Elezioni in Gran Bretagna: la partita è su immigrazione, crescita e sanità
Crescita economica, sistema sanitario nazionale, immigrazione e rapporti con l'Unione Europea. Su questi quattro macro temi si gioca il futuro politico della Gran Bretagna. A meno di 24 ore dal voto, le urne saranno aperte domani 7 maggio dalle 6 alle 21 ora di Londra, l'esito della tornata elettorale è tutt'altro che certo e l'ipotesi di un nuovo governo di coalizione è sempre più credibile.
Al momento, secondo i sondaggi più accreditati, né i conservatori dell'attuale premier David Cameron, né il laburisti dello sfidante Ed Milliband riusciranno a conquistare i 326 seggi della Camera dei Comuni necessari a governare il paese in autonomia. Lo stesso esecutivo conservatore uscente è frutto di una coalizione, siglata all'indomani della tornata elettorale del 2010 tra i Tory di Cameron e i LibDem di Nick Clegg, la prima nel Regno Unito dalla fine della Seconda guerra mondiale.
A scompaginare le carte ci sono altre due formazioni: i nazionalisti scozzesi dello Snp guidati dalla carismatica leader Nicola Sturgeon (che secondo molti osservatori potrebbero diventare il terzo partito del paese), e gli ultraconservatori ed euroscettici dell'Ukip guidati da Nigel Farage, portando così a cinque le formazioni in campo che, per quanto riguarda i LibDem, l'Snp e l'Ukip, andranno ad erodere le preferenze dei due principali partiti e creando così le condizioni per la formazione di un governo di coalizione.
E se i LibDem di Clegg sembrano aperti ad ogni ipotesi di accordo, una volta chiuse le urne s'intende, si prevede che gli euroscettici dell'Ukip non sigleranno alcuna intesa andando a “rubare” unicamente l'elettorato più conservatore dei Tory spaventato dalle ondate migratorie, sia comunitarie che extra Ue, che negli ultimi anni si sono riversate nel paese di Sua Maestà. Le posizioni notoriamente anti europeiste, e spesso xeonofobe e razziste dell'Ukip hanno spaventato in molte occasioni sia i laburisti per la gravità delle dichiarazioni che i conservatori, per l'evidente sovrapposizione (in termini estremisti) delle tematiche da sempre care ai Tory.
Il tema dell'immigrazione, connesso con la posizione britannica all'interno dell'Unione Europea, è di fatto uno degli argomenti al centro della campagna elettorale e su cui, secondo gli addetti ai lavori, si sta giocando il futuro del paese. Il premier Cameron, consapevole dei mal di pancia del suo elettorato storico, ha annunciato durante la campagna elettorale che, se sarà rieletto premier, promuoverà un referendum (entro il 2017), per far uscire – o meno –, la Gran Bretagna dall'Ue, mentre ha già annunciato che a prescindere dalla possibile tornata referendaria, sempre se riconfermato alla guida del numero 10 di Downing Street, lavorerà da subito per rinegoziare i rapporti di forza con Bruxelles e riportando alle scelte del suo esecutivo alcune prerogative esecutive, tra cui spicca quella di vole introdurre dei limiti agli ingressi di cittadini stranieri nel Regno Unito (su cui comunque il suo governo ha già imposto un primo giro di vite), e andando già a scontrarsi con il principio della libera circolazione in territorio comunitario e incassando le critiche e l'opposizione sia dei vertici di Bruxelles che della Germania.
Cameron è forte di un crescita economica molto incoraggiante per il paese, il Pil stimato per il 2015 è al +2,5 per cento mentre la disoccupazione è scesa al 5,6 per cento, e al fine di continuare su questa strada chiede la fiducia ai suoi elettori per un secondo mandato, possibilmente pieno. Molti istituti di sondaggi evidenziano come il tema della ripresa economica unito a quello del contrasto all'immigrazione siano temi di grande presa nelle aree considerate più periferiche del paese e meno sviluppate dal punto di vista economico. Se la City vede, in generale, di buon occhio le politiche economiche e finanziare perseguite dai Tory in questi cinque anni, caratterizzate dal contenimento della spesa, dai tagli e dalla riduzione della pressione fiscale, osserva dall'altro con timore il possibile argine all'arrivo di nuovi lavoratori stranieri che, disposti a molto pur di lavorare a Londra e dintorni, hanno contribuito a rinsaldare la crescita economica britannica divenendo le braccia e la manodopera (spesso a poco prezzo) del post crisi. Sull'altro fronte, quello dei progressisti, Ed Milliband ha caratterizzato la campagna elettorale mettendo in evidenza come l'operato di Cameron, per quanto proficuo in termini generali, sia ricaduto in termini negativi sulle spalle soprattutto dei ceti meno abbienti andando a creare nuove sacche di povertà e di emarginazione sociale. Secondo l'esponente progressista larghe fasce della popolazione hanno osservato un peggioramento sensibile delle condizioni di vita nel corso dell'ultimo lustro. E proprio in questo contesto s'inserisce il terzo tema caldo della campagna elettorale: il futuro dell'Nhs, ovvero il sistema sanitario nazionale, che i laburisti vorrebbero più equo, solidale e meno discriminatorio. Lo stesso Milliband ha citato un rapporto del Tussel Trust, organizzazione benefica che opera nel settore delle banche del cibo, secondo cui in un anno ci sono state più di un milione di domande di supporto alimentare, con una crescita eccezionale rispetto al recente passato.
In questo e a supporto della presenza del Regno Unito all'interno dell'Ue si è schiarato lo Snp scozzese. La sua leader Nicola Sturgeon si è più volte dichiarata contraria alle forme di austerity proposte da Cameron, a favore del rinvigorimento dello stato sociale nell'interno paese e per un maggiore intervento dello Stato nella vita dei cittadini. Programma che di fatto collima, per buona parte, con le proposte dei laburisti relative alla promozione di nuovi investimenti nel settore della sanità, dell'educazione e, soprattutto, per far crescere il carico fiscale sui ceti più agiati. In generale, tuttavia, è opportuno sottolineare come anche questa campagna elettorale sia poco sentita dalla popolazione, rimanendo in linea – almeno apparentemente –, con la tendenza europea di disinteresse verso il voto.