Ormai lo sanno tutti: Vladimir Putin, presidente della Federazione russa, ha ufficialmente riconosciuto le Repubbliche filorusse di Donetsk e Lugansk, nel Donbass. Si tratta di un gesto clamoroso, e per capire perché bisogna tornare indietro di qualche anno.
Euromaidan 2014
L’Ucraina è diventata uno Stato indipendente nel 1991, con un referendum in cui il 90% dei votanti disse sì all’autonomia. Per molti anni, da allora, il Paese è rimasto nell’orbita politica ed economica della Russia. Fino al 2014, quando un rivolgimento politico chiamato EuroMaidan rovesciò il corso politico, costrinse alla fuga il presidente filorusso Viktor Yanukovich e spinse il Paese su una rotta di avvicinamento all’Occidente, sia come Unione Europea sia come Alleanza Atlantica.
La Russia, che già immaginava, allora come oggi, di ritrovarsi i missili americani ai confini, reagì riprendendosi la Crimea (che era stata spostata dal territorio della Russia a quello dell’Ucraina nel 1954 dal capo sovietico Nikita Khrushcev) è fomentando la ribellione della popolazione filorussa del Donbass, la ricca regione mineraria posta lungo il confine con la Russia. Da quella ribellione è derivata una guerra terribile (tra 10 e 15 mila morti e quasi 2 milioni di profughi) e la nascita delle due Repubbliche di cui si diceva, quella di Donetsk e quella di Lugansk, che nessun altro Paese al mondo ha mai riconosciuto.
Occupazione russa
La Russia di Vladimir Putin ora ha fatto questo passo. Non era del tutto inatteso. Da tempo cresceva la pressione politica in questo senso. Il Governo russo aveva firmato un accordo di libero scambio con le Repubbliche ribelli. Il presidente Putin aveva concesso la cittadinanza agli abitanti del Donbass, cosa di cui hanno già approfittato 750 mila persone, di fatto diventate così “russe”. Si pensava che, in nome delle trattative con l’Ucraina (che ovviamente continua a considerare il Donbass “territorio occupato”) e di quelle a più ampio raggio con gli Usa e la Nato, il Cremlino non sarebbe andato oltre. E invece lo ha fatto. Bisogna ora chiedersi che cosa tutto ciò può comportare.
La prima conseguenza l’abbiamo già vista. Il riconoscimento ufficiale tramuta Donetsk e Lugansk, per la Russia, in Paesi autonomi e indipendenti, ovviamente amici e alleati della Russia. E in quella veste, liberi per esempio di chiedere aiuto a Mosca che infatti, già ieri sera, ha inviato convogli militari nel Donbass, ufficialmente in missione di pace dopo gli scontri a fuoco degli ultimi giorni. Se aggredite (o se convinte di essere aggredite), potranno contare sull’assistenza e, in caso estremo, sulla potenza militare dell’alleato russo. In sostanza, le due Repubbliche che il mondo considera abusive sono ora coperte dall’ombrello della Russia.
Ucraina dimezzata
La prima vittima, ovviamente, è l’Ucraina. Recuperare il Donbass diventa ora impossibile. Farlo per via militare (cosa che peraltro il Governo di Kiev ha sempre escluso) vorrebbe dire rischiare una guerra con la Russia. Non è un caso se ieri sera, appena arrivata la notizia del riconoscimento da parte della Russia, tutte le attività belliche intorno a Donetsk e Lugansk siano cessate di colpo, e i colpi di mortaio e di mitra abbiano ceduto il passo a un silenzio quasi surreale. E ottenerlo per via diplomatica vorrebbe dire di nuovo confrontarsi più o meno direttamente con la Russia, che per bocca del suo Presidente ha definito i governanti ucraini “marionette degli americani”. Di più: se le forze armate russe dovessero insediarsi nel Donbass, come per esempio hanno fatto in Bielorussia, l’Ucraina vedrebbe la propria sicurezza messa ancor più a rischio, perché avrebbe il “nemico” a pochi chilometri da città fondamentali come il grande porto di Mariupol’ o le città industriali di Khar’kiv e Dnipropetrovsk.
La questione gas
Tutto questo, però, potrebbe avere conseguenze pesanti per tutto il resto dell’Europa. Non vogliamo pensare al caso in cui si scatenasse una vera guerra tra Russia e Ucraina, che quasi sicuramente attrarrebbe nel proprio gorgo, in maniera più o meno pesante, anche altri Paesi. Stiamo piuttosto pensando al quadro, che già si prospetta, di una contesa politico-economica di livello mondiale. In primo luogo, bisogna tenere presente che i maggiori gasdotti che uniscono la Russia produttrice all’Europa consumatrice passano proprio attraverso l’Ucraina. È difficile che l’Ucraina tenti di rivalersi bloccando il passaggio del gas russo, perché così andrebbe a colpire anche i Paesi europei che la sostengono e che dalla Russia importiamo circa il 40% del gas che consumano. Altrettanto difficile è che sia la Russia a chiudere i rubinetti, perché così rinuncerebbe a guadagni (l’Europa è il suo miglior cliente) che le sono indispensabili. Però è certo che da oggi la sicurezza energetica di noi europei è più precaria, una constatazione che allarma alla fine di un inverno in cui, anche a causa delle tensioni politiche internazionali, il caro-gas, diventato caro-bollette, ha colpito milioni e milioni di famiglie.
Le sanzioni impossibili
Ora arriverà, naturalmente, l’ondata di sanzioni economiche contro la Russia. Putin lo sa, e bisognerebbe quindi chiedersi come mai abbia ugualmente deciso di forzare la mano. Pensa che la Russia potrà reggere? Se sì, perché lo pensa? In base a quali considerazioni ritiene che un Paese, il suo, che ha un Prodotto interno lordo (la ricchezza prodotta dal Paese) pari più o meno a quello dell’Italia possa reggere all’urto dell’intero Occidente? Non si sa, almeno per ora. Però è già chiaro che qualunque “prezzo” la comunità internazionale vorrà far pagare alla Russia, dovrà fare i conti con gli intrecci sempre più stretti dell’economia globale. Si dice, per esempio, che sia stato proprio il nostro premier Mario Draghi a insistere perché il settore energetico fosse escluso dai piani sanzionatori, per evitare che parte dei Paesi “sanzionatori” (in particolare quelli europei) soffrisse quanto quello “sanzionato”. E le stesse difficoltà potrebbe avere escludere la Russia dai circuiti finanziari, come quello Swift che regola i pagamenti e le transazioni internazionali.
Il fattore Cina
È dunque possibile che Vladimir Putin stia pensando che la reazione occidentale non sarà poi così terribile. E magari che a dargli una mano arriverà la Cina, che non solo ha fame delle materie prime russe ma è anche interessata ad avere alleati nella lotta contro la supremazia globale degli Stati Uniti. Quando è stato a Pechino per l’inaugurazione dei Giochi Olimpici invernali, Putin ha firmato con Xi Jinping un mega-contratto per fornire un miliardo di metri cubi di gas l’anno per trent’anni. L’anno scorso, poi, l’interscambio commerciale tra Russia e Cina ha sfiorato i 150 miliardi di dollari, con un aumento di quasi il 36% sul 2020. È su questo che conta Putin per ammortizzare le conseguenze del suo clamoroso passo? Di certo è una cosa che gli americani temono, tanto che hanno minacciato sanzioni anche contro la Cina se il Governo di Pechino decidesse di andare in qualche modo in soccorso della Russia. Altra ragione per dormire, da ieri, in po’ più preoccupati di prima.