Gaza, infermiera MSF a Fanpage: “I bambini cercano cibo tra i rifiuti, i camion di aiuti sono bloccati”
"Tutte le mattine, quando esco dal compound di MSF per andare in ospedale, mi trovo davanti questa scena: ogni strada di Gaza, ogni vicolo e piazza, pullula di migliaia di piccole tende. Ci sono persone ovunque, persino con l'auto si fatica a farsi spazio. I bambini non sono a scuola: sono per lo più soli, spesso orfani, sporchi di polvere o di fango, con i fratellini più piccoli sulle spalle, tutti intenti a cercare cibo tra enormi cumuli di spazzatura. Ed è un dolore indicibile sapere che nel frattempo migliaia di camion con gli aiuti umanitari sono bloccati al valico distante una manciata di chilometri e non vengono lasciati entrare dalle autorità israeliane". È il racconto fatto a Fanpage.it da Maddalena Dragone, infermiera torinese che lavora con Medici Senza Frontiere e dall'inferno di Gaza, in un raro momento di riposo tra un turno in ospedale e l'altro, trova il tempo per rispondere alle nostre domande.
Maddalena ha 29 anni ed è testimone diretta di una delle più sadiche, letali e distruttive campagne militari della storia moderna; una guerra iniziata esattamente un anno fa – in risposta agli attacchi di Hamas nei Kibbutz israeliani – che però giorno dopo giorno ha assunto i contorni di una punizione collettiva alla popolazione civile palestinese. Lo dicono i numeri ufficiali validati dalle Nazioni Unite: i morti sono almeno 41.689, i feriti oltre 96mila e gli sfollati 1,9 milioni. Praticamente non c'è uomo, donna o bambino della Striscia di Gaza che, se sopravvissuto ai bombardamenti, non sia stato costretto ad abbandonare ripetutamente la propria casa per cercare un riparo altrove, in quella che però è a tutti gli effetti una prigione a cielo aperto dalla quale è impossibile fuggire e in cui spesso persino i "luoghi sicuri" – inclusi i rifugi dell'ONU – vengono bombardati. Ed è in questo contesto che Maddalena ha deciso di mettersi a disposizione. "Vengo dall'Europa, un'area del mondo estremamente privilegiata, e ho scelto di dare il mio contributo qui perché credo che aiutarsi l'un l'altro sia fondamentale se vogliamo dirci ancora umani".
Questa è per Maddalena la seconda rotazione a Gaza. "Il primo turno l'ho fatto tra giugno e luglio, e da allora la situazione è ulteriormente peggiorata. Lavoro come infermiera in due centri di salute primaria dove forniamo cure di base che sempre più spesso vengono trascurate, quindi medicina generale, medicazioni, fisioterapia, cura della malnutrizione, assistenza per problemi di salute mentale e salute sessuale e riproduttiva". La 29enne torinese spiega che gli ospedali pubblici veri e propri nell'enclave palestinese si contano ormai sulle dita di una mano e che le organizzazioni umanitarie hanno allestito ospedali da campo, strutture indispensabili che tuttavia non possono in alcun modo sopperire a tutti i bisogni della popolazione sia in termini di capienza, che in termini di servizi sanitari e specializzazioni mediche.
"Gli ospedali da campo si occupano soprattutto di traumatologia, ma le esigenze della popolazione sono anche altre", dice Maddalena, che poi entra nel dettaglio: "Nei nostri ospedali arrivano molte persone con ferite da esplosioni, ustioni e fratture. Spesso dobbiamo praticare amputazioni, anche sui bambini". Ma ai danni diretti della guerra vanno sommati quelli ‘indiretti: tra un ordine di evacuazione e l'altro impartito dalle autorità israeliane le persone vivono ammassate e in condizioni igienico sanitarie catastrofiche. "Ci sono file chilometriche di uomini che ogni giorno vanno alla ricerca di acqua potabile nelle poche fonti disponibili, inoltre mancano prodotti per l'igiene personale. Ed è così che si propagano anche le epidemie. Molti palestinesi muoiono per epatite A o per le conseguenze di malattie gastrointestinali, tantissime persone sono affette da patologie dermatologiche e infettive come la scabbia".
Cercare di curare tutte queste persone – e almeno 600/700 si recano ogni giorno negli ospedali gestiti da Medici Senza Frontiere – è il lavoro di Maddalena e di tutti gli altri "internazionali" presenti a Gaza: "I pazienti ci ringraziano per essere venuti fin qui da molto lontano, ma molti altri sono disperati. Penso ad esempio ai genitori di bambini con malattie congenite per i quali oggi non ci sono cure nella Striscia di Gaza. Dovrebbero essere evacuati, ma sono letteralmente imprigionati. E penso anche a tutti quei malati che necessitano di farmaci salvavita qui introvabili, ma abbondanti in Occidente".
E chissà che proprio quei medicinali non siano chiusi da settimane o mesi nei tir in coda in Egitto, convogli carichi di beni essenziali che però vengono lasciati entrare con il contagocce dalle autorità israeliane. "Gli aiuti sono bloccati, entrano solo in quantità minime che non ci permettono di fare il nostro lavoro serenamente, perché non sappiamo neanche se avremo materiale a sufficienza per un paio di settimane", racconta ancora Maddalena. "Così il lavoro delle organizzazioni umanitarie è estremamente difficile, anche il nostro. Per questo è necessario imporre un cessate il fuoco immediato e duraturo".