Gaza, il dramma di Osama, operatore di MSF: “I miei due figli morti mentre cercavano pane e acqua”
Per oltre 15 mesi non c'è stato un solo luogo sicuro in tutta la Striscia di Gaza. Prima dell'entrata in vigore del cessate il fuoco in cambio del rilascio degli ostaggi, l'esercito israeliano ha bombardato incessantemente senza fare distinzioni tra obiettivi militari e civili, tanto che lo stato ebraico è accusato di genocidio alla Corte Internazionale di Giustizia. I missili sono caduti su ospedali, scuole, condomini, ma anche rifugi delle Nazioni Unite e convogli che trasportavano aiuti umanitari.
Tra le oltre 45mila vittime (anche se il numero reale dei morti è certamente molto più elevato) ci sono anche i figli, di 14 e 17 anni, di Osama Abu Laban, operatore di Medici Senza Frontiere (MSF) che ha sperimentato sulla sua pelle la disperazione a cui è condannata da mesi la popolazione palestinese. L'uomo ha perso un figlio, rimasto ucciso in un attacco a Beit Hanoun nell'autunno del 2023 mentre andava a procurarsi dell'acqua per la sua famiglia. Un anno dopo, il 29 novembre 2024, anche la figlia Rahaf, di 17 anni, è morta soffocata dalla folla mentre cercava di trovare del pane.
Abu Laban ha raccontato a Fanpage.it il dolore per la tragedia della sua famiglia, nel contesto più ampio del dramma che si sta consumando a Gaza: "Tra la fine di ottobre e l'inizio di novembre 2024 a Deir al-Balah, ho passato esattamente 20 giorni senza mangiare pane. Allora tutto ciò in cui potevo sperare era solo una pagnotta. Bisognava andare al panificio molto presto, circa alle 4 del mattino. A volte ho atteso in fila fino alle 18. In certi momenti non ce la facevo più, mi sentivo esausto. In più, avevo una gamba ferita che rendeva tutto più difficile, soprattutto stare in piedi per così tante ore. È stato incredibilmente difficile per noi. Al punto che io e i miei figli abbiamo finito per mangiare farina marcia. Dopo aver mangiato quel pane, mia figlia Rafah vomitava. Non riusciva a digerirlo e io non potevo offrirle niente di meglio. Ma il pane non era che il primo dei nostri problemi".
La mattina del 29 novembre scorso Rahaf si è offerta di andare a procurarsi del pane. Racconta Osama: "Mi disse: ‘Papà, questa volta voglio andarci io a prendere il pane. Per te andare in panetteria significa rischiare la vita. Se tu fossi come gli altri, ti lascerei andare. Ma ti conosco, so che non ti piacciono le situazioni caotiche, né i luoghi affollati'. Nonostante queste sue parole, quella mattina ci sono andato lo stesso e sono rimasto in fila per circa 20 minuti. A un certo punto ho visto mia moglie correre verso di me. Appena mi ha raggiunto, mi ha detto: ‘Presto, presto, Rahaf ti ha seguito. Ti ha seguito ma è ancora in fila, non è riuscita a uscire'".
"In quel momento – aggiunge l'uomo – due ragazzi mi hanno chiesto di aiutarli, spiegandomi che era scoppiato il caos nella zona in cui si trovavano le donne. Alcune erano cadute. Mi hanno detto: ‘Pensiamo che due ragazze siano svenute. Sembra che stiano soffocando'". Allarmato, Osama si è precipitato a prestare soccorso e dopo aver estratto la prima ragazza ha visto la seconda: "Mentre le afferravo le gambe per sollevarle, lei ha girato il volto verso di me e mi ha guardato. Quando i nostri sguardi si sono incrociati, ho capito che era mia figlia Rafah. In macchina ho cercato di rianimarla in tutti i modi. Ho pensato che se avessimo raggiunto l'ospedale più vicino, i medici sarebbero riusciti a rianimarla. Ma, arrivati in ospedale, il medico mi ha detto che non si poteva fare più nulla. In quel momento sono crollato e ho perso il controllo. ‘Ho perso già tuo fratello, ti prego, non seguirlo. Non ridurmi a pezzi' urlavo disperato. Rafah era la mia gioia, la mia speranza, la mia vita". Per la ragazza, appena 17 anni, non c'è stato niente da fare.