impegnare milioni e milioni di dollari per affrontare un conflitto (soprattutto se ne esistono diversi ancora in corso…). Nessuno che non sia strettamente connesso all'industria bellica, ovviamente. È bene considerare, inoltre, che mai come in questa fase della storia, il partito dei né-repubblicani-né-democratici va ingrossandosi, va assumendo piena coscienza di sé, va definendo precisi contorni politici e non è più – semplicemente – il partito del disimpegno, dell'indifferenza o (al contrario) della contestazione militante. È il partito di chi – apertamente – invita a riflettere sulla sostanziale uniformità delle proposte repubblicane e democratiche, del loro essere asservite alle medesime logiche corporativiste, alla stessa dittatura finanziaria – diverse solo nell'aspetto ma non nella sostanza; di chi sostiene che nessuna delle due formazioni abbia realmente a cuore quel 99% di esseri umani che da mesi viene chiamato in causa da moltissimi movimenti. È quindi in questo bacino elettorale che Obama non riesce più ad attecchire, e la minaccia di un nuovo conflitto non lo aiuta affatto. Tutt'al più potrebbe tornare utile a Mitt Romney che, però, tra gli ultraconservatori gode già di un'ottima percentuale di consensi. D'altro canto è pur vero che – proprio nel corso della campagna elettorale che ora vede Barck Obama in vantaggio su Romney –  le accuse più scomode e ficcati per l'attuale presidente sono state quelle mossegli circa la sua debolezza nell'affrontare la questione mediorientale e il suo troppo timido appoggio a Israele. Quindi, stretto tra la necessità – da un lato – di continuare ad essere  simbolo di un cambiamento e – dall'altro – di essere all'altezza del nazionalismo statunitense e dello strettissimo rapporto politico-economico instaurato con Israele, Barack Obama si trova a dover fronteggiare l'assassinio di un ambasciatore e tre cittadini statunitensi in Libia, nonché le accese proteste che cittadini egiziani e yemeniti mettono in scena in queste ore davanti alle rispettive ambasciate USA. Tutto a causa di un film. Un film che mostra il profeta mussulmano Maometto nelle vesti di un sanguinario Don Giovanni, mandante di orribili crimini: L'innocenza dei mussulmani.

Che c'entra Israele?

Il film in questione, diretto da tal Sam Bacile, è ritenuto altamente offensivo delle credenze islamiche ed è stato perciò fortemente contestato dai mussulmani. Stando al racconto filmico, Maometto è un donnaiolo, leader di un gruppo di spietati criminali autore dei delitti più efferati. Semplice satira, potrebbe affermare qualcuno, ma in realtà la situazione è molto più complicata di così. E lo è soprattutto perché, nella produzione del film – di cui esistono solo estratti caricati su Youtube, dai quali si evince una bassissima qualità tecnica e artistica – compaiono nomi ultra-reazionari legati al fondamentalismo religioso ebraico. In teoria, il film racconta di una specifica situazione nazionale (le tensioni tra i cristiani-copti e mussulmani in Egitto) ma la comunità copta egiziana non sembra essere coinvolta direttamente nella produzione del film. C'è poi un'altra questione: la pellicola compare a firma di un certo Sam Bacile, pseudonimo a cui alcune tra le migliori intelligence del mondo non sono ancora riuscite a dare un volto ma che, secondo le dichiarazioni ufficiali, si riferisce a un "ebreo israeliano" che rivendica la sua opera come un atto politico volto a mostrare agli Stati Uniti che "l’Islam è un cancro. Punto".

Tutto chiaro, sembra. E invece no. Perché secondo le ultime notizie, Sam Bacile potrebbe essere uno degli alter-ego di Nakoula Basseley, cristiano copto residente a Los Angeles già condannato per reati finanziari. Basseley ammette di far parte dei produttori ma nega di essere l'autore de L'innocenza dei mussulmani. Nonostante non si abbia alcuna certezza rispetto alla sua identità, Bacile è stato raggiunto telefonicamente ed ha dichiarato che le riprese del film hanno avuto un costo di 5 milioni, che questi fondi sono stati racconti per lo più grazie a "finanziatori ebrei" e che – finora – è stato proiettato una sola volta, ad Hollywood, in una sala quasi vuota. Inoltre, sono in molti ad affermare di conoscere Sam Bacile e di aver finanziato o collaborato al film; tutti sembrano essere apertamente legati ad ambienti caratterizzati dal fondamentalismo religioso cristiano o ebraico. Uno di questi finanziatori pare aver fornito informazioni su Bacile: il suo nome è Steve Klein ed è un fondamentalista cristiano antiabortista. Secondo Klein, Bacile si nasconde per paura che i mussulmani si accaniscano contro alcuni suoi parenti egiziani.

