“Dopo Mosca l’Isis colpirà l’Europa”: parlano gli esperti che predissero l’attacco alla Russia
L’attacco terroristico a Mosca, che al Crocus City Hall ha fatto circa 140 morti, è opera dell’Isis, dimostrano modalità, tempi e logistica. La “pista ucraina” indicata da Putin è pura propaganda. E l’Europa deve aspettarsi attentati da parte dello Stato islamico nel prossimo futuro. È quanto ritengono alcuni dei maggiori esperti dei movimenti e delle milizie islamiche, in particolare della branca dell’Isis che ha la sua base nell’Asia centrale — nell’area transnazionale nota ai musulmani come Khorasan.
Le modalità tipiche dell'Isis fanno temere altri attentati
“Non vi è dubbio che si sia trattato dell’Isis”, dice a Fanpage.it Riccardo Valle, direttore della ricerca del think tank The Khorasan Diary a Islamabad, Pakistan. “Lo rivelava già il video in cui uno dei terroristi urla ‘Allah è grande’, e dove i protagonisti dell’eccidio parlano tra di loro in tagico o in farsi. Lingue che non fanno certo pensare a matrici diverse per la strage. Inoltre, aggiunge Valle “se fosse vero quel che dice in un altro video un miliziano catturato dai russi, ovvero che è stato contattato e finanziato in Turchia, ciò costituirebbe un’ulteriore conferma: le indagini di Teheran sugli attentati dell’Isis in Iran — quello del gennaio scorso al cimitero di Kerman ed altri due nel 2023 e nel 2022 — hanno rivelato che i responsabili furono arruolati proprio in Turchia. Dove esiste una rete di finanziamento dello Stato islamico collegata con l’Asia centrale e l’Afghanistan”. Purtroppo, “le modalità tipiche dell’Isis fanno anche temere altri attentati nelle prossime ore”.
La risposta immediata dell'Isis a Putin
Secondo Valle, la strage del Crocus City Hall potrebbe essere stata l’immediata risposta all’uccisione di sei membri dell’Isis il 2 marzo scorso da parte delle forze speciali di Vladimir Putin nella repubblica russa dell’Inguscezia. La regione, vicina alla Cecenia, è teatro da decenni di un'insurrezione islamista contro Mosca oggi aggravata dalla coscrizione per la guerra in Ucraina. È fuori di dubbio che l’invasione russa del Paese vicino abbia facilitato l’arruolamento, i finanziamenti e l’incitamento alla violenza anche da parte dei gruppi terroristici islamici. Ma da qui a dar credito alla propaganda di Vladimir Putin, che almeno fino al momento in cui scriviamo queste righe non ha mai pronunciato il nome dell’Isis e ha puntato il dito verso Kyiv, ce ne corre.
“Era assolutamente prevedibile che il presidente facesse così: l’Ucraina è un capro espiatorio molto appropriato, chiunque ci sia dietro questo attacco”, è il commento a Fanpage.it di Ruslan Suleymanov, orientalista ed ex corrispondente dal Medio Oriente dell’agenzia di stampa di Stato russa Tass. “Le brutali operazioni della Russia nelle sue repubbliche di Cecenia, Inguscezia e Daghestan hanno creato un odio verso Mosca tale da poter spiegare l’accaduto”. Inoltre, gli analisti concordano sul fatto che l’Ucraina dal punto di vista dell’Isis altro non’è che un altro Paese cristiano impegnato nella “crociata contro l’Islam”. Al pari della Russia. E con i “crociati” non si fanno alleanze. Con buona pace della “pista ucraina” per l’attacco a Mosca.
I video della strage e le modalità dell'attacco terroristico
Ma perché i killer non si sono fatti saltar per aria o comunque hanno rinunciato al suicidio e quindi a diventare “martiri”, come si è visto in altre “azioni” del genere? “Perché hanno ripreso la scena e fatto uscire i video attraverso i media collegati all’Isis”, risponde a Fanpage.it Lucas Webber, direttore di Militant Wire, che produce analisi sui movimenti armati internazionali. “E questo è un particolare che fa pensare al coinvolgimento nell’operazione della branca centro-asiatica dell’Isis, da qualche anno molto attiva sul fronte mediatico e più esposta internazionalmente rispetto ad altre parti dello Stato islamico”. Si tratta dell’Isis-K.
L’ordine ai terroristi di rimanere in vita e far circolare le immagini del massacro è stato dato per favorire questo scopo propagandistico. “Isis-K ha anche pubblicazioni in russo, in cui si incitano i loro sostenitori ad attaccare lo Stato di Putin. Sono certo che usciranno ancora foto o video, per qualche giorno. Centellinano l’informazione per avere un’esposizione prolungata. È il loro metodo, ed è quello che stiamo vedendo”.
Una previsione azzeccata, purtroppo
Lucas Webber e Riccardo Valle sono coautori di un articolo pubblicato poco meno di un anno fa da Foreign Policy, dal titolo: “L’Isis ha un nuovo bersaglio: la Russia”. Niente a che vedere con la preveggenza. La Russia non ha mai chiuso i conti con l’islamismo militante nemmeno dopo la spietata pacificazione della Cecenia da parte di Putin. Mosca è sempre stato un obiettivo dell’Isis. Che nella sua ideologia non fa differenze tra Usa, Cina e Russia: sono considerati alla pari come imperialismi anti-Islam.
L’attenzione alla Russia è aumentata notevolmente dopo l’intervento in Siria in supporto ad Assad e contro Daesh nel 2015, poi con il sempre maggior coinvolgimento del governo di Mosca e dei mercenari della Wagner in Africa, infine con le buone relazioni costruite dal Cremlino con il governo talebano di Kabul dopo la ritirata delle forze Nato dall’Afghanistan. Ma si può risalire molto più indietro: alle guerre cecene, appunto. E alla disastrosa invasione sovietica dell’Afghanistan. Far guerra alla Russia è quasi una tradizione, per l’estremismo islamico.
