“Dopo le bombe arriverà di nuovo il Covid”: l’allarme di Medici senza Frontiere dall’inferno di Gaza
Non si ferma l'escalation di violenza in Medio Oriente ad ormai più di una settimana dall'inizio delle ostilità. Al momento sono 213 i palestinesi uccisi dai raid aerei israeliani, tra cui 61 bambini e ragazzi e 36 donne, mentre sono ripresi intensi anche i lanci di razzi verso Israele, nonostante la comunità internazionale chiede a gran voce il cessate il fuoco. Ma la situazione a Gaza, alle prese anche con la pandemia di Coronavirus, diventa sempre più difficile: ieri l'unico laboratorio Covid della Striscia è rimasto danneggiato nel bombardamento di un palazzo residenziale nel centro dell'enclave palestinese.
Il raid ha avuto conseguenze anche sugli immobili vicini, tra cui un orfanotrofio, un liceo femminile, il ministero della Salute palestinese e la clinica al-Rimal che ha dovuto interrompere l'attività di test per il Covid, Insomma la situazione è sempre più difficile, come racconta a Fanpage.it Gino Roberto Manciati, responsabile medico Medici Senza Frontiere (MSF) a Gaza.
Può descriverci qual è la situazione nell’ospedale che supportate a Gaza? Quanti feriti state curando?
"L’ospedale di Shifa ha ricevuto 120 feriti la scorsa notte: pochi meno nei giorni precedenti. Casi gravi, amputazioni, traumi alla testa e al torace dovuti a schiacciamento. Il numero dei pazienti arrivati in questi giorni è stato molto alto e l’ospedale non ha la capacità adeguata per ospitarli tutti. Tutti i feriti che sono arrivati presentavano ustioni da esplosione provocate dalle bombe e dal materiale metallico all’interno. Molti erano bambini e alcuni mostravano ustioni provocate dalle granate oppure avevano inalato fluidi o gas tossici durante le esplosioni".
Sabato i bombardamenti dell’aviazione israeliana hanno danneggiato la vostra clinica. Quali sono le stime in termini di feriti e di danni?
"La situazione qui è critica, ieri mattina siamo usciti per guardare cos’era successo e fare una valutazione dei danni e abbiamo constatato che tutte le strade che portano all’ospedale sono distrutte. I pazienti feriti non sono riusciti a raggiungere l’ospedale perché non c’erano vie di accesso. Per fortuna, in queste ore stanno andando avanti i lavori per riparare le strade e permettere ai pazienti di raggiungere la nostra clinica".
Non solo il conflitto con Israele, ma anche l’emergenza Covid: come riuscite a gestire le due situazioni?
"A Gaza è scoppiata la seconda ondata di contagi legati al Covid-19 prima che iniziassero i conflitti, ma né gli operatori sanitari né le persone vulnerabili sono ancora vaccinati. Per il momento, le persone non hanno accesso ai test diagnostici perché non possono raggiungere le strutture in sicurezza. Con quasi 40.000 persone che si rifugiano nelle scuole, è difficile mantenere il distanziamento sociale e siamo preoccupati che ci sia un'altra ondata di contagi".
Di cosa avete bisogno per curare i pazienti? Abbiamo letto che scarseggiano il rifornimento e l’elettricità lungo la striscia. È vero?
"Sì, è vero. La mancanza di acqua potabile e di elettricità è sempre stato un problema a Gaza e adesso la situazione è ulteriormente peggiorata. Potete immaginare quanto sia difficile lavorare e mantenere le condizioni igieniche adeguate in un ospedale senza acqua. Solo qualche ora fa fortunatamente siamo riusciti ad avere di nuovo acqua ed elettricità".
Qual è stato il momento più difficile da affrontare finora?
"Da quando sono arrivato a Gaza lo scorso marzo, io e gli altri membri dell’équipe di Medici Senza Frontiere viviamo in una situazione di allarme continuo e abbiamo tutti paura. Quella fra giovedì e venerdì è stata la notte peggiore da quando è iniziata l'offensiva. Le bombe non si sono fermate mai. Hanno colpito obiettivi inattesi, come due banche qui vicino, accusate di aiutare Hamas. E si sono intensificate nelle prime ore del mattino, cogliendo la gente nel mezzo della notte, unendo la paura
che fa il buio a quella dei bombardamenti. La gente era terrorizzata".