La presenza femminile in politica è stata protagonista del recente dibattito pubblico da noi, e non è finita gran che bene. Così, lo specchio francese è una grande opportunità per alcune considerazioni che ci riguardano da vicino. Il primo punto è legato – al solito – alla lettura del fenomeno d'Oltralpe fatta dai media italiani. Dai tg agli on line passando per i grandi quotidiani hanno – tutti – usato il succulento titolo: “sfida tra donne” richiamando il grande must maschilista e stereotipo da magazine: “Eva contro Eva” inventato per mettere sempre due donne una contro l'altra, che si tirano possibilmente i capelli, generalmente, per conquistare un uomo. Sulla Francia di questi giorni si accavallano ovunque: “La sfida è donna”; “Sfida è femmina”, “Due donne si sfidano”, “Sfida al femminile”. Se ci fossero stati due uomini, ovviamente nessuno avrebbe mai detto “la sfida è maschio” o “due uomini si sfidano per la poltrona” etc.
Certo, è vero anche che andava sottolineata la novità. Tempo fa, il quotidiano Libération, per descrivere il dato che due donne si sarebbero – per la prima volta – contese la poltrona di Parigi, aveva, in prima pagina, un titolo perfetto: “La donna è l'avvenire dell'uomo politico”. I romani hanno avuto invece il manifesto con cui si è presentata candidata sindaco Patrizia Prestipino, ora dirigente Pd: “L'uomo giusto per Roma”. Una visione sfigatissima della donna che ha paura di essere se stessa e ha bisogno di trasformarsi in un uomo per osare accedere al potere. L'interessata si è difesa dicendo che non si era capita – ovviamente – l'ironia e che le proteste erano roba da vecchie femministe, con il doppio messaggio che se una è femminista è comunque da superarsi. Anche se poi si raccolgono a piene mani il frutto delle lotte delle femministe col vantaggio di non aver mai preso una posizione scomoda. Come sempre sono scomode le reali questioni che riguardano le donne: lavoro, libertà e morale. Temi non da poco che presuppongono anche una visione laica e sana della democrazia. Ma non sarà allora che sono proprio le donne italiane a non essere pronte per la politica se non imparano a autodeterminarsi e a farsi una visione del mondo un po' più evoluta? Quelle che piagnucolano da noi, ammirando l'opportunità francese, si sono mai realmente battute per le donne? E sulle grandi questioni femminili?
La contendente del PS, Anne Hidalgo, ha sempre preso delle posizioni nette e chiare su aborto e parità di diritti. A Parigi, durante la manifestazione a sostegno delle donne spagnole private del diritto all'aborto dalla legge Rajoy, Hidalgo sfilava in testa al corteo. A Roma, e davanti a tutti i consolati spagnoli, c'erano le poche solite. Ma dov'erano quelle che si lamentano ora, sperando che qualche uomo le apra la porta, e le dia un'opportunità? “La sfida” delle due candidate francesi nei titoli nostrani si colora anche, come al solito, e diventa “rosa”. E' un tic che si ripete ovunque e che implica un misto di stupore e un velo di rincrescimento. Anche le giornaliste più avvedute come Lilli Gruber nei giorni delle battaglie delle deputate per l' Italicum ha continuato, come tutti, a chiamare “quote rosa” la parità di genere che ha un ben altro significato, essendo le prime, appunto un ghetto, un recinto. Una concessione. Ma a parte questi rivelatori di un linguaggio impaurito dalla presenza femminile, una nutrita fetta del femminismo plaude con gridolini di gioia e di invidia alle due donne sindaco per la capitale.
E alla sfida in corso, si aggiunge la vittoria di Marine Le Pen. Ancora una volta una donna, anche se “erede” del Front National, partito di estrema destra del padre Jean Marie. E come sta per avvenire da noi, cioè che le figlie di Berlusconi raccolgano l'eredità paterna. Ma non ci sarebbe nessuna vittoria femminile. Anzi. E' davvero come avviene nei paesi arabi: le figlie dello sceicco. L'avanzata di Marine Le Pen, e la vittoria – non impossibile – della destra di Kosciusko-Morizet a Parigi, aprono la strada a un'altra fondamentale riflessione: è così importante che siano donne se la loro politica non è quella che tiene in considerazione le donne? Marine Le Pen, così anti europeista e reazionaria, garantirà i diritti conquistati? Siamo sicuri che quella della parità a ogni costo sia la giusta battaglia? La suddivisione 50 e 50 che è tutta di derivazione francese, è veramente quello che serve alle donne? Dice Luisa Muraro femminista storica:
Io mi considero rappresentata da quelle che si espongono nella vita pubblica per affermare cose vere e giuste, in primo luogo le cose che troppi uomini non prendono in considerazione. Mi sento rappresentata da donne amiche di altre donne, anche quando non la pensano uguale, come Tina Anselmi, democristiana, che dichiarò la sua stima verso la comunista Nilde Iotti. Mi ha rappresentato quella superiora generale delle suore americane che, ritta davanti a papa Wojtyla, lo richiamò al tema del sacerdozio femminile di cui era proibito parlare(…). Le donne come tali non sono un gruppo uniforme portatore di comuni interessi particolari, esse sono quell’umanità che domanda di esistere alla luce del sole e che sta trovando in sé la forza di riuscirci, in prima persona, senza deleghe.
Così ancora si discute di parità ma poche vedono proprio sul piano della democrazia mostruosità addensarsi all'orizzonte. Come per l’Italicum, con i suoi premi di maggioranza e esclusioni delle minoranze: la parità di genere sta diventando la maschera di una democrazia in decomposizione.