Non vorremmo mai guastare la festa di chi festeggia la sconfitta del Rassemblement National di Le Pen e Bardella al secondo turno delleelezioni legislative francesi, né tantomeno a chi sogna una riedizione all’italiana del Fronte Popolare delle sinistre che ha ottenuto la maggioranza relativa dei seggi, o a chi oggi elogia il genio politico del presidente Emmanuel Macron, che ha chiamato alle urne gli elettori transalpini dopo l’ecatombe delle elezioni europee, uscendone indebolito, ma ancora vivo.
Non vorremmo, ma evitare un disastro non equivale a una vittoria. E un sospiro di sollievo non va confuso con un urlo di gioia. In Francia, ieri, è successo quel che già era accaduto in Spagna e in Polonia: che per battere l’estrema destra – o nel caso spagnolo, per impedirle di andare al governo coi Popolari – è stato necessario imbastire un accordo elettorale che tiene dentro tutto e il contrario di tutto. Un accordo il cui unico reale comune denominatore, al momento del voto, è il terrore che l’estrema destra vada (o torni) al potere.
Limitandoci a fotografare l’esistente, è una prospettiva che certo non può lasciare tranquillo chi non vuole le destre al governo. Ma se collochiamo la situazione odierna su un arco temporale più lungo, la situazione appare ulteriormente problematica.
Perché – punto primo – il consenso elettorale delle destre continua a crescere. Il Rassemblement National, dalle ultime legislative, ha visto aumentare il proprio consenso di 15 punti percentuali e veleggia ormai costantemente sopra il 30% dei consensi. Stare all’opposizione da qui al 2027, con un governo di coalizione cui spetta trovare una difficile sintesi politica tra istanze e programmi molto diversi, difficilmente fare scendere quel consenso.
Al contrario – punto secondo – la storia ci insegna che la destra è sempre riuscita a beneficiare del suo stare all’opposizione di coalizioni ampie ed eterogenee, tanto necessarie per tenerle lontane dal potere, tanto insufficienti per sterilizzarne il potenziale elettorale. Fino a qualche tempo fa, l’alternativa erano le grandi coalizioni tra cristiano democratici e social democratici. Oggi sono fronti popolari o repubblicani, che dir si voglia, ancora più ampi. Non manca molto prima che si crei uno scenario da “tutti contro l’estrema destra”. E in Italia ricordiamo bene cos’è successo quando Giorgia Meloni – in un altro contesto, dentro tutto un altro scenario – è rimasta sola all’opposizione.
Terzo punto, non meno fondamentale: anche quando vanno al potere, anche quando mostrano il loro lato peggiore – addirittura eversivo – le destre non perdono consensi. Prova ne è la più che possibile vittoria di Donald Trump alle prossime elezioni presidenziali americane. Un segnale, questo, che dovrebbe preoccupare il fronte anti-destre più di qualunque altro. Perché se le destre crescono anche quando si mostrano per quel che sono, vuol dire che sono più connesse con lo spirito del tempo di quanto si creda. E perché vuol dire che batterle una volta non basta per cantare vittoria. Peggio: se si va al governo e non si sterilizza la paura dello straniero, o del diverso, o del cambiamento, queste paure cresceranno ancora. E prima o poi, queste paure prevarranno sulla paura delle destre al potere.
Come diceva Hubert, protagonista del film l’Odio che vinse la palma d’oro a Cannes nel 1995, quando ancora le destre sembravano una minaccia inesistente, “il problema non è nella caduta, ma nell’atterraggio”.
Ecco: va bene festeggiare che l’atterraggio non sia arrivato.
Purché non ci si dimentichi che stiamo ancora cadendo.