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Dalla Magliana a Sant’Apollinare: Enrico De Pedis, il boss che ‘piaceva’ alla Chiesa

Il 2 febbraio 1990 muore in un agguato Enrico De Pedis, detto ‘Renatino’, il capo della Banda della Magliana. Nella sontuosa tomba nella basilica romana di Sant’Apollinare, si porta i segreti della prima Repubblica, tra questi anche quello sul sequestro di Emanuela Orlandi. Dall’esordio criminale alla sua morte, ecco la storia di Renatino.
A cura di Angela Marino
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“ Magari non era proprio un benefattore per tutti. Ma per Sant’Apollinare sì. ”
Giulio Andreotti

Ha solo 36 anni, ‘Renatino' De Pedis, quando finisce a terra intriso di sangue sul basolato di via del Pellegrino a Roma. Vittima di un agguato a cielo aperto tra la folla del mercato di Campo de’ Fiori, tradito da soffiata di uno dei suoi stessi uomini, Enrico De Pedis finisce i suoi giorni terreni per cominciare un riposo da re, quale era stato dopo un decennio al comando della Roma criminale, nientemeno che in un sepolcro della Basilica di Sant'Apollinare. "Per qualcuno era una benefattore", dirà Giulio Andreotti, sardonico come sempre.

Un criminale con la mente da imprenditore

Classe 1954, cresciuto nel rione Trastevere, entra ed esce dal carcere per scippi e piccole rapine. Un delinquente sui generis, che non fuma, non beve non si droga e a un aspetto talmente azzimato e pulito da farsi chiamare il ‘bambolotto'. Nonostante queste caratteristiche lo facciano apparire un criminale di basso profilo, De Pedis, però, non è meno ‘affamato' e feroce degli altri. Lo dimostra presto: alla vigilia degli anni '80 si allea con Maurizio Abbatino  per il fare salto di qualità da ‘batteria' (piccola gang di quartiere) a banda: la ‘banda della Magliana'. Al contrario degli altri nella banda, Enrico, presto detto ‘Renatino' non brucia i proventi dell'attività (frutto di sequestri, traffico di droga e armi, riciclaggio) in cocaina e dissolutezze. Li investe in imprese legali, pulite, elevandosi sopra gli altri come imprenditore.

Sabrina Minardi

Proprio negli anni in cui il suo nome è popolare noto nei salotti che contano della capitale, Renatino, che da ragazzo aveva sposato la fidanzata storica, incontra Sabina Minardi, la regina delle notti romane. Qualcuno la chiama escort, ma l'ex moglie del calciatore della Lazio, Bruno Giordano, è più una partygirl con il demone della cocaina che gli uomini fanno a gara a ricoprire di regali milionari. La Minardi diventa la donna dei successivi dieci anni: amante complice, figura laterale negli affari (sporchi) di Renatino.

La Magliana e la strategia della tensione

Intanto la banda della Magliana cresce, diventando centrale nel riciclaggio dei soldi romani e di quelli della criminalità organizzata della Sicilia e della Calabria. Dalle mani di Renatino a quelle di Paul Marcinkus, passando per quelle del banchiere Carlo Calvi, i milioni della mala finiscono a finanziare lo stragismo che deve arginare l'avanzata del comunismo. Politica, Chiesa e criminalità si alleano in nome della conservazione dello status quo. In questo scenario la Banda della Magliana si pone come soggetto intermedio tra le frange estreme della destra e della sinistra, i Nuclei Armati Rivoluzionari e le Brigate Rosse. Nel 1981, avviene un episodio esemplare di questo strano groviglio: la polizia scopre il nascondiglio dell’arsenale della banda della Magliana e dei Nar all'interno della sede del Ministero della Sanità. Dal quello stesso arsenale provengono i proiettili che hanno ucciso il giornalista, Mino Pecorelli, autore di scottanti scoop sul caso Moro, nel quale si racconta che abbia messo il naso anche la Magliana.

L'imboscata

Ormai trasversale ai giochi di potere che governano l'Italia, la Magliana, però, comincia a soffrire di divisioni interne tra diverse fazioni, in testa alle quali c'era quella che malsopporta la svolta imprenditoriale di De Pedis, tanto da convincere Angelo Angelotti a tendergli un'imboscata, la mattina del 2 febbraio 1990. Dopo dieci anni da ‘re', Renatino viene ucciso in un agguato come uno sgherro qualunque. Il suo regno tra faccendieri, imprenditori e alto porporato è finito, ufficialmente, per un regolamento di conti interno, in base ad alcune indiscrezioni, su ordine di qualcuno più in alto.

Il caso Orlandi e la sepoltura in Sant'Apollinare

Pochi mesi dopo la sua morte la stampa diffonde la notizia della sua sepoltura in una cripta di Sant'Apollinare. La cosa non suscita alcuno scandalo, fin quando, nel 2012, una telefonata anonima alla trasmissione ‘Chi l'ha visto?' riporta l'attenzione su quel sepolcro. Il contesto è il caso di scomparsa di Emanuela Orlandi, la ragazza con la fascetta, la quindicenne cittadina vaticana sparita nel giugno 1984 aprendo scenari da spy story sul suo rapimento.

I favori di ‘Renatino'

L'anonimo chiede di ‘controllare' chi è sepolto nella cappella di Sant'Apollinare e di quale sia "il favore" con il quale De Pedis si è meritato un tale onore. Il favore, lo dirà poi Sabrina Minardi, diventata ‘superteste' sarebbe stato quello di rapire ed eliminare Emanuela per ordine di Paul Marcinkus, l'anima nera di Roberto Calvi, il capo dello Ior amico dei massoni.  Nulla si trova nella tomba, eccetto i resti di Enrico, ma lo Stato vaticano arriva l'autorizzazione a ‘traslare' le spoglie. Quel favore dopottuto, qualunque fosse, non vale più molto.

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