video suggerito
video suggerito

Gisèle Pelicot, la figlia Caroline Darian a Fanpage: “Così mio padre ha mandato in frantumi una famiglia”

Per 10 anni Gisèle Pelicot è stata drogata a sua insaputa dal marito Dominique e abusata da decine di uomini. Il suo caso ha scosso la Francia e tutto il mondo. L’intervista di Fanpage.it alla figlia Caroline: “Ho provato un senso di tradimento, una grande vergogna e tanta collera contro mio padre. Questa è la storia di una famiglia che è stata mandata in frantumi”.
Intervista a Caroline Darian
Figlia di Gisèle Pelicot e autrice del libro "E ho smesso di chiamarti papà"
A cura di Eleonora Panseri
97 CONDIVISIONI
Caroline Peyronnet, 46 anni, (a sinistra - Foto Fanpage.it), figlia di Gisèle Pelicot e autrice del libro "E ho smesso di chiamarti papà" (edito in Italia da Utet).
Caroline Peyronnet, 46 anni, (a sinistra – Foto Fanpage.it), figlia di Gisèle Pelicot e autrice del libro "E ho smesso di chiamarti papà" (edito in Italia da Utet).

Erano le 20.25 di un lunedì del novembre 2020 quando Caroline Peyronnet ha ricevuto da sua madre la telefonata che le ha sconvolto la vita. Quando Gisèle Pelicot le ha raccontato di aver scoperto di essere stata drogata per 10 anni a sua insaputa dal marito Dominique e fatta abusare da decine di altri uomini reclutati su internet.

Dominique, suo padre, l'uomo che l'aveva cresciuta. Il caso degli stupri di Mazan ha scosso tutto il mondo e in Francia ha contribuito a riaprire il dibattito sulla violenza di genere e sulla "sottomissione chimica", la pratica di utilizzare sostanze per rendere le vittime di abusi incapaci di reagire.

Nel computer di Dominique Pelicot sono state trovate più di 20mila foto e video delle violenze, durante le quali la moglie era priva di conoscenza poiché drogata a sua insaputa. Tra queste sono state trovate anche immagini della figlia Caroline sedata e nuda.

Le indagini sono durate due anni e il processo contro gli aguzzini della madre si è concluso lo scorso dicembre con la condanna di Dominique Pelicot a 20 anni di carcere. Con lui altri 50 uomini di età compresa tra 27 e 74 anni sono stati dichiarati colpevoli e condannati a pene tra i 3 e i 15 anni.

Caroline Peyronnet ha deciso di raccontare la sua storia e quella della madre in un libro, "E ho smesso di chiamarti papà", pubblicato con il nome d'arte Caroline Darian (il cognome è l'unione dei nomi dei suoi due fratelli, ndr) edito da Utet e uscito in Italia pochi giorni fa.

Fanpage.it ha incontrato e intervistato l'autrice a Milano, durante la presentazione del suo memoir al Teatro Franco Parenti.

Caroline Peyronnet, in arte Caroline Darian, alla presentazione del suo libro al teatro Franco Parenti di Milano.
Caroline Peyronnet, in arte Caroline Darian, alla presentazione del suo libro al teatro Franco Parenti di Milano.

Cosa ha provato quando ha scoperto quello ha fatto suo padre, Dominique Pelicot, a sua madre e a lei?

Ho provato un grande senso di tradimento, tremendo, di una grande vergogna e tantissima collera. Ci siamo chieste come abbiamo potuto amare una persona che effettivamente era diabolica.

Lei e sua madre ricordate qualcosa?

Non ricordo assolutamente nulla di ciò che è accaduto e nemmeno mia madre ricorda quello che ha subito per 10 anni. E questo può far immaginare le dosi massicce che le venivano somministrate.

Lei è riuscita a spiegarsi perché suo padre abbia fatto una cosa del genere? 

Credo che mio padre provi un grande odio nei confronti delle donne e che abbia una devianza sessuale che tuttavia non risale a ieri, ma a tanti anni fa. Lui è riuscito a nascondere e dissimulare molto bene, anche se alla fine tutto questo è venuto fuori.

Oggi Dominique Pelicot è incriminato anche per altri casi, uno di stupro, un tentato stupro e un omicidio. Lei cosa pensa di tutto questo?

Penso che con lui ogni cosa sia possibile.

Il processo si è chiuso, lui e i suoi complici sono stati condannati. Cosa pensa delle sentenze?

Credo che le pene inflitte non siano all'altezza dei crimini che sono stati perpetrati nei confronti di mia madre. Per quanto riguarda Dominique, sì, perché ha preso la pena massima, ma non per gli altri.

Perché ha deciso di scrivere questo libro? 

Ho voluto scrivere immediatamente dopo i fatti per cercare di capire che cosa era successo perché avevo delle difficoltà ad assimilare tutto questo. La scrittura è stata la forma che mi ha consentito di metabolizzare e di mettere le distanze rispetto a ciò che ha fatto mio padre. Sono riuscita a decifrare e decriptare quanto successo.

E ho pensato anche che questo libro potesse dare un messaggio per prevenire e far conoscere meglio un fatto sociale come la "sottomissione chimica", che non è così conosciuto e che io stessa non conoscevo bene. Quindi, l'obiettivo era duplice.

Lei oggi è un'attivista che si batte contro la "sottomissione chimica", cosa vorrebbe dire alle donne che hanno il sospetto di esserne vittime?

Se c'è un dubbio bisogna agire subito e naturalmente recarsi presso un luogo dove si possa fare un prelievo. Non so come funzioni in Italia, ma in Francia viene prelevato un capello e analizzato per capire quali siano le sostanze che sono state somministrate all'insaputa di una persona.

Se le donne hanno questo dubbio, devono fidarsi della loro intuizione e raccontare le proprie sensazioni a una persona di fiducia, poi sporgere denuncia. Senza di questa non si può fare nulla. Le donne devono imparare a fidarsi di se stesse sempre di più, la loro intuizione ha un valore inestimabile.

Sua madre, Gisèle, è diventata un simbolo per la sua scelta coraggiosa di esporsi in un processo a porte aperte. Cosa vi resta di quest'esperienza?

Non voglio parlare al posto di mia madre, so che ha un progetto e a tempo debito anche lei racconterà la sua storia. Devo sottolineare però il suo coraggio, specialmente durante i quattro mesi di processo.

Inoltre, non voglio che venga dimenticata una cosa: che questa è la storia di una famiglia che è stata mandata in frantumi e di un processo che ha avuto un impatto profondo anche su noi figli.

Il problema della violenza di genere dovrebbe coinvolgere tutti ma spesso non tutti gli uomini sentono che questa è una cosa che li riguarda. Qual è il messaggio che vorrebbe lanciare loro?

Agli uomini "normali", che possono offrire sostegno, voglio dire che hanno un esempio da dare e che hanno un ruolo importantissimo nella società e nel loro ambiente. Hanno un ruolo primario ma oggi sono troppo invisibili, devono parlare di più per sostenere le donne.

Non è un problema che riguarda soltanto loro, anche gli uomini sono coinvolti e lo sono anche le prossime generazioni, i loro figli. Quindi, che parlino, devono e possono fare di più.

97 CONDIVISIONI
autopromo immagine
Più che un giornale
Il media che racconta il tempo in cui viviamo con occhi moderni
api url views