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Giappone, Iwao Hakamada assolto dopo 56 anni da condannato a morte: era stato accusato di 4 omicidi nel 1966

L’88enne Iwao Hakamada, il condannato alla pena capitale più longevo del mondo, è stato assolto dopo aver trascorso più di 50 anni nel braccio della morte. Ad annunciare la notizia è stata la Corte di Shizuoka, in Giappone, al termine del processo di riesame. L’uomo era stato accusato di un quadruplice omicidio avvenuto nel 1966.
A cura di Eleonora Panseri
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Iwao Hakamada, 88 anni
Iwao Hakamada, 88 anni

Verdetto clamoroso in Giappone, dove l'88enne Iwao Hakamada, il condannato alla pena capitale più longevo del mondo, è stato assolto dopo aver trascorso più di 50 anni nel braccio della morte. Ad annunciare la notizia è stata la Corte di Shizuoka al termine del processo di riesame.

Hakamada, ex pugile ed impiegato di un’azienda produttrice di miso (un insaporitore ottenuto dalla fermentazione di un legume o un cereale, tradizionalmente la soia, ndr), era stato accusato di aver ucciso il suo capo e tre membri della sua famiglia nel 1966.

Era stato condannato a morte due anni dopo, nel '68. Fisicamente e mentalmente provato dall'attesa dell’esecuzione, oggi, giovedì 26 settembre, l'88enne non ha partecipato all’udienza. Il giudice del tribunale di Shizuoka ha sollevato seri dubbi sull’inchiesta.

L'ex puglie Iwao Hakamada in una foto d'epoca.
L'ex puglie Iwao Hakamada in una foto d'epoca.

“Il tribunale ha riscontrato che tre elementi di prova sono stati fabbricati”, ha affermato nel testo della sentenza, riportato da Internazionale. “Escludendo questi elementi, gli altri sono insufficienti per stabilire che l’imputato è effettivamente l’autore dei crimini”.

Hakamada aveva inizialmente confessato, poi aveva ritrattato, denunciando di aver subito pressioni, e da allora si era sempre dichiarato innocente. Il giudice ha anche parlato dei metodi d’interrogatorio usati all’epoca, definendoli “disumani” e “volti a infliggere dolore fisico e mentale, e a costringere a rilasciare dichiarazioni”.

Anche nel 2014 un tribunale aveva sollevato dubbi sulla colpevolezza dell'ex pugile, dopo che da alcune analisi era emerso che il Dna trovato su dei vestiti non era il suo. Hakamada era stato dunque scarcerato, ma erano poi trascorsi molti anni prima di ottenere il nuovo processo.

Nel 2018 l’Alta Corte di Tokyo aveva dichiarato che il test del Dna non era ammissibile e il caso era arrivato alla Corte Suprema del Giappone che nel 2020 aveva ancora rimandando il caso all’Alta Corte, invitandola a valutare se la condanna alla pena di morte dovesse essere considerata valida o se celebrare un nuovo processo.

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