Elezioni Iran – Ahmadinejad sconfitto, ma Israele e USA non modificano i piani
Non sorprende il risultato delle elezioni parlamentari in Iran: Ahmadinejad viene battuto da Khamenei, leader del fronte conservatore e Guida Suprema dello Stato fin dal 1989, nonché ex alleato politico del presidente in carica. Nel 2009, infatti, mentre in piazza esplodeva la rivoluzione verde e migliaia di persone affollavano le strade di Teheran chiedendo "where is my vote?", l'Ayatollah Khamenei – incurante delle proteste, degli spudorati brogli elettorali e del parere contrario di quattro Ayatollah sui dieci presenti in patria – confermò la rielezione di Ahmadinejad, affermando che "il voto certo e senza precedenti degli iraniani per il Presidente riflette la loro approvazione del bilancio del governo uscente". Colpito da un tale atteggiamento di sfida della volontà popolare, Il Grande Ayatollah Montazeri (progressista, leader della rivoluzione del 1979 e fortemente critico riguardo la politica iraniana), chiese persino la destituzione di Khamenei da Guida Suprema, ma senza risultati. Oggi, Khamenei, è più potente che mai e non pare affatto incline a offrire nuovamente il suo appoggio ad Ahmadinejad. I risultati elettorali raccontano di un'affluenza alle urne "senza precedenti", ovvero pari al 65% della popolazione. Ma, considerando l'assenza di verifiche indipendenti e, più di tutto, il clima di assoluta sfiducia politica che si respira nel paese, i dati paiono alquanto sovrastimati.
Del resto: come fidarsi dei risultati elettorali in Iran dopo quanto è accaduto nel 2009? Che siano affidabili o meno, però, i dati parlano chiaro: il Majlis, parlamento iraniano, eletto lo scorso venerdì, sarà come di consueto dominato da una nutrita frangia conservatrice, con il 75% di forze vicine all'Ayatollah Khamenei e una piccola parte ancora nelle mani di Ahmadinejad. Ai riformatori non restano più di 19 posti (contro i 60 della precedente legislatura), almeno secondo i risultati elaborati fino a questo momento. Dei 290 seggi parlamentari, 224 sono stati assegnati oggi mentre 63 seggi saranno assegnati al secondo turno (che si terrà ad aprile); tre posti rimangono vacanti. Ahmadinejad, da par suo, sarebbe stato comunque costretto a lasciare la carica al termine del secondo mandato, ovvero tra un anno e mezzo, ma considerato l'attuale scenario, si preparano mesi assai difficili per l'ex sindaco di Teheran, in carica dal 2005. Ad uscire sconfitta dal confronto elettorale è anche la sorella del presidente, la popolare Parvin, la cui vittoria sembrava ormai certa nella circoscrizione della città natale di Garmsar. Si tratta, insomma, di una batosta annunciata che assume le proporzioni della catastrofe politica per presidente in carica, acerrimo nemico degli Stati Uniti e di Israele. Ciononostante, la sua disfatta non cambia di una virgola il precario equilibrio internazionale.
Secondo alcuni analisti politici, Khamenei sarebbe ancor più radicale di Ahmadinejad riguardo gli armamenti atomici. Eppure, stando a quanto dichiarato al Jerusalem Post da Eliezer Tzafrir (capo dell'ufficio del Mossad alla vigilia della rivoluzione islamica del 1979 in Iran) i presenti risultati elettorali non modificano l'atteggiamento di Israele nei confronti del programma nucleare di Teheran, anzi. Tzafrir, infatti, afferma che "le elezioni sono rilevati solo in termini di diatribe interne al regime" e ancora: "tutti dicono che Khamenei e i suoi compari sono ancor più estremisti di Ahmadinejad e i suoi. Non sono sicuro che sia vero […] ma il regime iraniano è ossessionato dall'Occidente, da Israele e America in particolare". Ciononostante, per Tzafrir l'obiettivo di Ahmadinejad è un bene per Israele: "Lo dico scherzando, ma l'obiettivo di Ahmadinejad è un bene per Israele. Perché? Perché parla come Hitler, e il mondo può così comprendere il significato di quello che dice. Altri regime nascondono il loro obiettivo di cancellare Israele dalla carta geografica". In generale, l'atteggiamento dell'ex capo del Mossad resta piuttosto ottimista riguardo una possibile rivoluzione democratica in Iran; a suo giudizio – infatti – la maggior parte del popolo iraniano (intorno all'80%) si oppone al regime, e sotto la spinta delle sanzioni internazionali è prevedibile che il regime teocratico di Teheran venga ribaltato dagli stessi iraninai. "Purtroppo però" sottolinea Tzafrir "è probabile che l'Iran riesca a costruire la bomba prima di allora". Questo significa che i piani d'attacco di Israele restano intatti e che, anzi, è probabile che subiscano una leggera accelerazione.
Intanto, negli USA, Obama è sempre più sotto pressione rispetto alla vicenda Israle-Iran. Mitt Romney, tra i candidati favoriti alle primarie repubblicane, accusa il presidente USA di non riuscire a "comunicare adeguatamente con la Repubblica islamica" e arriva a parlare di un possibile "secondo Olocausto". Nell'attaccare Obama, però, Romney coglie l'occasione per illustrare il suo personale piano d'azione: "Prenderò in considerazioni le opzioni militari. Attuerò sanzioni economiche paralizzanti e parlerò al popolo iraniano del pericolo che affronteranno se decideranno di diventare una potenza nucleare… Non permetterò che la vostra generazione debba preoccuparsi della minaccia iraniana o di chiunque altro intenda usare materiale nucleare contro gli americani". Attacchi del genere sono all'ordine del giorno per Obama, che probabilmente si vedrà costretto a forzare la sua stessa mano per mettere a tacere le voci di chi lo considera "troppo debole" per guidare il paese e poco incline ad affiancare Israele in ogni circostanza.