Giovani russi in aiuto degli ucraini: “Noi in fuga dal regime salviamo chi scappa dalla guerra”
Sono circa 400 in tutto il mondo, la maggior parte russi espatriati, tutti russofoni. Dal 24 febbraio la loro vita è davanti allo schermo dello smartphone o del computer per aiutare la popolazione ucraina a fuggire dalla guerra. Si chiama “Helping to leave” il progetto creato dalla giornalista Anastasiya Zaviyalova e da alcuni giovani attivisti per mettere in salvo chi in queste settimane si trova nei territori colpiti dalla guerra. Il sistema funziona attraverso un canale Telegram, che oggi conta quasi 90mila iscritti, e un chatbot dedicato: i volontari raccolgono le richieste di aiuto e forniscono informazioni per raggiungere luoghi sicuri. Fanpage.it ha parlato con due di loro, Alina e Irma.
Come è nato il progetto?
Alina: “Partiamo dall'inizio. Lo scorso 24 febbraio eravamo tutti sotto shock. La mattina del 25 una nostra amica giornalista, insieme ad altre persone, ha creato il canale Telegram ‘Helping to leave' (Aiutiamo ad andare via, ndr), attraverso il quale alcuni volontari hanno cominciato a pubblicare informazioni per tutti coloro che volevano lasciare l'Ucraina e scappare dalla guerra. Le persone hanno iniziato a seguirci e il numero di follower è cresciuto rapidamente, ci siamo quindi resi conto che dovevamo trovare un modo per elaborare un gran numero di casi. Oggi siamo arrivati a circa 1.000 al giorno. Così abbiamo messo in piedi un chatbot e reclutato nuovi volontari”.
Come siete organizzati?
Irma: “Attraverso il chatbot, via Telegram, riceviamo le richieste di evacuazione. Dopo che una persona risponde a diverse domande, viene contattata dall'operatore. Ai volontari, inizialmente una ventina e oggi circa 400, sono assegnati ruoli differenti. Gli operatori, tramite il chatbot, comunicano direttamente con i rifugiati. I supervisori sono iscritti a oltre 300 chat in Telegram, da cui acquisiscono notizie in tempo reale sullo stato delle varie zone dell’Ucraina; i fact checker, infine, verificano le informazioni raccolte dai supervisori. Ad esempio controlliamo sempre i contatti dei conducenti (coloro che trasportano le persone fuori dalle città assediate, ndr), perché, anche in una situazione terribile come la guerra, possono esserci truffatori”.
Come fate a sapere se ci sono corridoi sicuri e come gestite i viaggi?
Alina: “In primo luogo, in Ucraina ci sono le notizie ufficiali nelle chat Telegram delle istituzioni, ma soprattutto tutte le città, anche i paesini più piccoli, hanno creato chat dedicate dove si riuniscono le persone che condividono informazioni per aiutarsi a vicenda. I nostri supervisori sono iscritti a tutte queste chat, ognuno si occupa di un’area precisa”.
Avete una mappa dei combattimenti?
Irma: “Sì, c'è una mappa di dominio pubblico, ma non possiamo basarci solo su quella, infatti incrociamo i dati con le informazioni provenienti dalle varie chat locali. Procediamo così: guardiamo la cartina delle operazioni militari, guardiamo la mappa di Google, confrontiamo luoghi ed eventi, quindi andiamo nelle chat room e vediamo cosa scrivono le persone. Chiediamo loro se ci sono combattimenti lì, se le informazioni corrispondono. E solo dopo che abbiamo la conferma della presenza di corridoi sicuri, diciamo alla persona che può andarsene”.
Come?
Alina: “Spesso è proprio in questi canali locali che i conducenti scrivono annunci, ad esempio: ‘Posso prendere persone dal punto A, seguire questo percorso e arrivare fino al punto B'. È ovviamente molto rischioso: ieri a Mariupol è stato ucciso un nostro autista che andava a prendere una famiglia. L’hanno fucilato mentre era fermo in macchina. Nonostante questo, alcuni lo fanno gratis, ma la maggior parte vuole essere pagata”.
E come fate a retribuirli?
Irma: “Quasi subito abbiamo creato un sito web, helpingtoleave.org, dove sono pubblicate le informazioni per chi vuole contribuire alla causa. Con le risorse raccolte paghiamo gli autisti, ma inviamo anche aiuti in Ucraina. Abbiamo contatti di ospedali e organizzazioni di volontariato che forniscono assistenza medica e umanitaria. Ad esempio, se si rivolge a noi una donna a fine gravidanza da un luogo pericoloso, troviamo la clinica più vicina a lei, ci assicuriamo che non sia distrutta, che ci siano medici pronti a farla partorire e naturalmente troviamo un autista che l’accompagni. Chi vuole scappare, invece, viene orientato verso ovest: Polonia, Romania, Moldavia…”.
Vi organizzate in turni?
Alina: “Essendo in ogni angolo del pianeta, tanti in Georgia, ma diversi anche in Europa occidentale, negli Stati Uniti e persino in Israele, possiamo garantire una copertura h24, 7 giorni su 7: quando noi andiamo a dormire ci sono altri volontari, in luoghi con fusi orari diversi, che rimangono operativi”.
Siete per lo più russi. Non avete paura?
Irma: “Nei Paesi dove ci troviamo ora non stiamo facendo nulla contro la legge, ma naturalmente la situazione sarebbe diversa se dovessimo ritornare in patria. Per me, però, è più grande la paura per come è la Russia in questo momento. Prima di trasferirmi in Georgia mi occupavo di politica, ho guidato la squadra di Aleksej Naval'nyj a San Pietroburgo: sono andata via perché avevano avviato procedimenti penali a mio carico, rischiavo 10 anni di reclusione. Mentre ero lì ho fatto tutto il possibile e sono triste di essermene dovuta andare e non poter più cambiare le cose nel mio Paese. Ma in generale, tornando alla paura, è più spaventoso per noi sapere delle persone che oggi si trovano nelle zone di guerra: non sono solo immagini di Instagram, sono storie reali. Qualsiasi richiesta di aiuto, finanziario o di evacuazione, è la tragedia umana di qualcuno”.
Alina: “Mi unisco alle parole di Irma, penso che abbia espresso in modo esaustivo la posizione e il senso della squadra. Quelle persone che ora aiutano e si uniscono a noi sono persone che hanno già provato a fare qualcosa in Russia, hanno speso un'enorme quantità di risorse, compresa la salute, e sono state costrette ad andarsene. Diciamo solo che questa è la risposta alle domande: cosa posso fare io, date le circostanze? In che modo posso essere più utile? Andando in prigione o provando a fare la differenza fuori? Io vengo dalla Bielorussia e anche noi abbiamo una situazione difficile. Ci uniamo tutti per generare un cambiamento in meglio e per tornare un giorno nei nostri Paesi e ricostruirli di nuovo”.