Buongiorno principesse, sarebbe il caso di dire, parafrasando Roberto Benigni. Perché finalmente Marine Le Pen, e l’opinione pubblica (quasi) tutta si sono accorte di quanto Alternative für Deutschland, che solo pochi mesi fa planava alla corte di Matteo Salvini nella sua adunanze degli alleati in quel di Firenze, sia in realtà una forza politica intrisa fino al midollo di nostalgie, apologie e ideologie neonaziste.
Buongiorno, perché forse nemmeno serviva l’accorata giaculatoria in favore delle SS che l’eurodeputato tedesco Maximilian Krah ha dettato alla giornalista Tonia Mastrobuoni, dopo le riunioni in cui si discuteva di deportazioni di massa di tutti i non tedeschi puri dalla Germania. O dopo che Bjorn Hocke, leader dell’ala più estrema di Afd e prossimo più che possibile governatore della Turingia, ha più volte parlato di una Germania che deve scrollarsi di dosso il complesso di colpa della Shoah, tanto da far dire al giudice di un tribunale che dargli del nazista non è diffamatorio.
Tuttavia, mentre Marine Le Pen – che tutti i sondaggi danno favorita per diventare la prossima presidente francese, nel 2027 – liquida il suo ingombrante e impresentabile alleato teutonico, sarebbe opportuno pure che la sua amica-nemica Giorgia Meloni, leader dei Conservatori e Riformisti Europei, la famiglia di destra che si contrappone alla lepeniana (e salviniana) Identità e Democrazia, guardasse pure agli alleati di casa propria. Che sono pari, se non peggio, dei neonazisti di AfD.
Partiamo dalla Spagna e da Vox dell’amico Santi Abascal, delle cui adunate (buon ultima quella di domenica scorsa) Giorgia Meloni è ospite d’onore. Un partito il cui fondatore e attuale capogruppo al Parlamento Europeo si chiama Jorge Buxadé, che nel 1995 si è candidato per la Falange Spagnola delle Jons, un movimento dichiaratamente neofascista. O il cui prossimo candidato a sindaco di Madrid risponde al nome di Javier Ortega Smith, anche lui falangista. Ancora: un partito che nega – l’ha fatto la sezione di Valencia quattro anni fa, in occasione del 75esimo anniversario della liberazione di Auschwitz, le discriminazioni nazi-fasciste nei confronti delle persone omosessuali. E che per bocca del suo stesso leader, a proposito di genocidi, invita i propri connazionali a essere orgogliosi dell’hispanidad e della colonizzazione del Sud America, “uno dei più grandi fattori di civilizzazione della storia dell’umanità”.
Non c’è solo la Spagna, però. Valichiamo i Pirenei e rechiamoci in Francia dove Meloni si è alleata con Reconquête, il partito guidato dall’ormai ex polemista televisivo Eric Zemmour. Il quale ha nel suo programma la promessa di una società a “immigrazione zero”, il rimpatrio forzato di tutti i migranti irregolari, la messa fuorilegge delle organizzazioni islamiche e il divieto di costruire nuove moschee sul suolo francese.
E se proseguiamo ancora verso nord, più precisamente verso Stoccolma, troviamo tra gli alleati di Giorgia, pure i Democratici Svedesi, che nonostante il rassicurante anemone giallo e blu che campeggia sul loro simbolo, sono un partito che è stato co-fondato da Gustav Ekstrom, arruolatosi come volontario delle SS nel 1942 e poi distaccato nello stesso ufficio in cui Heinrich Himmler pianificava la soluzione finale della questione ebraica. Un partito che, oggi, garantisce appoggio esterno al governo di destra svedese che ha cancellato il ministero dell’ecologia, proposto l’identificazione tramite prelievo del Dna dei migranti che arrivano sprovvisti di documenti e promosso l’adozione di un canone culturale che bandisca dalle scuole autori stranieri o di origine straniera.
A est, infine, ci sono i due più fulgidi esempi di autocrazia europea. La Polonia del PiS, sconfitto alle urne dopo dieci anni, per aver proposto e pianificato di rendere illegale ogni interruzione di gravidanza, anche quelle figlie di stupri, incesti o in cui è in pericolo la salute della donna. Un partito, che nella sua lunga esperienza di governo, ha assunto posizioni negazioniste rispetto alle responsabilità polacche sulla Shoah, ha posto limiti temporali al recupero dei beni confiscati dai nazisti agli ebrei e ha ostacolato in ogni modo l’indipendenza della magistratura e degli organi di stampa.
L’Ungheria di Viktor Orban, infine, che di Giorgia Meloni dovrebbe diventare alleata dopo le elezioni europee del prossimo giugno, esempio perfetto di come si realizza un’autocrazia elettorale, cambiando la costituzione, la legge elettorale, ridisegnando i collegi in favore del partito di maggioranza, mettendo sotto controllo della politica la Corte Costituzionale, la magistratura e la stampa, che oggi è per quasi la metà nelle mani di una fondazione che si chiama Kesma ed è guidata da oligarchi più che amici del primo ministro ungherese.
Ci fermiamo qua, per ora. Ma è abbastanza perché anche Giorgia Meloni, così come Marine Le Pen, si svegli dal suo torpore e comincia a rendersi conto che anche la sua alleanza di patrioti e conservatori e piena zeppa di alleati e partiti che definire imbarazzanti, per chi si pone come una forza (quasi) moderata che vuole entrare nella stanza dei bottoni europea, è più che un eufemismo.
Ammesso e non concesso, s’intende, che Giorgia Meloni, non la pensi esattamente come loro.