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Dainigaon, nel villaggio delle “streghe nascoste” nella giungla indiana: “Ci danno la caccia”

Dainigaon è il villaggio delle “streghe”. In mezzo alla giungla, 75 persone, per lo più donne cacciate dalle loro case perché accusate di praticare la stregoneria, hanno trovato un rifugio sicuro. In India, dal 2000 al 2012, sono oltre duemila gli omicidi legati alla “caccia alle streghe”. La maggior parte delle vittime sono donne delle comunità rurali più povere.
A cura di Mirko Bellis
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Sironi (a destra) e la sua famiglia a Dainigaon, il villaggio delle streghe (Youth Ki Awaaz)
Sironi (a destra) e la sua famiglia a Dainigaon, il villaggio delle streghe (Youth Ki Awaaz)

Nell'India nord-orientale, esiste un minuscolo villaggio che da decenni è diventato il rifugio delle donne accusate di stregoneria. Il suo nome è Khasiapara ma è più conosciuto come Dainigaon, il villaggio delle “streghe” nella lingua locale. Qui, in mezzo alla giungla al confine tra Assam e Meghalaya, vivono solo 75 persone. Sono per lo più donne, minacciate e cacciate dalle loro case perché considerate delle fattucchiere, delle maghe a cui sono state addebitate tutte le sventure e le disgrazie.

Vittime della superstizione come Kamani, di 62 anni, una delle prime abitanti del villaggio. La donna ricorda ancora la fredda notte d’inverno quando è stata cacciata di casa. Poco più che ventenne aveva osato protestare contro la violenza sessuale su una bambina del suo villaggio. “A volte ripenso al mio passato e mi chiedo come sono riuscita a sopravvivere tra gatti selvatici, elefanti e leopardi, cibandomi solo di frutta, erba e acqua”. “Dopo nove giorni, mia sorella Anupa ha iniziato a cercarmi. Anche lei era stata buttata fuori dal villaggio e la nostra casa era stata requisita. Abbiamo costruito una piccola capanna e abbiamo iniziato a stare qui insieme”. Kamani appartiene alla comunità tribale degli Rabha, concentrata principalmente lungo il confine tra Assam e Meghalaya, nell’estremo nord-est indiano.

Per le donne che riescono a scampare alle violenze, ecco quindi che Dainigaon diventa un rifugio sicuro, il luogo dove ricominciare una nuova vita. Dopo Kamani e la sorella, una terza donna si è unita a loro. “Si chiamava Sibani – rammenta Kamani – ed era stata bollata come strega e scacciata accusata di aver provocato la morte di suo marito”.  Jitai Rabha, 45 anni, è un'altra delle “streghe” di Dainigaon. Nel 1995, tutta la sua famiglia è stata cacciata dagli abitanti del villaggio con il sospetto di praticare la stregoneria. Ora Jitai vive nel villaggio con il marito, due figlie e i nipoti. “Mia madre – afferma Jitai – è stata allontanata dopo che due persone nel mio quartiere avevano contratto il tifo.  Alcuni vicini sostenevano di averla vista lanciare qualcosa nel loro cortile prima che si ammalassero. Dopo la morte di uno di loro, i membri della famiglia e gli altri abitanti del villaggio hanno convocato una riunione ed è stato deciso che mia madre avrebbe dovuto lasciare il villaggio quella notte stessa. Ed io e i miei fratelli abbiamo seguito lo stesso destino”.

La vita per i pochi abitanti di Dainigaon, tuttavia, non è semplice, come ha dichiarato Dibyajyoti Saikia, un attivista per i diritti umani che recentemente ha visitato il “villaggio delle streghe”. “Vivono appartati dal mondo esterno – ha detto Saikia – a loro non piace ricevere visite dagli estranei. I bambini nati a Khasiapara non vanno a scuola. La gente esce dal villaggio solo quando deve andare a vendere verdure o comprare riso”. Lo Stato di Assam ha introdotto nel 2015 un decreto che istituisce pene severe per i colpevoli di caccia alle streghe: un reato che non prevede la libertà su cauzione o attenuanti. “Dato che alla caccia alle streghe partecipa una folla di persone – ha però sottolineato Saikia – diventa molto difficile identificare i responsabili, tanto più che l’intero villaggio tende a proteggerli”.

Leggi più severe ma la “caccia alle streghe” continua ad uccidere

Birubala (in primo piano), con alcune delle vittime della caccia alle streghe nello Stato di Assam (Subhamoy Bhattacharjee)
Birubala (in primo piano), con alcune delle vittime della caccia alle streghe nello Stato di Assam (Subhamoy Bhattacharjee)

La “caccia alle streghe” in India continua a mietere vittime. E le violenze contro donne indifese sfociano spesso in omicidi. Secondo i dati diffusi dal dipartimento di assistenza sociale di Assam, almeno 161 persone sono state assassinate negli ultimi 18 anni con l’accusa di praticare la stregoneria. Crimini, purtroppo, diffusi anche negli altri stati indiani. Nel giugno scorso, nello Stato di Jharkhand, Malti Devi, una donna di 50 anni, e sua figlia Raibati, di 25, sono state massacrate perché considerate colpevoli della malattia di una vicina. A gennaio 2019, in un episodio simile, un’altra donna è stata ammazzata assieme ai suoi quattro figli, il più piccolo di appena 10 mesi. Il 20 giugno, nello Stato di Assam, la polizia ha scoperto vicino ad un tempio indù il cadavere di una donna decapitata. Gli inquirenti hanno trovato accanto al corpo semi nudo alcuni oggetti che farebbero pensare ad un delitto rituale.

Anche altri stati indiani hanno introdotto leggi speciali per cercare di arginare i crimini contro le donne accusate di stregoneria. “Nei nostri villaggi – raccontano le abitanti di Dainigaon – ogni volta che qualcosa va male, un raccolto insufficiente, una malattia, un incidente, la colpa viene addossata a una malcapitata additata come strega. E la vita diventa impossibile”. Secondo il National Crime Records Bureau, l'agenzia governativa indiana responsabile della raccolta e dell'analisi dei dati relativi alla criminalità, tra il 2000 e il 2012, oltre 2.000 i morti nella caccia alle streghe. La maggior parte di loro erano donne delle comunità rurali più povere.

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