E allora la Palestina?
Il fatto che Mosca abbia oggi una posizione filo-palestinese se non addirittura filo-Hamas nel conflitto che ha distrutto Gaza non influisce. “L’Isis è contro Israele, contro gli Stati che lo sostengono e contro le comunità ebraiche in quegli Stati”, spiega Valle. Ma è anche contro Hamas. “Non gli interessa la posizione della Russia. Che per lo Stato islamico resta soltanto l’impero che ha più volte fatto la guerra ai musulmani”. Recentemente, proprio contro lo Stato islamico in Siria.
Paradossalmente, le posizioni anti-russe sono oggi rese ancora più estreme dai fondamentalisti ceceni, o di altri territori della Federazione Russa, reduci dai ranghi dell’esercito del califfato mediorientale. Furono gli stessi servizi di sicurezza russi a incoraggiare quegli indesiderabili ad andarsene a fare i “foreign fighter”. In pochi son tornati. Ma si trovano per lo più nell’Asia centrale, “e sono probabilmente diventati il punto di riferimento di cellule locali”, ritiene Valle. Il loro risentimento verso Mosca evidentemente continua ad agire.
I cripto-finanziamenti dell’Isis
Veterani del califfato a parte, l’Isis conta in Asia centrale su una nuova generazione di militanti. “Nonostante i colpi subiti in Siria e Iraq” – nota Webber — lo Stato islamico non è scomparso. Si è ramificato. E attinge linfa vitale da giovani che, a seconda del loro livello di istruzione, utilizza non solo come combattenti ma anche come traduttori, propagandisti o ideologi”. Un’attività ben organizzata, quindi. Che deve sostenersi con finanziamenti stabili. “Una fonte di reddito sono le criptovalute”, dice l’esperto.
Le riviste dell’Isis sono piene di annunci con indirizzi per versare contributi in un portafoglio pubblico denominato in Monero (valuta digitale progettata per essere anonima e non rintracciabile, ndr). “Questa rete di raccolta fondi corre dall'Afghanistan attraverso l'Asia centrale fino alla Russia. Ed è presente anche nei campi di prigionia siriani dove sono detenuti i familiari dei miliziani del califfato” La rete funziona in entrambe le direzioni. Finanzia le famiglie dello Stato islamico in Siria, così come i combattenti dell’Isis in Afghanistan. E questo attraverso l'Asia centrale e la Russia. Un elemento in più che lega l’attentato di Mosca alle cellule che operano tra l’Afghanistan e il Pakistan.
Il Khorasan e le bandiere nere
Isis-K sta per Isis Khorasan. Nel settembre 2022 rivendicò un attentato suicida contro l’ambasciata russa a Kabul. Negli ultimi anni ha ucciso centinaia di persone. Sue una campagna contro la minoranza sciita in Afganistan e una serie di omicidi tanti o compiuti di comandanti e leader talebani. Prese parte, probabilmente in modo indiretto, anche alla strage del cimitero in Iran all’inizio dell’anno in corso.
Lucas Webber definisce Isis-K “la filiale più ambiziosa e più orientata internazionalmente dello Stato islamico”. Vuole creare un califfato nell’area tra il subcontinente indiano e l’Asia centrale nota all’Islam appunto come Khorasan. Il significato non è solo geografico ma anche escatologico. Secondo un hadith, un racconto attribuito al profeta Maometto, “Khorasan è il luogo da dove alla fine del tempo arriverà con le sue bandiere nere il Mahdi, il salvatore che libera il mondo dal male e dall’ingiustizia”, spiega Riccardo Valle. Bandiere nere. Come quelle dell’Isis.
Al di là di ogni leggenda e credenza religiosa, Khoresan è un crocevia di equilibri che vanno dalla Russia e Pechino fino a Damasco. Un tempo luogo di una tradizione spirituale tollerante che ebbe nel misticismo sufi la sua espressione più alta, è oggi una regione impoverita conquistata all’integralismo. Una vera calamita di estremismi.
Europa nel mirino
“Ma attenzione, l’attacco a Mosca è stato rivendicato dall’Isis, non dall’Isis-K”, sottolinea Valle. L’Isis-K ha avuto un ruolo ma evidentemente il mandante è lo Stato islamico nella sua accezione più ampia. È importante tenerne conto perché, nel contrastare il terrorismo, “non ci si concentri solo su una delle ramificazioni dell’Isis certamente importante e molto attiva, ma che in molti casi assume solo la responsabilità della parte propagandistica e mediatica delle operazioni”.
Valle ritiene che ci si debba preoccupare, e parecchio, di prossime azioni in Europa. “I segnali ci sono tutti: tra la fine del 2023 e l’inizio del 2024 sono state sgominate diverse cellule anche estremamente sofisticate, collegate in maniera più o meno diretta allo Stato islamico in Afghanistan”. Sono state scoperte in Austria, in Germania e nel Regno Unito. Le cellule erano composte in prevalenza da centro-asiatici: tagichi, kazaki e turkmeni.
In alcuni casi erano in possesso di materiale propagandistico firmato Isis-K. Ma le indagini non devono fermarsi alla prima evidenza. Non è detto che gli ordini arrivassero loro da Kabul e dintorni, dal mitico Khorasan. La rete è molto più ramificata e meno banale di così. Anche per questo l’Isis, dei cui ci eravamo quasi dimenticati, rimane parecchio pericoloso.