Il ruolo degli USA

Se incerto resta il racconto della genesi di questa vicenda, l'apocalisse pare rivelarsi chiaramente. Il primo obiettivo della protesta sono state le ambasciate USA: prima il Cairo viene infiammato dalle proteste di duemila salafiti che scandiscono uno slogan chiarissimo: "Se la vostra libertà di espressione non ha limiti, dovrete accettare la nostra libertà di azione"; poi  in Libia muoiono l'ambasciatore e tre cittadini statunitensi; in queste ore in Yemen e in Egitto le ambasciate USA sono bersaglio di pietre e molotov, i militari rispondono con gas e sparando colpi in aria, i manifestanti incendiamo auto, già si parla di feriti. Intanto, l'ombra del conflitto religioso si affaccia anche in Europa dove – a Berlino – l'ambasciata USA è stata evacuata in seguito alla consegna di un pacco bomba. Per il momento, pur dichiarando di trattare con i governi mediorientali per una risoluzione il più possibile pacifica e pur condannando "le azioni di chi abusa del diritto universale di espressione per ferire i sentimenti religiosi di altri credenti", Barack Obama ha spostato due navi da guerra sulle coste libiche. Su tutto troneggia il fantasma di Al-Qaeda che, proprio nei giorni dell'anniversario dell'11 settembre, torna a proporsi come nemico-pubblico-numero-uno degli USA rivendicando la paternità di alcune proteste.

Il materiale narrativo per immaginare i più perversi complotti e per ridisegnare gli scenari più disparati non manca. Ma quel che occorre domandarsi – a prescindere da qualsivoglia valutazione ideologica – è: cosa ha prodotto il costante, reiterato, indiscriminato, cieco attacco a un credo religioso? Facendo dell'Islam lo spauracchio del male assoluto, gli Stati Uniti si sono resi corresponsabili – agli occhi del mondo islamico – di una campagna d'odio e diffamazione che ha avallato le posizioni integraliste di altri credi religiosi. Gli USA – insomma – hanno più volte manifestato (nelle dichiarazioni e nella pratica politica) di avallare o addirittura promuovere le intemperanze violente e liberticide di alcuni integralismi religiosi, per poi mostrarsi intransigenti fino al tentativo di soppressione nei confronti di altri integralismi. Questo atteggiamento ha fatto sì che – oggi – l'integralismo ebraico-cristiano sia convinto di poter trovare asilo negli Stati Uniti e che l'integralismo islamico riconosca negli USA un amico-dei-nemici. Al di là di qualsiasi ricostruzione storiografica dei fatti che hanno innescato gli scontri, è questa la questione centrale: ogni qual volta la politica si incontra o si scontra con la religione, e anche se la religione non rappresenta che un pretesto all'interno di ampi e complesse manovre politiche, l'effetto non può che essere devastante. Se infatti di nulla si può accusare l'individuo che sceglie di vivere la propria esistenze all'insegna di un qualsiasi sistema di fede, non è in alcun modo possibile che uno stato, un governo, un sistema politico abbracci o solletichi sentimenti religiosi. I dogmi sono la nemesi di ogni processo razionale (la buona politica esige logicità),  le fedi cieche sono nemiche di ogni forma di evoluzione (la buona politica ha la necessità di dubitare per poter offrire risposte nuove alle esigenze dell'umanità): la laicità della politica – e non solo dello stato, dei governo, ma dell'intera scienza politica – è una condizione indispensabile, non negoziabile, inalienabile, irrinunciabile. La politica è laica o non è. E gli USA, che forse sanno qualcosa in più di molti rispetto a cosa significa "libertà di espressione", hanno ancora molto da imparare sulla questione della "laicità". Così come i loro nemici-pubblici-numero-uno.

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