Gaza, Ramadan e tensioni alla moschea di Al Aqsa: cosa dobbiamo aspettarci secondo il rettore Tottoli
È iniziato il mese di Ramadan, il digiuno diurno praticato dai musulmani di tutto il mondo ogni anno. La data era segnata in rosso nell'agenda internazionale, con la speranza che potesse segnare una tregua dell'offensiva israeliana a Gaza e nei territori della Cisgiordania. Una circostanza che appare del tutto improbabile viste le condizioni sul campo.
A Gaza purtroppo, il digiuno è un dato di fatto al netto delle usanze religiose, a causa dell'assenza di cibo e della crisi umanitaria senza precedenti che sta vivendo la popolazione.
Le tensioni di questa prima settimana di Ramadan sembrano essersi spostate a Gerusalemme, dove sorge la moschea di Al Aqsa, tra i più importanti luoghi simbolici dell'Islam nel mondo. Sorge nella parte est della città, quella araba, e si trova a pochi metri dalla "Muro del pianto", luogo simbolo della religione ebraica, dove i fedeli di tutto il mondo arrivano per chiedere il ritorno del Messia.
Gli scontri, anche durissimi, sono abituali in questa zona di Gerusalemme durante le celebrazioni islamiche. Dal Libano il leader di Hamas, Ismail Haniye, ha invitato i palestinesi a marciare sulla moschea di Al Aqsa. Lo stesso attacco sanguinario del 7 ottobre era stato nominato da Hamas "La pioggia di Al Aqsa", proprio per richiamare il simbolismo religioso. Chiaramente il pellegrinaggio alla moschea di Al Aqsa è anche semplicemente un diritto legittimo dei palestinesi, quello di poter pregare in una delle più importanti moschee del mondo. Circostanza frequentemente negata dall'esercito israeliano che, negli anni scorsi, è arrivato più volte a fare direttamente irruzione nel luogo di culto. Infatti le forze militari israeliane hanno già limitato l'accesso alla spianata delle moschee di Gerusalemme, dove sorge la moschea di Al Aqsa.
Benjamin Netanyahu ha detto che "la libertà di culto sarà garantita solo in subordine alle esigenze di sicurezza". Un sostanziale preludio ad inevitabili tensioni che possono registrarsi nei prossimi giorni, e venerdì prossimo, giornata di preghiera nell'Islam, sarà sicuramente una giornata da vivere con il fiato sospeso a Gerusalemme. Con il Rettore dell'Università L'Orientale di Napoli, Roberto Tottoli, islamista, abbiamo provato a capire cosa possiamo aspettarci questa settimana e perché quel lembo di terra nella parte est di Gerusalemme è scenario di scontri da sempre.
Qual è il valore simbolico della moschea di Al Aqsa di Gerusalemme?
Al Aqsa, vuol dire "estrema" e prende il nome da un passo del Corano, è la moschea estrema verso cui Maometto avrebbe fatto un viaggio notturno e sarebbe poi asceso al cielo dalla roccia di Gerusalemme. È il simbolo della sacralità di Gerusalemme per l'immaginario islamico. La moschea di Al Aqsa è un luogo centrale per l'Islam. Il basamento della spianata delle moschee, dove si trova Al Aqsa, è riconducibile a quella che è la base di fondamento del tempio di Salomone, luogo sacro secondo la religione ebraica, una zona quindi estremamente contesa. La moschea di Al Aqsa e il muro del pianto si trovano poi a poca distanza dal Santo sepolcro, luogo sacro della religione cristiana, insomma è la fotografia dell'aggrovigliato religioso rappresentato dalla città di Gerusalemme. Ma la moschea di Al Aqsa e il muro del pianto al tempio di Salomone si toccano direttamente. Negli anni ricordiamo la provocatoria passeggiata di Ariel Sharon, ex primo ministro israeliano, sulla spianta delle moschee, i tentativi di irruzione dell'esercito israeliano nel luogo di culto, gli scontri con la polizia, e tantissime tensioni. Questi due luoghi toccano pietre condivise.
Cosa dobbiamo aspettarci in questa prima settimana di Ramadan?
Purtroppo in una situazione che non va chiarendosi, benché la ritualità del digiuno di Ramadan non implica atti pubblici significativi, è un momento di grande celebrazione collettiva, la situazione di guerra e l'attenzione israeliana va a toccare un momento simbolico del calendario. Da parte musulmana si vuole spingere per avere il diritto di celebrare insieme e pubblicamente il rito religioso e dall'altra abbiamo un atteggiamento di un paese che è in guerra. La tensione è inevitabile.
Qual è il significato dell'appello del leader di Hamas di marciare sulla moschea di Al Aqsa?
Dal punto di vista di Hamas è un forzare la mano per rappresentare il Ramadan come momento collettivo di partecipazione, notturno tra l'altro. Quindi da parte dei resistenti palestinesi va nella direzione di contrapposizione alla situazione di guerra in generale. E inoltre la volontà è quella di mettere in luce una realtà che è sempre stata di difficile gestione, molti dei problemi di convivenza nella città vecchia di Gerusalemme, la parte est, sono stati dati da altri ingressi sulla spianata, come quello di Sharon, oppure dagli stop agli ingressi da parte dell'esercito israeliano, è il luogo simbolo dove si misura il dramma di questo confronto usando la religione.
Si sperava che l'inizio del Ramadan potesse rappresentare una tregua da parte dell'offensiva israeliana
Sembra non essere così, ma senza voler giudicare questa situazione che lascia parecchie vittime sul terreno, anche a livello internazionale è evidente che si lascia mano libera a Israele contro Hamas. Anche qui una sorta di richiamo ad una sorta di moratoria in occasione della festività viene considerato insidioso da parte degli israeliani rispetto alla loro operazione militare che è molto sanguinosa a cui assistiamo tutti con grande apprensione in questo momento.
Esiste la speranza nel breve periodo di registrare quanto meno una minore intensità dell'attività bellica di Israele?
Sta tutto nell'ipotesi di un forte intervento internazionale che davanti all'attacco originario di Hamas e all'efferatezza di questa reazione israeliana metta i due protagonisti intorno a un tavolo. Bisogna avviare quella sorta di riconoscimento dell'esistenza dell'altro, che dovrebbe poi anticipare, con modalità da vedere, la nascita di uno Stato palestinese. Però, come dire, è una circostanza che non si è mai realizzata in questi ultimi 70 anni e più, si spera che come accaduto in altre crisi, e l'Europa insegna questo, che gli attori prima o poi capiscano che così non si può andare avanti e non è sostenibile per i costi che si impongono alle popolazioni.
Questa insistenza di Israele a voler continuare la fase acuta di guerra anche a dispetto degli appelli di Biden, segna un rapporto diverso tra i due Paesi?
Potrebbe in parte, ma non credo che lo sia fondamentalmente. Sicuramente questa reazione netta non ha lasciato spazio agli interventi americani, ma credo che in questa realtà non è ancora il momento in cui l'amministrazione americana metta fine alle azioni di Israele. Il rapporto è ancora molto stretto, e lo vediamo dalle reazioni di Biden, gli Usa hanno in Israele un alleato fondamentale, di ferro, preferiscono fare i conti, se e quando, questa azione militare verrà conclusa.