video suggerito
video suggerito
Opinioni

Egitto, il “golpe democratico”: la rivoluzione popolare, con i carri armati dell’esercito

Il golpe militare e la destituzione di Morsi aprono la strada a molti interrogativi. È la vittoria del popolo, certo, ma “resta il fatto che l’esercito è uscito dalle caserme e non sarà facile farcelo ritornare”.
208 CONDIVISIONI
Immagine

L'Egitto si è liberato di Morsi e dei Fratelli musulmani. Il popolo egiziano ha preso in mano il suo futuro e ha cacciato con una mobilitazione senza precedenti un Governo incapace di dare continuità alla "rivoluzione" di due anni fa. La coscienza civile di un intero popolo si è nuovamente ridestata e ha spazzato via i restauratori (?) della tradizione islamica. Ancora una volta è stato chiaro che la rivoluzione non è morta e che è possibile che la volontà popolare trionfi.

Sono queste, in ordine sparso, alcune delle considerazioni che rimbalzano sui social network e su cui si basano gran parte delle analisi pubblicate dai media. Tacendo per carità di patria della facilità con la quale opinionisti, commentatori ed analisti pontificano sul trionfo del popolo egiziano (senza magari mai, non dico essere stati in Egitto, ma nemmeno aver consultato "fonti dirette" in maniera continua e sensata). Ma, per fortuna oserei dire, mai come questa volta è stato possibile vedere l'altra faccia della luna e sono stati davvero in molti a sottolineare quelli che sembrano passaggi cruciali della vicenda.

A cominciare dall'ovvia constatazione della deposizione manu militari di un Capo di Stato eletto democraticamente. Un Presidente inadeguato, magari, ma in ogni caso eletto dal popolo. E deposto solo grazie al decisivo intervento dell'esercito, che rischia ora di avere un peso ingombrante, quasi insostenibile per un organismo così fragile. Intervento probabilmente avallato anche dall'amministrazione Obama, che si sarebbe limitata a chiedere cautela nell'utilizzo della forza militare in modo da evitare spargimenti di sangue (anche se ovviamente non sono mancati scontri tra i sostenitori di Morsi e le forze armate). Non può sfuggire tuttavia che si sia trattato del risultato della mobilitazione popolare che ha scosso l'Egitto dalle fondamenta: lo ricordava Iside Giegji sul Fatto, "soltanto nei primi cinque mesi del 2013 in Egitto ci sono state 5.544 manifestazioni, vale a dire 42 manifestazioni al giorno. Soltanto nel mese di marzo ci sono state 1.354 proteste, 1.462 ad aprile e 1.300 a maggio". 

Ne parla anche Alessandro Accorsi (@ali_burrasque su twitter) su Europa, ricordando come "l'esercito e il popolo hanno agito all’unisono e la primavera araba non muore con il colpo di stato. Senza la spinta popolare, i militari non avrebbero potuto fare la loro mossa". E Bernard Guetta (in uno straordinario pezzo tradotto da Internazionale) ricorda che "riunendo i più poveri e l’Egitto modernista, si è formata una nuova maggioranza a colpi di petizioni e grandi manifestazioni, e l’esercito è corso in aiuto della contestazione organizzando un colpo di stato con l’appoggio dei partiti laici e di alcune autorità religiose musulmane e cristiane. Non è stato solo l’esercito a rovesciare il presidente Mohamed Morsi, ma anche una larga coalizione che politicamente rappresenta la maggioranza degli egiziani".

C'è però un ulteriore passaggio da fare. Necessario. Perché se non ha alcun senso parlare di "morte della primavera araba", proprio per la portata della mobilitazione di ceti popolari, società civile e borghesia cittadina, allo stesso tempo non si può tacere dell'enorme fattore di preoccupazione di queste ore: la presenza, ingombrante, dell'esercito; l'ombra lunga del controllo militare sul quel "rapido ritorno al processo democratico, compresa l’organizzazione di elezioni presidenziali e legislative giuste e libere per consentire al paese di riprendere e portare a buon fine la sua transizione democratica" di cui ha parlato Lady Ashton.

Non si fa la rivoluzione democratica con i carri armati, sembra pacifico. E quanto la primavera sia incompatibile con gli arresti "politici" dei Fratelli Mussulmani questo è evidente a tutti. Così come la consapevolezza che il legame con i militari deve necessariamente essere reciso per costruire una certa partecipazione democratica, specie in un momento in cui la Costituzione è sospesa, il Parlamento è sciolto e si attende di capire quando verranno indette nuove elezioni presidenziali (entro un anno?). Il tutto in presenza di una crisi economica che è tra le cause più dirimenti dell'intera crisi politica. Insomma, il cammino del nuovo Egitto deve ancora cominciare e, per citare nuovamente Guetta, se la presenza dei militari "non significa necessariamente che siamo tornati alla dittatura militare, perché l’Egitto in rivoluzione non si lascerà rubare facilmente le libertà conquistate", resta il fatto che "l’esercito è uscito dalle caserme, e non sarà facile farcelo ritornare".

208 CONDIVISIONI
Immagine
A Fanpage.it fin dagli inizi, sono condirettore e caporedattore dell'area politica. Attualmente nella redazione napoletana del giornale. Racconto storie, discuto di cose noiose e scrivo di politica e comunicazione. Senza pregiudizi.
autopromo immagine
Più che un giornale
Il media che racconta il tempo in cui viviamo con occhi moderni
api url views