Perché Europa e Russia si scontrano sulla costruzione del gasdotto South stream
Vasil Shtonov, ministro bulgaro dell'Energia, ha ordinato poche ore fa il blocco dei lavori di costruzione del gasdotto russo-europeo South Stream. La decisione, si apprende da Sofia, è stata assunta perché il consorzio – di cui fanno parte, tra le altre, Gazprom (Russia), Eni (Italia), Edf (Francia) e Wintershall (Germania) –, violerebbe le disposizioni comunitarie in materia di monopòli. È la seconda volta, in meno di tre mesi, che la Bulgaria è costretta a bloccare la costruzione del gasdotto perché messa sotto grande pressione da Bruxelles. E lo stop ai cantieri presenti nel territorio bulgaro mette in stand by la costruzione di tutto il gasdotto, questo poiché una volta superate le acque del Mar Nero, Sofia è il primo paese d'approdo del serpentone energetico proveniente dai territori moscoviti dell'Asia centrale e dal Kazakhstan e destinato all'Europa centro-meridionale.
La Russia, in precedenza, ha fatto ricorso sia alle autorità europee che a quelle dell'Omc (l'Organizzazione mondiale del commercio) per chiedere la rimozione dei sigilli e la ripresa dei lavori al progetto che, una volta completato entro il 2018, dovrebbe portare in Europa il 35 per cento delle forniture russe di energia, pari a circa 63miliardi di metri cubici di gas l'anno per un investimento totale previsto superiore ai 25 miliardi di euro.
Nessuno può affermalo a chiare lettere, ma l'ennesimo stop ai lavori in corso è legato alle schermaglie diplomatiche tra l'Unione Europea e la Russia, relative alle violenze in Ucraina e alle derivanti sanzioni economiche imposte da Usa ed Ue a Mosca.
Nelle scorse settimane è stato il belga Klaus-Dieter Borchardt, figura di spicco della Direzione generale per l’Energia della Commissione Ue, a bocciare gli accordi intergovernativi tra il Cremlino e i Paesi che ospiteranno il braccio principale del serpentone energetico russo.europeo (ovvero Bulgaria, Serbia, Ungheria e Slovenia), spiegando che “nessuna di quelle intese è in regola con le leggi Ue”. Secondo quanto affermato da Borchardt sono tre, dal punto di vista giuridico e formale, gli ostacoli principali alla prosecuzione dei lavori: il primo è relativo alle tariffe, che dovrebbero venir determinate da un organismo terzo e non solo dal gigante russo; il secondo è relativo al rischio dell’uso esclusivo da parte di Gazprom del gasdotto, che dovrebbe invece venir messo a disposizione anche di altri soggetti interessati alla distribuire del gas; il terzo problema è relativo al regola della unbundling, che sancisce il principio della separazione tra produttore di gas, nel caso in oggetto, e distributori.
La stop deciso dalle autorità di Sofia, tuttavia, potrebbe essere solo temporaneo. Questo perché se da un lato la Bulgaria è tenuta a rispettare i regolamenti comunitari, dall'altro ha anche la necessità di provvedere a rifornire i propri abitanti di risorse energetiche adeguate per le temperature più rigide che stanno già facendo capolino nei paesi dell'Europa centrale ed orientale. Nel caso specifico, ma ciò può essere esteso anche alle altre principali realtà che ospiteranno il gasdotto, il settore energetico bulgaro è estremamente dipendente dalle forniture di energia russa, essendo queste pari all’85 per cento del fabbisogno nazionale.
In questa complicata guerra diplomatica ed economica è stata l'Austria a sparigliare le carte europee essendo diventato il terminale designato per l'Europa centro-meridionale e dando il via libera, il 24 giugno scorso, alla realizzazione del gasdotto che porterà nel paese 32 Miliardi di metri cubi di gas in territorio comunitario. A firmare l'accordo, nonostante le reazioni tutt'altro che positive dei vertici della Commissione Europea, sono stati la Gazprom e la Omv, Compagnia energetica austriaca, stabilendo che la società viennese cederà una parte considerevole del terminale di Baumgartner al gigante russo, trasformando così lo snodo europeo nel principale hub del gas russo all'interno dei confini dell'Ue.
Battaglia Russia-Ue sul gasdotto South stream
L'accordo tra la compagnia energetica russa e quella austriaca è stata considerato, da alcuni osservatori, come una ripicca del governo russo anche all'Italia, visto che nel piano originale Roma sarebbe dovuta divenire il punto di approdo del Southstream. Secondo voci ufficiose, il Cremlino avrebbe così risposto al sostegno italiano alla costruzione del gasdotto TransAdriatico (Tap), progettato dall’Ue e destinato a veicolare circa 10 miliardi di metri cubi di gas all’anno provenienti dall’Azerbaijan, attraverso Grecia e Albania, e diretti come approdo finale in Salento.
La scelta di costruire il South Stream venne partorita nel 2007 proprio dalla Russia e con l'obiettivo dichiarato di bypassare la già allora turbolenta Ucraina, al fine di consegnare il gas in Europa centro-meridionale (quella settentrionale è servita dal North Stream). Allora l'accordo vide la partecipazione come attore principale dell'Eni, guidato al tempo da Paolo Scaroni, e del governo italiano di Silvio Berlusconi. Al momento Mosca non ha ancora commentato la decisione delle autorità bulgare, ma è certo che non resterà a guardare e che utilizzerà tutte le carte a sua disposizione per far riprendere in tempi brevi i lavori di costruzione, visto anche che le prime consegne di gas sono previste per il 2015.
In questa ennesima disputa tra l'Ue e Mosca, sembra evidente che il prezzo più caro potrebbe essere pagato dalle popolazioni dell'Europa centrale ed orientale. Nel caso in cui, come già minacciato più volte nel recente passato, il Cremlino dovesse tagliare le forniture di gas come contro mossa alle sanzioni o al blocco del gasdotto, milioni di cittadini potrebbero patire un inverno ancora più rigido del previsto.