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Conflitto Israele-Palestina e in Medio Oriente

Gaza senza aiuti, acqua ed elettricità: “Abbandonati da tutti, ci sentiamo come chiusi dentro un tunnel”

“Gli israeliani vogliono tagliare l’elettricità all’impianto di desalinizzazione di Deir al-Balah e delle pompe che scaricano le acque reflue. Viviamo già in una terra che è stata resa un deserto, ci vogliono far vivere in mezzo alle nostre feci come maiali”, a Fanpage.it la testimonianza di Mohammed Almajdalawi da Gaza.
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“A Gaza ci sentiamo come chiusi dentro un tunnel dove non riusciamo a vedere più niente, neanche le nostre mani, camminiamo verso un futuro che non c’è. Siamo come una barca in mezzo al mare, sotto la tempesta, senza un capitano”, sono dure le parole di Mohammed Almajdalawi, cooperante di ACS collegato telefonicamente da Gaza con Fanpage.it.

Dentro quel che resta della Striscia, Mohammed oggi è solo con il figlio Adel di 9 anni. La moglie e le sue tre figlie sono state evacuate al Cairo circa tre settimane fa. “Ho dovuto scegliere chi far uscire dalla Striscia, mia figlia Heba ha quattro anni non cammina e ha un problema ai reni, aveva necessità immediata di cure; Sewar ha otto anni ed è epilettica, non potevo tenerla qui rischiando che ricominciassero i bombardamenti, così è uscita mia moglie con le bambine, le due malate e la gemella di Heba, io sono rimasto a Gaza con mio figlio. Siamo stati costretti a separarci, perché i casi medici possono essere accompagnati solo da tre persone, un adulto e 2 minori. Adesso non posso più fare niente per loro, mia moglie è da sola con due bambine malate e ad Adel mancano tanto le sorelle”.

“Abbiamo dovuto scegliere – continua l’uomo – per prima cosa chi tra me e mia moglie sarebbe rimasto con le bambine, poi quale dei figli sacrificare dentro Gaza, e infine, una volta al Cairo, mia moglie è stata costretta a scegliere chi far curare. Da sola non ha la possibilità di portare le bambine in ospedali diversi. Mi sono sempre sentito una montagna nei loro confronti, adesso mi sento come un bambino, indifeso e impotente”.

Mentre le madri, i padri e i figli continuano ad essere strappati gli uni dagli altri con violenza, dentro la Striscia sembra di essere tornati indietro a prima della tregua: "Da accordo gli israeliani dovevano far entrare almeno 600 camion di aiuti, ma dall’inizio del cessate il fuoco ne sono entrati 300/400. A Gaza non c’è corrente, non c’è diesel, non c’è gas, non c’è nulla, non ci sono terre coltivabili, l’80% delle terre coltivabili sono al confine con Israele e noi non possiamo accedere. Non sono entrate le ruspe per spostare le tonnellate di macerie che occupano le strade, sotto le quali ci sono ancora più di 10.000 persone disperse, comprese 30 persone della mia famiglia che cerco ancora scavando tra le rovine con le mani”, continua Mohammed, “gli aiuti che entrano da Rafah non sono mai stati sufficienti, neanche prima della guerra, ma da 11 giorni Israele ha deciso di bloccarli nuovamente chiudendo il valico. Non entra nulla. Siamo tornati alla stessa crisi di cibo, acqua, medicine di due mesi fa, dopo manco 50 giorni di tregua siamo punto e a capo. L'unica differenza tra prima e dopo è che adesso non muoiono più 200 persone al giorno, ma dall’inizio della tregua sono state comunque ammazzate 150 persone, quasi 3 al giorno. Solo l’altro ieri 5 persone sono state uccise da un bombardamento israeliano mentre stavano in macchina”.

Come se non bastasse, domenica scorsa il ministro dell'energia israeliano, Eli Cohen, ha dichiarato di aver ordinato alla Israel Electric Corporation di non vendere elettricità a Gaza, in quello che ha descritto come “un tentativo di fare pressione su Hamas affinché liberasse gli ostaggi”. Secondo la compagnia elettrica israeliana, ciò avrebbe ripercussioni su un impianto di trattamento delle acque reflue, attualmente alimentato a energia elettrica, nonché su quelli di desalinizzazione, con ovvie conseguenze disastrose per la popolazione già ridotta sul lastrico.

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“L’elettricità è stata interrotta dal giorno zero della guerra – spiega Mohammed – ma ora vogliono tagliare l’elettricità all’impianto di desalinizzazione di Deir al-Balah e alle pompe che scaricano le acque reflue. Viviamo già in una terra che è stata resa un deserto, ci vogliono far vivere in mezzo alle nostre feci come maiali. A Gaza non c’è niente, non c’è acqua, non c’è corrente, non c’è cibo, non ci sono magazzini o frigoriferi, il cibo costa tantissimo e va a male perché la gente non può permetterselo. Tutti i prezzi sono triplicati, un chilo di pomodoro prima costava 3 Shekel, adesso 12. Quando è iniziata la guerra avevamo ancora dei soldi, adesso, dopo 500 giorni, non abbiamo più niente. Anche chi ci aiutava prima non ci può più aiutare, gli interessi per i prestiti sono altissimi, anche con la tregua sono 5-6 volte più alti di prima. Gaza è ancora devastata, non è stato fatto nulla dalla firma della tregua ad oggi. Lo spettro della carestia, della fame e della sete continua a incombere sulla Striscia”.

Il commissario generale dell'UNRWA, Philippe Lazzarini, ha dichiarato lunedì che la carestia nella Striscia si aggraverà. Hamas descrive la misura come una "punizione collettiva" e afferma che non sarà spinta a fare concessioni durante i colloqui. Intanto la seconda fase della tregua sembra sempre più difficile da mettere in pratica. Dopo la prima fase, durata 42 giorni e lo scambio di 33 ostaggi israeliani e cinque tailandesi in cambio di 2.000 detenuti amministrativi palestinesi, Hamas e Israele sono in disaccordo sulla seconda e terza fase, per quel che riguarda il governo di Gaza nel dopoguerra e lo stesso futuro di Hamas.

“Non c’è vita a Gaza, non c’è un ospedale, non c’è una scuola, non c’è una strada, non c’è futuro e non c’è un progetto palestinese. Guarda cosa succede a Ramallah, a Jenin, a Tulkarem, guarda cosa dice l’Autorità Palestinese, guarda cosa dice Hamas, continuano a spargere il nostro sangue, ma nessuno ha un progetto per noi. Siamo abbandonati da tutti”, conclude Mohammed.

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