“Ho dovuto lasciare l'Eritrea perché la vita là è davvero difficile”. Eden è una ragazza di 20 anni e, come tanti altri giovani eritrei, è scappata dal suo Paese per evitare il servizio militare obbligatorio per maschi e femmine che può durare decenni e che spesso equivalgono a lavori forzati.
Da oltre un anno, Eden vive in un campo profughi a nord dell’Etiopia da dove è intenzionata ad intraprendere il viaggio verso l’Europa. Una rotta difficile, piena di pericoli; ciò nonostante, vuole rischiare. “Ho solo due opzioni: riuscire o fallire. Ho sentito che è molto difficile, ma è l'unico modo per raggiungere l'Europa, ed è quello che voglio fare”. La sua testimonianza è stata raccolta dal Norwegian Refugee Council, un'organizzazione umanitaria indipendente.
Fa molto caldo nel campo profughi dove ha trovato rifugio; la temperatura fin dalle prime ore del mattino raggiunge i 40 gradi e i pochi alberi non sono così rigogliosi da proteggere dal sole. “E’ più di un anno che vivo qui e non ho intenzione di rimanerci più a lungo”. La ragazza è consapevole dei pericoli che l’aspettano. Quattro anni fa, il fratello 27enne è arrivato in Germania dopo un lungo e rischioso viaggio che l’ha portato in Sudan, Libia e, attraverso il Mediterraneo, in Europa. Nel novembre 2016, Eden ha deciso di seguire i suoi stessi passi, all'insaputa dei genitori. “Se glielo avessi detto sono sicura che avrebbero cercato di fermarmi”.
Nel 2017, più di 25.000 eritrei sono fuggiti attraverso il confine meridionale verso l'Etiopia. Sono per lo più giovani, in alcuni casi minori non accompagnati e per quasi tutti la ragione principale che li spinge a lasciare il loro Paese è il servizio militare obbligatorio. Per chi decide di evitare di indossare una divisa da soldato, la pena è l’arresto – a volte a tempo indeterminato – in condizioni agghiaccianti, come è stato denunciato da un rapporto di Amnesty international.
Eden ricorda ancora tutti i momenti che hanno accompagnato la sua fuga. Non è stata una decisione facile lasciare sua madre, suo padre e i suoi fratelli, ma la ragazza sentiva di non avere altra scelta. Per evitare la chiamata alla leva, decise di rifugiarsi a casa del nonno e, grazie ai soldi di una zia, riuscì a pagare un contrabbandiere. Quando venne il giorno della partenza vide suo padre per strada e fu costretta a nascondersi per non farsi vedere. “Mi dispiace non averlo salutato”, dice con le lacrime agli occhi.
Assieme ad altre 16 persone, lasciò Asmara, la capitale eritrea, per dirigersi a sud. Camminarono per cinque giorni prima di essere intercettati da un gruppo di militari che, senza esitazioni, aprì il fuoco per impedire la loro fuga. Eden e gli altri furono costretti a nascondersi per due giorni senza cibo né acqua con il timore di essere scoperti. “Sapevamo molto bene cosa ci aspettava per aver evitato il servizio militare”. Alla fine, impauriti, decisero di tornare ad Asmara. Ma Eden non si arrese e con altri quattro decise di riprovare una seconda volta. Dopo circa una settimana, riuscirono ad arrivare al confine con l’Etiopia. La prima tappa del suo viaggio si era conclusa.
Nel campo profughi, Eden condivide una piccola casa con cinque giovani della sua età, “sono loro adesso la mia famiglia”. La ventenne eritrea, però, non ha rinunciato a partire. Secondo i dati diffusi dall’Alto Commissariato Onu per i rifugiati, nel 2017 sono arrivati in Italia oltre 7.000 eritrei, di questi più di 1.200 erano minori non accompagnati. Nei primi sei mesi del 2018, sono 2.507 i migranti che al momento dello sbarco nel nostro Paese hanno dichiarato di essere eritrei. “Mio fratello che vive in Germania non vuole che parta e continua a dirmi di rimanere in Etiopia”. “Ma l'unica ragione per cui sono ancora qui – ammette – è che adesso il viaggio è diventato più difficile. Prenderò la stessa strada come tutti gli altri. Non so quando. Potrebbe essere domani, tra un mese o un anno, ma non appena la frontiera marittima sarà riaperta, partirò”.