È solo una questione di affluenza. Chi vince lo sappiamo già. Il Cremlino punta però a fare di queste elezioni un plebiscito con numeri record. Per far vedere all’Occidente che il regime è lì per rimanere e che la popolazione garantisce un supporto totale a Vladimir Putin.
"Si tratta di convalidare il totalitarismo ibrido al potere e il conflitto permanente con l’Occidente", dice a Fanpage.it da Mosca il politologo Andrei Kolesnikov. Il concetto è quello efficientemente espresso già dieci anni fa dal presidente della Duma di Stato, Vyacheslav Volodin: "La Russia senza Putin non esiste". Erano i mesi dell’annessione della Crimea e dell’intervento militare nel Donbass. Come sempre durante le crisi e le guerre, il consenso per il presidente saliva a picchi fino ad allora inviolati.
I “nostri” giovani
Vladimir Putin ha invitato i cittadini a dar prova di “patriottismo” e ad andare alle urne. È soprattutto tra i giovani che si vogliono aumentare votanti e preferenze per il capo. Un alto funzionario dell’amministrazione comunale moscovita e tre suoi colleghi degli Oblast occidentali della Russia hanno confidato al Moscow Times che studenti, laureati e giovani ricercatori stanno da settimane subendo pressioni dalle autorità locali, le università e i datori di lavoro per andare alle urne e scegliere Putin. "Il Cremlino vuole numeri eclatanti, e stiamo lavorando sui ragazzi per fare quel che che ci è stato chiesto", ha spiegato uno dei funzionari.
In pratica, "si stanno organizzando una sorta di pre-brogli elettorali", secondo Mark Galeotti, “putinologo” e storico della Russia contemporanea. Eppure, con ogni probabilità non saranno i giovani i protagonisti del prevedibile trionfo del presidente a vita — visto che ha cambiato la Costituzione per poter restare al potere almeno fino al 2036, quando avrà 84 anni. Perché i giovani non hanno mai manifestato molta passione per il regime. Nonostante gli sforzi del governo anche nel passato, quando l’allora “eminenza grigia” del Cremlino, Vladislav Surkov, creò l’organizzazione Nashi (ovvero “i nostri”) che pur dichiarandosi “antifascista” somigliava un po’ alla Gioventù Italiana del Littorio.
Conformisti passivi
I giovani restano tutto sommato l’unica speranza di un futuro più liberale per la Russia. I veri protagonisti di queste elezioni, quelli che convalideranno il “totalitarismo ibrido” di Putin, secondo Kolesnikov, saranno i "conformisti passivi che non vogliono vedere o sentire quel che è evidente e sonoro". Per trovare scuse per quel che non è scusabile, e per spiegare a se stessi ciò che è inspiegabile, "la gente comune adotta la posizione fetale, abdicando a ogni responsabilità e difendendosi da mondo reale attraverso i cliché della propaganda imposta dall’alto", ha scritto Kolesnikov su Carnegie Politika.
I conformisti, passivi o aggressivi che siano, troveranno un motivo in più per conformarsi nell’aumento a due cifre percentuali dei salari, nella relativa stabilizzazione del rublo e nella diminuzione della povertà e della disoccupazione. Cinici frutti dell’economia di guerra alimentata dalla spesa pubblica e delle finanze aiutate da prezzi del petrolio ancora alti.
Un “referendum sulla guerra”: cosa dicono i sondaggi
L’istituto di sondaggi indipendente russo Levada si aspetta che Putin prenda tra il 70 e il 75% dei voti, ha detto a Fanpage.it il direttore scientifico, Lev Gudkov. Poco sopra gli ultimi dati statistici sul suo gradimento nel Paese. Resta un buon 20-22% della popolazione che, nonostante le difficoltà di condurre indagini sociologiche in un regime totalitario o semi-totalitario, si dichiara essere contro l’attuale leader del Cremlino.
Gli studi di Gudkov e dei suoi colleghi hanno però registrato un numero ben superiore di persone che, pur non contestando radicalmente il regime, vorrebbero veder finita prima possibile la cosiddetta “operazione militare speciale” in Ucraina. Chi la sostiene in pieno e vuole che continui è “solo” un 30% abbondante dei russi. E questo, secondo alcuni osservatori, potrebbe anche riservare qualche seppur limitata sorpresa alle urne.
“Le elezioni saranno certamente un momento molto delicato per il regime”, dice a Fanpage.it l’ex speechwriter di Putin Abbas Gallyamov. “Più che di eleggere un presidente si tratterà di votare per la guerra o per la pace. Sarà una specie di referendum. E se la maggioranza degli elettori scegliesse la pace, il governo dovrebbe allora falsificare il voto. Ciò provocherebbe scontento. E forse anche una sollevazione di popolo”.
