Egitto, la piccola Nada uccisa a 12 anni dalla mutilazione genitale femminile
Nada Hassan Abdel-Maqsoud è morta dopo aver subito una mutilazione genitale femminile (Fgm). Aveva solo 12 anni. Sono stati i suoi genitori e gli zii a portarla in una clinica privata a Manflout, città del governatorato di Assiut, nell’Egitto centrale. Ad eseguire l’operazione un ginecologo di 70 anni in pensione. Subito dopo l’intervento chirurgico, la 12enne ha cominciato a stare male, l’emorragia provocata dalla mutilazione genitale non cessava e a nulla sono valsi i primi soccorsi. Nada è morta lo scorso 30 gennaio.Un rito crudele quello dell’ablazione del clitoride che, nonostante sia punito dalla legge egiziana, continua ad essere praticato a migliaia di giovani, in alcuni casi poco più che bambine.
“Le indagini hanno rivelato che il padre, la madre e la zia della dodicenne avevano accompagnato Nada da un ginecologo in pensione per eseguire un’operazione di circoncisione”, ha dichiarato Hamada El-Sawy, il procuratore egiziano che segue il caso. “All’uscita dallo studio medico si sono verificate delle complicazioni. – ha proseguito il magistrato – il medico sarebbe intervenuto però senza riuscire a salvarla”. Secondo quanto ha riferito il quotidiano egiziano Youm7, il dottore ha eseguito l’ablazione dell’organo sessuale di Nada senza alcuna anestesia. Davanti al pubblico ministero, l’anziano medico ha ammesso di aver condotto l’operazione da solo, senza l’aiuto di infermieri o anestesisti perché non ce ne sarebbe stato il bisogno visto il tipo di intervento chirurgico. Si è saputo, inoltre, che nella sala operatoria era presenti invece la madre e la zia della ragazzina che hanno assistito alla mutilazione genitale della figlia. Per la morte di Nada sono stati incriminati i genitori, la zia e il ginecologo. Al momento non è ancora chiaro se anche lo zio della 12enne è accusato dello stesso reato.
Il caso ha suscitato lo sdegno delle Nazioni Unite in Egitto. “Siamo profondamente rattristati che si verifichino ancora fatti del genere nel 2020 – si legge in una nota della rappresentanza Onu nel Paese nordafricano – nonostante i progressi compiuti per sradicare questa pratica violenta in termini di riforma della legge, sensibilizzazione e impegno diretto con le comunità locali e i leader religiosi. Accogliamo con favore la dichiarazione del Comitato nazionale per l’eradicazione delle Fgm che denuncia il terribile incidente e, nel rispetto delle indagini in corso e dell’indipendenza del processo giudiziario, facciamo eco alla sua richiesta di massima pena per gli autori”. “Medicalizzare la mutilazione genitale femminile non la rende più sicura”, avvertono l’Unfpa (Fondo delle Nazioni Unite per la popolazione) e Unicef, ricordando che “nella sola Africa, 25 milioni di ragazze sono state mutilate senza alcuna assistenza sanitaria”.
In Egitto 8 donne su 100 hanno subito l’ablazione del clitoride
È dal 1990 che l’Egitto cerca di fermare le mutilazioni genitali femminili. Sono dovuti trascorre diversi anni prima che il parlamento approvasse nel 2008 una legge che vietava l’ablazione del clitoride. Con la riforma del 2016, inoltre, sono state inasprite le pene per chi esegue questo genere di interventi: nel caso di morte o di invalidità permanente della vittima della mutilazione sessuale, il colpevole passerà 15 anni in carcere. Tutte queste misure, tuttavia, non sembrano aver prodotto grandi risultati se, come emerso in un sondaggio realizzato nel 2015, l’87% delle donne egiziane tra i 15 e i 49 anni ha affermato di aver subito questa orribile operazione. “Molti altri ragazze saranno costretti a sottoporsi alla procedura, e molte di loro moriranno fino a quando non ci sarà una chiara strategia da parte dello Stato e una vera criminalizzazione di questa pratica”, ha affermato Amel Fahmy, direttrice dell'associazione Tadwein. “Gli stessi giudici non sono convinti che la circoncisione femminile sia un crimine che vada punito – ha sottolineato Reda el-Danbouki, avvocato egiziano per i diritti umani – sono sempre indulgenti quando si tratta di casi che comportano violenza contro le donne”.
Almeno 200 milioni di bambine e adolescenti vittime di un rito crudele
La mutilazione genitale femminile è una violazione dei diritti umani delle ragazze e delle donne riconosciuta a livello internazionale che continua ad essere praticata non solo in Africa ma anche in tanti altri Paesi del mondo. Sono almeno 200 milioni le bambine e donne sottoposte a questo rito crudele. Secondo i dati diffusi dall'Organizzazione mondiale della sanità (Oms), la maggior parte di loro vive in Africa, Medio Oriente e Asia, ma la mutilazione genitale femminile (Fgm) viene praticata anche in Europa, Australia, Canada e negli Stati Uniti. Un fenomeno che colpisce anche bambine e giovani donne migranti che vivono in Italia, spesso costrette a sottoporsi all'ablazione del clitoride quando tornano nel loro Paese d'origine in estate per visitare i parenti. Secondo uno studio dell’Università degli Studi Milano–Bicocca, sarebbero tra 61.000 e 80.000 le donne presenti nel nostro territorio sottoposte durante l’infanzia alla mutilazione dei genitali.
Il 6 febbraio: Giornata mondiale contro le mutilazioni genitali femminili
Per ragioni ancora difficili da estirpare, senza che ci sia nessun beneficio per la loro salute, i corpi femminili vengono privati della loro sessualità. Le donne che hanno subito il taglio non possono avere relazioni sessuali normali. Le complicazioni immediate possono includere: dolore intenso, eccessivo sanguinamento (emorragia), gonfiore del tessuto genitale, febbre, infezioni, problemi urina e lesioni al tessuto genitale circostante e in alcuni casi anche la morte. Ma è quando la ferita si rimargina che le problematiche diventano croniche, con conseguenze importanti soprattutto per la salute materna. A tutto questo vanno aggiunti i problemi psicologici come depressione, ansia, disturbi da stress post-traumatico e in generale una bassa autostima.
L'eliminazione delle mutilazioni genitali femminili è inclusa fra gli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile e dovranno essere raggiunti entro il 2030. Ogni 6 febbraio ricorre la Giornata internazionale della tolleranza zero verso questa pratica, con l’obiettivo di promuovere campagne di sensibilizzazione e azioni concrete per combattere questa forma di violenza su bambine e giovani donne.