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Crimea, un anno dopo: la penisola del Mar Nero è sempre più in mano russa

Il 16 marzo del 2014 la popolazione locale votava la secessione dall’Ucraina e l’annessione alla Russia. Oggi, ad un anno di distanza, Mosca ha rinsaldato la sua posizione conquistando nuovi territori.
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Esattamente un anno fa la Crimea diventava territorio della Federazione Russa. Esattamente un anno fa i cittadini della Repubblica indipendente di Crimea e di Sebastopoli votavano favorevolmente il referendum che sanciva la secessione dall'Ucraina e l'ingresso nei territori di Mosca. Esattamente un anno fa, in uno dei momenti più tribolati per il Continente europeo, il 97 per cento dei cittadini chiamati alle urne si esprimeva a favore del cambio di passaporto, moneta e status nazionale (in una consultazione ampiamente contestata in Occidente e ancora non riconosciuta dall'intera comunità internazionale) generando così paure e tensioni in tutto il mondo.

Da quella tornata referendaria organizzata in fretta e furia (la data della consultazione venne anticipata per ben due volte, passando prima dal 25 maggio al 30 marzo e  infine al definitivo 16 marzo 2014), e che ha di fatto sancito l'inizio della guerra civile in territorio ucraino, molto poco è cambiato. Almeno in termini positivi. Le violenze e gli orrori di questi ultimi dodici mesi – secondo gli ultimi dati disponibili le vittime stimate sono circa 6mila e i feriti circa 13mila (stime ritenute caute, perché i numeri reali potrebbero essere molto più elevati) –, rappresentano la diretta conseguenza di quanto iniziato prima a Kiev e poi proseguito in Ucraina orientale.

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Il colpo di stato filonazista e nazionalista andato in scena a Kiev sul finire del 2013, con l'ormai famosa protesta di piazza Euromaidan sostenuta non solo da semplici cittadini legittimamente stanchi del potere arrogante ed oppressivo del Presidente filorusso Viktor Janukovič ma anche e soprattutto da battaglioni paramilitari (Aidar e Azov di chiara ed univoca ispirazione nazista) e forze ultranazionaliste apertamente sostenute dai governi occidentali – Usa ed Ue in testa –, spalancò le porte alla possibile conquista della Crimea da parte non solo delle milizie ucraine di estrema destra, ma anche e soprattutto dei sostenitori occidentali del colpo di stato.

Tale scenario fece suonare l'allarme rosso a Mosca sia per quanto riguardava il destino delle truppe russe stanziate nella penisola ucraina (che rischiavano di essere accerchiate dall'esercito ex amico), sia per l'imminente pericolo di perdere una delle più importanti basi navali dell'intera flotta Rossa (la presenza dei militari di Mosca era sancita da accordi bilaterali sottoscritti all'indomani del crollo dell'Unione Sovietica, accordi che stabilivano e autorizzavano la presenza del naviglio russo nonché dei comandi operativi in territorio ucraino). Proprio in quelle ore – si ricordi a titolo solo esemplificativo –, unità navali americane (in particolare la USS Truxtun) incrociarono nelle acque del Mar Nero mettendo in allerta il comando russo del Mar Nero e gettando ulteriore benzina sul fuoco in un momento in cui la tensione tra gli schieramenti in campo era già altissima.

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Mosca data la situazione e l'importanza vitale della Crimea per i suoi interessi (sia dal punto di vista strategico-militare, che politico, economico e d'immagine), pressò le autorità locali per procedere alla chiamata alle urne e ottenere la conseguente e pronosticabile vittoria del movimento separatista filorusso (in ogni caso è giusto ricordare che la Crimea è sempre stata una regione a maggioranza russa e che era stata ceduta, dal punto di vista amministrativo, all'Ucraina poco dopo la fine della Seconda guerra mondiale).
L'Occidente, spiazzato dalla mossa autoritaria e immediata di Mosca, non poté fare altro che da un parte rinforzare il neo governo ucraino (con promesse di aiuti e sostengo economico, proprio poche ore fa e in continuità con quanto avvenuto nell'ultimo anno, il Fondo Monetario Internazionale ha reso nota la proposta relativa alla concessione di un prestito a Kiev pari a 17.5 miliardi di dollari) e dall'altra imporre sanzioni economiche alla Russia pur di piegare la posizione del Cremlino. Ad oggi, tuttavia, Mosca non solo non ha ceduto di un passo in relazione alla potestà amministrativa sulla Crimea, ma ha rinsaldato da un lato la sua posizione sul fronte delle sanzioni (andando a varare contro multe che, di fatto, hanno colpito nel vivo l'Italia e molti altri paesi dell'Ue, e in contemporanea accordi bilaterali con – tra gli altri – Cina e India), e dall'altro ha conquistato ulteriori porzioni di territorio attraverso le milizie filorusse impegnate nei combattimenti del Donbass (proprio pochi giorni fa le truppe di Kiev hanno battuto in ritirata essendo state accerchiate dalle milizie nemiche), fortificando così ulteriormente la propria presenza in Ucraina Orientale. Un anno fa, dunque, si diceva che difficilmente la Russia avrebbe ceduto facilmente la Crimea e la stessa Ucraina Orientale e oggi, nonostante il destino ancora fortemente incerto del conflitto, sembra che i fatti stiano procedendo in quella direzione.

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