Intanto, Yulia Navalnaya ha indetto una protesta per la giornata clue delle presidenziali russe, il 17 marzo. La vedova della nemesi di Putin, Alexei Navalny, il politico dell’opposizione morto il 16 febbraio scorso in circostanze sospette nella più remota e dura colonia penale della Russia, ha chiesto ai suo concittadini di recarsi ai seggi tutti insieme alle 12 precise. Code e assembramenti sarebbero “legali”, vista la giornata elettorale. Ma sarebbero in realtà una critica lampante e significativa al regime.
Candidati bocciati
Anche se in qualche remota regione sono di fatto già iniziate, le presidenziali russe si terranno durante tre giorni, dal 15 al 17 marzo. Gli aventi diritto al voto sono 112,3 milioni di cittadini, su una popolazione di 147 milioni sparsa su undici diversi fusi orari. Si voterà anche nei territori annessi dell’Ucraina. Quasi due milioni, poi, i russi che potranno votare dall’estero. Nel 2018 l’affluenza fu del 67,5%. Il Cremlino punta oggi a superare di gran lunga quella quota. Per la prima volta si voterà per il presidente anche online. I critici del regime denunciano opacità nelle regole che sovrintendono al voto telematico e si aspettano possa trasformarsi in una fonte di brogli.
I candidati alle elezioni in Russia di fatto li sceglie il governo. O meglio, li sceglie la Commissione centrale per le elezioni. Che però è espressione diretta del Cremlino. È infatti composta da 15 membri nominati in modo paritetico da Putin, dalla Duma e dal Consiglio federale, il Senato russo. Nella Duma e nel Consiglio federale non sono presenti partiti o singoli parlamentari che si oppongano al presidente. Ogni opposizione è "sistemica", come la definisce il governo stesso. Ovvero, non è vera opposizione. Non vota mai contro. È chiaro a chi la Commissione obbedisca.
Infatti, la Commissione ha scartato l’aspirante candidato Boris Nadezhdin, che si presentava condannando la guerra in Ucraina e la politica del regime. Le code per la raccolta delle firme per candidarlo furono lette come un estremo modo “legale” di contestare Putin a fronte della sempre più totale repressione di ogni forma di opposizione. E la commissione ha escluso anche Yekaterina Duntsova, la ex giornalista televisiva che oltre alla fine dell’invasione del Paese vicino aveva nel suo programma addirittura il rilascio dei prigionieri politici. In entrambi i casi, la ragione — o probabilmente il pretesto — del niet è stata ufficialmente la presunta irregolarità di alcuni documenti e della raccolta di firme necessari per proporre la candidatura. Esattamente come successo in precedenti tornate elettorali. Evidentemente in Russia chi è contro Putin non è bravo con la burocrazia.
Candidati scelti
Oltre all’inossidabile Vladimir Putin, i candidati a queste presidenziali sono tre. E tutti più realisti del re. Il più famoso è Leonid Slutsky, 56 anni. È il leader del Partito liberal democratico. Che nulla ha di liberale né di democratico e sostiene la politica del Cremlino da destra. Le sue sparate contro l’Occidente sono proverbiali. Come presidente della commissione esteri della Duma, incarico che ha avuto per anni nel passato, è stato spesso in contatto con i simpatizzanti italiani di Putin, organizzando in alcuni csi — attraverso la sua Fondazione russa per la pace — le missioni dei sedicenti “osservatori elettorali” delle nostre parti per il voto in Russia e nei territori da essa occupati.
C’è poi il giovane Vladislav Davankov, 40 anni, vice presidente della Duma. Partito: Popolo nuovo. Anch’esso “sistemico”, ovvero pro-Putin. Viene considerato però su posizioni un po’ più liberali rispetto ai falchi del regime. Dice di essere “per la pace e le trattative”. Ma non ha mai menzionato l’Ucraina, dicendolo. Né usa la parola guerra. Ma il tipo più ineffabile è probabilmente Nikolai Kharitonov, 75 anni, del Partito Comunista. Deputato della Duma. Intervistato dalla Bbc, alla domanda “perché ritiene di poter essere un presidente migliore di Putin” ha risposto testualmente: “Non sta a me dirlo. Però Putin cerca di risolvere molti degli anni ’90, quando Eltsin trascinò la Russia nel capitalismo selvaggio. Sta cercando di consolidare la nazione per vittorie in ogni area. È le otterrà”! Non sembrano proprio le parole di un contendente.
Giornalista e broadcaster. Corrispondente da Mosca a mezzo servizio (L'Espresso, Lettera 43 e altri - prima di Fanpage). Quindici anni tra Londra e New York con Bloomberg News e Bloomberg Tv, che mi inviano a una serie infinita di G8, Consigli europei e Opec meeting, e mi fanno dirigere il servizio italiano. Da giovane studio la politica internazionale, poi mi occupo di mostri e della peggio nera per tivù e quotidiani locali toscani, mi auto-invio nella Bosnia in guerra e durante un periodo faccio un po' di tutto per l'Ansa di Firenze. Grande chitarrista jazz incompreso.