Cos’è la soluzione dei “due popoli due Stati” di cui si parla per risolvere il conflitto israelo-palestinese
"La soluzione dei due Stati è la sola via per la pace". In questi giorni sono tanti i politici e rappresentanti delle istituzioni internazionali che, commentando l'escalation di violenza in Israele e Palestina dopo l'attacco di Hamas, stanno invocando la "soluzione dei due popoli due Stati". Si tratta di una formula vecchia più dello stessoconflitto arabo-israeliano, di cui si parla da oltre un secolo, e prevede la convivenza dei due popoli in due Stati, appunto: uno per gli ebrei e uno per i palestinesi.
Come nasce la "soluzione dei due Stati"
Già nel 1917, quando la regione della Palestina fa ancora parte dell'impero ottomano, si inizia a concepire l'idea di creare uno Stato ebraico in quel territorio. L'allora ministro degli Esteri britannico, Arthur Balfour, scrive una lettera al rappresentante della comunità ebraica nel Regno Unito e referente del movimento sionista, il barone Walter Rothschild, in cui spiega che Londra sia favorevole a creare una "dimora nazionale per il popolo ebraico" in Palestina. Alla fine della Prima Guerra Mondiale, con la sgretolamento dell'impero ottomano, la lettera – passata alla storia come Dichiarazione di Balfour – viene anche inserita nel trattato che impone il mandato britannico sulla Palestina, durato fino alla fine della Seconda Guerra Mondiale.
I tentativi di ripartizione prima dello Stato di Israele
Alla fine degli anni Trenta già si ipotizza la divisione della regione in tre settori diversi: uno arabo, che avrebbe dovuto comprendere Gaza, Hebron e Jenin; uno israeliano che andava da Tel Aviv al confine con la Siria; e uno che coincideva con Gerusalemme, su cui sarebbe rimasto in vigore il mandato del Regno Unito, sotto controllo internazionale. Durante il mandato britannico viene infatti creata la commissione Peel, riunitasi per la prima volta nel 1937 con il compito di dividere la regione in tre sezioni. Il primo progetto, però, risulta in un fallimento – soprattutto in quanto prevede lo spostamento di una grande parte della popolazione araba dalle proprie case – e l'anno successivo viene convocata la commissione Woodhead con lo stesso compito. Anche questo organismo, però, non ottiene successo e il governo britannico – a causa di insormontabili "difficoltà politiche, amministrative e finanziarie" – rimette i lavori a un organismo superiore, che coinvolge più parti in campo.
La risoluzione Onu del 1947 e la ripartizione della Palestina
Così nel 1947, un anno prima della creazione dello Stato di Israele, si registra un nuovo tentativo di divisione del territorio. L'Assemblea generale delle Nazioni Unite approva un "Piano di partizione" in cui il territorio palestinese viene diviso: da una parte Gaza e dall'altra la Cisgiordania. Una soluzione non accettata dalle autorità arabe, che non condividono la divisione del territorio. Ad ogni modo, ogni tentativo di ripartizione viene bloccato dallo scoppio della guerra tra il neonato Stato israeliano e una coalizione di Paesi arabi tra il 1948 e il 1949. Da quel momento Israele inizia a occupare diversi territori nella regione, la Cisgiordania finisce sotto il controllo della Giordania e Gaza sotto quello egiziano.
Nel 1967, durante la Guerra dei Sei Giorni, l'occupazione israeliana si estende anche alla Striscia di Gaza e alla Cisgiordania. Il Consiglio di Sicurezza dell'Onu approva una risoluzione in cui impone a Israele di ritirarsi da questi territori, ma la richiesta non viene accolta e gli insediamenti israeliani continuano a moltiplicarsi. Nel 1978 Israele firma degli accordi di pace con l'Egitto – i cosiddetti accordi di Camp David – promossi dagli Stati Uniti, in cui viene anche delineato un "quadro per la pace in Medio Oriente", il quale propone di istituire un governo autonomo in Cisgiordania e a Gaza, applicando quindi pienamente la risoluzione dell'Onu. Anche questo patto, però, non verrà mai di fatto rispettato.
La "soluzione dei due Stati" dopo la prima Intifada
Venti anni dopo la Guerra dei Sei Giorni, nel 1987 scoppia la prima Intifada, una grande sollevazione popolare palestinese contro l'occupazione di Tel Aviv, in cui non mancano scontri e vittime. Si rinnovano così gli sforzi diplomatici per arrivare a un accordo tra le due parti che ponga fine alle violenze: è la genesi degli accordi di Oslo (1993), che istituiscono l'Autorità Nazionale palestinese e indicano un processo per il riconoscimento della Palestina come Stato autonomo. L'ipotesi è quella di tornare a una suddivisione del territorio antecedente al 1967, in cui in sostanza venga riconosciuta l'autorità dell'ANP su Gaza, Cisgiordania e Gerusalemme Est. Questa volta la formula viene accettata sia dalle autorità ebraiche che da quelle arabe.
Il fallimento della Conferenza di Annapolis
A firmare gli accordi di Oslo sono Yitzhak Rabin, premier israeliano al tempo, e Yasser Arafat, primo presidente dell'ANP. Entrambi vincono il premio Nobel per la pace l'anno seguente, come riconoscimento degli sforzi per la risoluzione del conflitto. Gli accordi, però, non sono mai stati effettivamente applicati e le violenze non si sono placate. Nel 1995 Rabin viene assassinato da un estremista israeliano Yigal Amir, che si opponeva all'accordo
Nel 2000 scoppia la seconda Intifada, che costa la vita a moltissimi civili. Nel 2007 un nuovo tentativo viene fatto nel 2007, con la conferenza di Annapolis, facilitata dagli USA, che pone come punto di partenza per la risoluzione del conflitto proprio la formula dei due Stati. Anche in questo caso, però, le trattative si concludono con un nulla di fatto.
Il riconoscimento dello Stato di Palestina
Nel 2012, con la risoluzione 67/19 l'Assemblea generale dell'Onu ha riconosciuto l'esistenza dello Stato di Palestina, riconoscendogli al tempo stesso lo status di osservatore permanente. Ma non di Stato membro. L'anno scorso l'ex premier israeliano Yair Lapid (oggi leader dell'opposizione al governo di Benjamin Netanyahu) ha affermato, sempre davanti all'Assemblea delle Nazioni Unite, di riconoscere la soluzione dei due Stati come "giusta", a condizione che lo Stato palestinese non si trasformi in "una base terrorista come avvenuto a Gaza".
Ancora oggi lo Stato di Palestina non è riconosciuto come membro a tutti gli effetti delle Nazioni Unite e – secondo diversi commentatori – proprio questa premessa pregiudica da un lato un serio ed efficace negoziato per la pace, mentre dall'altro aumenta la sofferenza del popolo palestinese.