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Funerali di Hassan Nasrallah in Libano, folla per leader Hezbollah: “Guerra dell’Occidente contro di noi”

Migliaia di persone radunate in Libano oggi per l’ultimo saluto all’ex leader di Hezbollah Hassan Nasrallah. “Abbiamo impedito agli israeliani di progredire sul terreno” ha dichiarato il leader attuale del Partito di Dio Naim Qassem ma durante il funerale quattro caccia dell’aviazione israeliana hanno sorvolato bassissimi sullo stadio della cerimonia.
A cura di Pasquale Porciello
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"Abbiamo tutti perso qualcuno in questa guerra. Questo è il giorno in cui piangiamo il nostro capo e i nostri cari" dice Ali, che come tutti gli altri partecipanti ai funerali di Hassan Nasrallah e del cugino che avrebbe dovuto succedergli, Hashem Safieddine, porta addosso, assieme a un immagine del leader, quella di un parente morto da civile o da combattente in questa guerra. Sono stati oltre 4mila i morti nella comunità sciita libanese.

Sul manto nero di migliaia e migliaia di persone vestite a lutto – gli sciiti vestono già di solito il nero, in segno di ricordo del martirio a cui fu costretto l’imam al-Hussein nella battaglia di Karbala (680 d.C.) – sventolano le bandiere gialloverdi di Hezbollah, a cui si affiancano quelle rossoverdi di Amal, e poi quelle palestinesi, irachene, iraniane.

L’abbraccio che la Dahieh, la periferia a sud di Beirut, ha riservato a Hassan Nasrallah è quello di oltre un milione di persone provenienti da tutto il Libano sciita – il sud e l’ovest del paese – e da numerosi paesi stranieri. Gruppi provenienti da Yemen, Iraq, Bahrein, Kuwait, Oman, Turchia hanno voluto assistere di persona ai funerali del capo di Hezbollah dal 1992, anno in cui Nasrallah succede a Abbas-al Musawi, a sua volta ucciso da Israele dopo appena dieci mesi dalla  sua elezione.

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"È stata una guerra di tutto l’Occidente contro di noi. Chi vende le armi a Israele?" commenta Ahmad, cinquantenne muratore originario del sud, ma nella Dahieh da anni. "Ma noi abbiamo resistito e non siamo scomparsi. E per noi questa è una vittoria" continua mostrando la foto del nipote morto combattendo.

La gente piange. Qualcuno singhiozza. Il trauma collettivo vissuto dalla comunità sciita durante questa guerra – e da tutti i libanesi, ovviamente – è stato violentissimo. Un milione e mezzo di sfollati, 4mila morti, 20mila feriti, interi villaggi distrutti, bombardamenti a tappeto su vastissime aree urbane, ma anche agricole: si è trattato e continua a trattarsi – Israele continua a bombardare alcune aree del sud del paese – di una guerra molto dura e che lascerà una traccia indelebile nella storia di Hezbollah, del Libano e della regione.

Gli equilibri sono infatti cambiati e Hezbollah fa i conti con un ridimensionamento del suo potere militare e politico, dovuto alla guerra, ma anche alla caduta del regime siriano l’8 dicembre scorso e alla conseguente chiusura di tutti i corridoi di terra provenienti dall’Iran. Hezbollah è indebolito e più isolato rispetto a prima della guerra. Il leader attuale del Partito di Dio Naim Qassem, nell’orazione funebre, in diretta video sostiene la tesi ufficiale di Hezbollah: "Abbiamo impedito agli israeliani di progredire sul terreno" e definisce questa una vittoria. "Ora è responsabilità dello stato dare al paese sicurezza" chiarisce Qassem che anche oggi ha ribadito la disponibilità di Hezbollah di collaborare con il nuovo governo, di cui ha aiutato la formazione.

Nei fatti però il Partito di Dio perde terreno: se l’armamentario militare è stato drasticamente ridotto dai bombardamenti israeliani di questi mesi, il fronte politico interno non è più rassicurante. Perde, rispetto alla scorsa legislatura, il ministero chiave dei lavori pubblici, quello che si occuperà della ricostruzione. E dunque il modo in cui Hezbollah agirà nei prossimi mesi sarà profondamente influenzato da quanto sarà in grado di intestarsi la ricostruzione. In caso contrario, perderebbe certamente aderenza con la base e, tra le altre, ci si potrebbe trovare nella condizione di valutare anche l’ipotesi di una radicalizzazione e la conseguente la possibilità di un ritorno alla stagione degli assassinii politici, nel caso in cui l’isolamento fosse totale. Al momento la situazione è ancora da definire; le truppe israeliane mantengono cinque avamposti nel Libano del sud e di fatto continuano l’invasione che sarebbe dovuta terminare allo scadere dei due mesi della tregua cominciata il 27 novembre scorso e già due volte rimandata. Una volta finita la guerra, sarà più chiaro a tutti quale sarà il nuovo ruolo di Hezbollah.

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All’improvviso si sente un rumore fortissimo sulle teste dei presenti. Poco dopo le 13, quando la cerimonia era appena cominciata, quattro caccia dell’aviazione israeliana sorvolano bassissimi lo stadio Camille Chamaoun dove è stata allestita. Una dichiarazione di Israel Katz, ministro israeliano della difesa, a riguardo arriva in maniera fulminea: questi aerei "inviano un messaggio chiaro: chiunque minacci di distruggere Israele e l’attacca farà la stessa fine" del suo leader.

I feretri, dopo la commemorazione, hanno lasciato lo stadio e si sono avviati tra una folla in lacrime al mausoleo dedicato e sito nei pressi dell’aeroporto, poco distante dalla cittadella sportiva in cui si sono celebrati i funerali.

I voli, sospesi dalle 12 alle 16 locali per ragioni di sicurezza, sono ripresi regolarmente. Il dispiegamento delle forze speciali libanesi è stato capillare in tutti i nodi strategici della capitale e l’allerta è stata altissima.

Il cambiamento epocale che sta avvenendo in questi mesi in Libano, figlio di un processo in atto da anni, non ha ancora rivelato il suo volto reale. Il paese, da sempre luogo in cui si incrociano i più importanti interessi regionali ed extra-regionali, si avvia verso la nuova fase che il neo-presidente Joseph Aoun (ex capo dell’esercito), il neo-premier Nawaf Salam (ex presidente della Corte dell’Aja) e il nuovo governo del paese venuto fuori in queste settimane promettono.

Una fase in cui la questione Hezbollah dovrà essere trattata con grande senso di responsabilità e senso pratico, per evitare una deriva che, in condizioni estreme, potrebbe essere inevitabile.

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