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Energia pulita, il 100% si può fare: Costa Rica, Austria e Islanda realizzano il sogno

Dal Costa Rica fino all’Austria in molti luoghi l’elettricità viene prodotta in modo pulito. E la transizione verso un’economia totalmente green darebbe 22 milioni di posti di lavoro nel mondo. Ma in Italia…
A cura di Mirko Bellis
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Energie rinnovabili

Essere 100% rinnovabili si può. Lo ha dimostrato il Costa Rica che l’anno scorso ha raggiunto il record di generare tutta la sua energia da fonti rinnovabili, combinando idroelettrico e geotermico per 75 giorni di fila. Grazie alle abbondanti piogge, quattro dei principali impianti idroelettrici hanno dato energia all'intero Paese senza necessità dell’apporto di fonti derivate dagli idrocarburi. Sulla base di questi risultati incoraggianti, il governo ha approvato un progetto che prevede di investire quasi un miliardo di dollari nella costruzione di nuove grandi centrali geotermiche nella provincia di Guanacaste, nel nord ovest del Paese. Gli impianti dovrebbero generare elettricità ad un costo di soli 5 centesimi per chilowattora.

Il Costa Rica non è l’unica realtà ad aver raggiunto questo importante traguardo ambientale. Lo Stato della Bassa Austria, il più esteso dei nove che compongono l’Austria, ha recentemente raggiunto l’obiettivo di produrre il 100% dell’energia necessaria tramite fonti rinnovabili. Il premier Erwin Proell ha dichiarato che sono stati compiuti pesanti investimenti per migliorare l’efficienza energetica ed espandere l’uso delle rinnovabili. Dal 2002 la cifra impiegata a questo scopo ha sfiorato i tre miliardi di euro e grazie a questi soldi si sono potuti costruire, per esempio, dei “parchi solari” oppure sono state rinnovate le centrali idroelettriche sul Danubio. Ora il 63% dell’energia della Bassa Austria proviene dall'idroelettrico, il 26% dall'eolico, il 9% dalle biomasse e il restante 2% dal solare. In Austria, nel suo complesso, il 75% dell’energia arriva da fonti rinnovabili e solo il restante quarto proviene da combustibili fossili. Anche dal punto di vista dell’occupazione, la “green energy” è una scommessa assolutamente vinta: in Bassa Austria sono stati creati 38.000 posti di lavoro, e l’intenzione è di portarli a 50.000 entro il 2030.

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Un altro esempio virtuoso arriva dalla Svezia dove il governo ha annunciato per il 2016 un aumento del budget di 546 milioni di dollari destinato alle energie rinnovabili con l'obiettivo di diventare una delle prime nazioni del mondo a porre fine alla sua dipendenza dai combustibili fossili. La maggior parte dell'aumento di bilancio sarà finanziata con tasse più pesanti sulla benzina e il gasolio.

In Islanda, la capitale Reykjavik è tra le città al mondo diventate in pochi anni a “emissioni zero”: solo lo 0,1% dell'energia elettrica prodotta deriva dai combustibili fossili e il trasporto pubblico ha scommesso tutto sull'idrogeno. Certo, la città è avvantaggiata dalla ricchezza di risorse del sottosuolo islandese, che garantisce la disponibilità di energia geotermica in grande quantità. Ciò non toglie che la chiave del successo di Reykjavík stia non solo nella disponibilità di risorse, quanto nella capacità di metterle a frutto, avendo scommesso in processi di innovazione, sviluppo e ricerca.

Vancouver, città di seicento mila abitanti sulla costa occidentale del Canada, ha conquistato nel 2015 il podio della classifica del City climate leadership awards grazie ad una visione coraggiosa che la porterà a diventare la città più verde del mondo entro il 2020. Le politiche ambientali della città promettono di utilizzare solo fonti di energia verde in tutti i settori: energia elettrica, riscaldamento e trasporti.

Le Nazioni europee e le energie rinnovabili

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Le città e le aree urbane sono responsabili del 70-75% delle emissioni globali di CO2 ed è per questo che più di cinquanta città al mondo stanno lavorando per raggiungere il target del 100% rinnovabili: tra queste ci sono San Diego e San Francisco in California, Sydney in Australia e Copenaghen. Alcuni puntano a raggiungere l’obiettivo nel 2020, altri spostano il termine ultimo al 2030-2035.

In Italia la produzione è principalmente non rinnovabile attraverso la combustione di combustibili fossili in centrali termoelettriche costituisce il 72,7% della produzione totale nazionale. Secondo le statistiche di Terna, la maggior parte delle centrali termoelettriche italiane sono alimentate a gas naturale (59,5% del totale termoelettrico nel 2012), carbone (21,6%) e derivati petroliferi (4,3%).

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Il trend nazionale dell'energia rinnovabile in Italia è in calo: nel 2013 si è registrato un 33,4% da fonti rinnovabili; nel 2015 un 33,2% della produzione nazionale.

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E con un po’ di impegno, 139 Paesi entro il 2050 potrebbero produrre tutta l’energia di cui hanno bisogno in ogni settore economico da fonti rinnovabili. Lo afferma uno studio condotto da Mark Jacobson e Mark Delucchi, due ricercatori americani dell’Università di Stanford. In queste nazioni, tramite eolico, fotovoltaico e idroelettrico si potrebbe alimentare l’edilizia, i trasporti, le imprese, l’industria e l’agricoltura. I piani nazionali di Jacobson-Delucchi sono estremamente dettagliati (qui per quanto riguarda l’Italia) e prevedono il numero esatto di turbine eoliche, parchi solari e dighe idroelettriche necessari per la produzione totale di energia rinnovabile.

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Gli accordi internazionali per ridurre le emissioni potrebbero essere superflui – hanno sottolineato i due ricercatori –  se i governi passassero con decisione alle rinnovabili e smettessero in tempi rapidi di bruciare petrolio, gas e carbone. Con la produzione pulita di energia non servirebbe nemmeno l’energia nucleare.

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Secondo i calcoli di Jacobson, la transizione (che durerebbe fino al 2050) creerebbe in tutto il mondo 22 milioni di posti di lavoro, al netto di quelli persi nel campo dei combustibili fossili. Convertirsi totalmente alle rinnovabili permetterebbe di ridurre i conflitti internazionali legati al controllo delle fonti energetiche e farebbe risparmiare dai sedici ai venti trilioni per anno sui costi legati al riscaldamento globale. Il percorso verso una società 100% green infine potrebbe impedire fino a 7 milioni di morti premature l’anno provocate dall'inquinamento atmosferico dei combustibili fossili.

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"Spesso le persone non sanno cosa sarebbe possibile ottenere – fa notare Jacobson – ma questi sono numeri che catturano l'attenzione". Le principali barriere per una conversione – concludono i ricercatori – non sono né tecniche né economiche quanto piuttosto di carattere sociale e politico.

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