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Fuga da Gaza, la storia di Samra: “Ho capito che ci avevano bombardati quando ero sotto le macerie”

“Per ora non ho alcun piano per il futuro, finché non sarà finita la guerra a Gaza nessuno di noi lo avrà”. Il racconto di Samra Taghreed, fuggita con le figlie e la madre dopo essere stata ferita in un bombardamento nella Striscia.
A cura di Chiara Daffini
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Samra Taghreed Abu
Samra Taghreed Abu

Samra Taghreed Abu è scappata da Gaza insieme alle sue tre figlie piccole e alla madre. Tutte sono state ferite nel bombardamento che ha colpito la casa dove avevano cercato di mettersi in salvo a Rafah. Sono arrivate in Italia a bordo della nave Vulcano, per gli espatri sanitari palestinesi, e oggi si trovano a Milano, ma il marito di Samra è ancora bloccato a Gaza. Questa giovane donna ha deciso di raccontarsi a Fanpage.it.

Partiamo dal giorno in cui le vostre vite sono cambiate per sempre.

"Il 13 ottobre l’occupazione israeliana ci ha avvisati che dovevamo spostarci dalla Striscia di Gaza da Nord a Sud, in quella data ci siamo spostati a Rafah dai parenti di mio marito, pensando fosse una zona sicura. L’occupazione israeliana ci aveva assicurato che lo era. Purtroppo il 23 novembre, all’una e mezza di pomeriggio, hanno bombardato la palazzina dove ci trovavamo. Tutte le persone presenti sono morte. Ventiquattro, per l'esattezza, tutti i presenti tranne io, le mie figlie, mia madre, il fratello di mio marito e sua moglie. Mio marito, per fortuna, era uscito di casa dieci minuti prima".

Che cosa ricorda di quei momenti?

"Appena ci hanno bombardati io non me ne sono resa nemmeno conto, pensavo avessero colpito qualcosa vicino a noi, solo da sotto le macerie ho capito che la casa distrutta era la nostra. L'ho realizzato sentendo le voci delle persone che cercavano di estrarmi dalle macerie. In quel momento non sapevo che fine avessero fatto i miei familiari, non sapevo niente, se non che volevo uscire di lì".

Fortunatamente sono riusciti a metterla in salvo.

"Quando mi hanno fatta uscire mi hanno portata all’ospedale Abu Yusuf Al Najjar, che si trova a Rafah. E io in ospedale, ovviamente non sapevo nulla di loro perché io sono rimasta un po’ di tempo sotto le macerie senza ossigeno, quindi appena mi hanno trasferita sono rimasta attaccata all’ossigeno. Finché non mi sono un po’ ripresa e ho dato il mio cognome, Taghreed, lì hanno saputo che io ero viva. Mi hanno trasferito nell’ospedale dove c’erano le mie figlie e mia madre. Dopo ci hanno trasferito nell'Ospedale Europeo, che ha possibilità maggiori e migliori livelli di trattamento. Siamo rimasti molto tempo lì, circa due mesi e mezzo, finché non sono usciti i nostri nomi per il trasferimento sanitario in Italia".

Come siete arrivate in Italia?

"Siamo uscite dalla striscia di Gaza al valico di Rafah. Era previsto che, essendo ferite sia io che mia figlia e mia madre, ci fosse come accompagnatore mio marito, ma al valico egiziano non l’hanno fatto passare perché il suo nome purtroppo non era presente nella lista. Al valico di Rafah gli italiani hanno provato più volte a far uscire mio marito con me, perché io e mia madre camminavamo con le stampelle e non riuscivamo a gestire le tre bambine piccole con noi. Non ce l'hanno fatta, ma ci hanno promesso di provare a trasferirlo in Italia successivamente. Così noi siamo arrivate ad Al Arish, dove c’era la nave militare italiana. Siamo rimasti sulla nave fermi quattro giorni dopodiché la nave è partita per l’Italia, dove siamo arrivati dopo cinque giorni".

Che cosa è accaduto al vostro arrivo in Italia?

"Mia madre l’hanno mandata in un ospedale per adulti e io e le mie figlie siamo state mandate all’ospedale per bambini Buzzi di Milano. La nostre cure richiederanno ancora molto tempo, ora comunque siamo state dimesse e c'è stato dato un alloggio, stiamo ricevendo tutta l'assistenza necessaria".

E suo marito?

"Quando noi siamo usciti dal valico, mio marito è ritornato dai suoi genitori e dai parenti. All’inizio riuscivamo a comunicare ma poi ha lasciato Rafah, perché lì adesso c’è un’operazione militare e tutte le persone sono fuggite. Ora si trova a Khan Younis, dove non c’è campo, non c’è internet e per parlare con noi si fa dei lunghi tragitti ogni cinque-sei giorni, va in un ospedale per poter parlare con le bimbe un’oretta".

Vi aspettavate tutto questo?

"Non ce lo aspettavamo per niente, non ci è mai venuto in mente che la situazione sarebbe arrivata ad essere così. Quello che sta accadendo non è una guerra come tutte quelle che abbiamo vissuto e ne abbiamo viste tante di guerre a Gaza, ma come questa proprio no".

Che cosa vorrebbe per il futuro?

"Sfortunatamente al momento non ho alcun piano. Finché la guerra continuerà a Gaza, nessuno avrà alcun piano per il futuro".

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