Dentro la prigione di Sednaya, il “mattatoio umano” di Assad dove venivano torturati gli oppositori del regime

La prigione di Sednaya, il carcere vicino a Damasco utilizzato dall’ex presidente Bashar al-Assad per detenere migliaia di prigionieri, era stata soprannominata il “mattatoio umano”. Mentre domenica i siriani festeggiavano la caduta del regime, molti hanno iniziato la frenetica ricerca dei propri cari, fatti sparire e torturati all’interno della struttura.
A cura di Eleonora Panseri
1 CONDIVISIONI
L'interno della prigione di Sednaya
L'interno della prigione di Sednaya

La prigione di Sednaya, il carcere militare vicino a Damasco utilizzato dal governo dell'ex presidente siriano Bashar al-Assad per detenere migliaia di prigionieri, sia civili che ribelli, era stata soprannominata il "mattatoio umano".

Mentre domenica i siriani festeggiavano in tutto il Paese la caduta del regime, molti hanno iniziato la frenetica ricerca dei propri cari, fatti sparire all'interno del carcere. Le strutture di detenzione del governo di Assad erano diventati buchi neri dove, fin dagli anni '70, chiunque fosse ritenuto un oppositore scompariva. 

Secondo Amnesty International, a Sednaya erano detenuti fino a 20mila prigionieri, la maggior parte dei quali imprigionati dopo processi fittizi e segreti che duravano non più di qualche minuto. I sopravvissuti della prigione hanno raccontato brutali pestaggi e torture da parte delle guardie, tra cui stupri e scosse elettriche. Molti sono stati torturati a morte.

Immagine

Come si legge sul quotidiano britannico Guardian, le guardie di Sednaya imponevano ai prigionieri la regola dell'assoluto silenzio all'interno del carcere. Così molti hanno deciso di scrivere, lasciando le pareti delle celle coperte di messaggi e scarabocchi. "Tab, khadni", si leggeva su una parete: "Basta così, prendi solo me".

Un altro pezzo di carta, trovato a terra, strappato e calpestato, descriveva dettagliatamente il decesso di un prigioniero, apparentemente scritto da un altro detenuto che ha deciso di documentare la morte dell'amico. Nel biglietto un detenuto di 63 anni, che si è firmato Mohammed Abdulfatah al-Jassem, diceva di aver visto l'altro prigioniero cadere e battere la testa durante una crisi epilettica.

Ha lasciato un numero di telefono sulla nota perché la persona che l'avesse trovata potesse contattarlo, ma nessuno ha risposto quando il Guardian ha provato a fare la chiamata.

Subito dopo l'ingresso dei ribelli dell'HTS in città, si era sparsa la voce che molti prigionieri fossero intrappolati all'interno di "celle segrete". L'organizzazione di volontari Syrian Civil Defense, nota anche come Caschi Bianchi, ha inviato lunedì squadre speciali nella prigione, che hanno martellato le pareti di cemento, si legge sulla Cnn.

Caschi bianchi nella prigione di Sednaya.
Caschi bianchi nella prigione di Sednaya.

I combattenti hanno urlato alle persone radunatesi all'esterno della struttura, in attesa di conoscere il destino dei propri cari, di fare silenzio in modo che le voci di eventuali detenuti intrappolati all'interno potessero essere udite dai soccorritori.

Ma in una dichiarazione rilasciata lunedì 9 novembre i Caschi Bianchi hanno affermato di non aver trovato "nessuna prova di celle segrete". Hanno affermato che la ricerca di possibili prigionieri nella prigione era terminata e hanno esortato le persone sui social media a evitare di diffondere informazioni errate.

Nel caos dell'evasione, alcune famiglie hanno preso i registri alla ricerca di parenti. Ogni registro, pieno di nomi e altri dettagli, è stato portato fuori dalla prigione dove gruppi di persone si erano riunite per vedere se conoscevano qualcuno menzionato all'interno.

I registri della prigione di Sednaya.
I registri della prigione di Sednaya.

La disperazione delle famiglie che lunedì hanno setacciato palmo a palmo Sednaya, analizzando l'enorme quantità di documenti trovati all'interno della prigione e usando le torce dei cellulari nell'oscurità, riflette l'agonia di un'attesa durata anni senza avere la minima idea di cosa fosse successo ai loro cari nelle strette e squallide celle del carcere.

Suheil Hamawi, 61 anni, ha trascorso più di tre decenni prigioniero in diverse carceri siriane e lunedì è finalmente tornato a casa, nel suo villaggio di Chekka, nel Libano settentrionale. "È una sensazione molto bella, una sensazione davvero bella", ha detto Hamawi all'agenzia di stampa Afp. "Ho scoperto che l'amore della mia famiglia è ancora qui".

Tuttavia, il ritorno a casa ha fatto anche sì che l'ex prigioniero si sia reso conto di quanti anni aveva perso. "Ho dei nipoti, ma non ho mai sentito la mia età finché la figlia di mio figlio non mi ha chiamato ‘Nonno'", ha detto Hamawi. "È stato allora che ho capito di aver perso un periodo di tempo così lungo".

1 CONDIVISIONI
autopromo immagine
Più che un giornale
Il media che racconta il tempo in cui viviamo con occhi moderni
api url views