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Cos’è la Molka e perché le donne di mezzo mondo la considerano come uno stupro

Nella Corea del Sud, filmare con mini telecamere nascoste le donne nei luoghi pubblici è un fenomeno così diffuso che gli è stato attribuito un nome: “molka”. I video, poi, vengono pubblicati su siti pornografici. Il 9 giugno scorso, oltre 22mila donne hanno manifestato a Seoul per chiedere pene più severe contro chi viola la loro intimità.
A cura di Mirko Bellis
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"La mia vita non è un tuo film porno", lo slogan delle sudcoreane scese in piazza il 9 giugno contro il fenomeno della "molka" (Korea Exposé)
"La mia vita non è un tuo film porno", lo slogan delle sudcoreane scese in piazza il 9 giugno contro il fenomeno della "molka" (Korea Exposé)

Ha Yena, una donna sudcoreana di 21 anni, dopo una serata con gli amici è andata a dormire in un motel. Nel mezzo della notte, ha sentito qualcosa tra le sue gambe. Quando si è svegliata non poteva credere ai suoi occhi: c'era un ragazzo che stava filmando le sue parti intime con un telefonino. “L’unica cosa che sono riuscita a balbettare è stata: ʽChi sei?’”, ricorda.

Quello che è successo ad Ha non è un caso isolato. Nella Corea del Sud, il fenomeno di filmare di nascosto con mini telecamere le donne nei luoghi pubblici e non è così diffuso che gli è stato attribuito un nome: “molka”. Metropolitane, supermercati, uffici, scuole e persino bagni pubblici, sono questi i luoghi prediletti dai cyberguardoni per rubare le immagini di donne inconsapevoli. I video, poi, vengono pubblicati su siti pornografici.

“Oggi le donne coreane indossano maschere per coprirsi i volti e cercano i buchi nel muro quando vanno nei bagni pubblici”, ha scritto su Twitter Raphael Rashid, giornalista a Seoul. “Le telecamere sono nascoste nel muro e persino dentro la toilette. Questi crimini sono dilaganti, e vengono commessi anche in bagni pubblici, palestre, piscine e strutture ricettive”.

Stanche di vedere la propria intimità violata, le sudcoreane sono scese in piazza per dire che questa è una forma di violenza sessuale, un vero stupro. Il 9 giugno scorso, oltre 22mila donne, vestite di rosso e con il volto travisato, hanno manifestato a Seoul al grido di “La mia vita non è il tuo film porno” chiedendo al governo di intervenire con leggi più severe e la certezza della pena contro i responsabili di “molka”.

A far infuriare le sudcoreane è stato anche un episodio avvenuto all'inizio di maggio quando una donna di 25 anni è stata arrestata per aver filmato e diffuso l’immagine di un modello maschile nudo in posa per un corso d’arte all'Università Hongik di Seul, senza che lui ne fosse a conoscenza. In quel caso, la polizia individuò subito la responsabile, che adesso rischia una multa molto salata o una pena fino a un anno di carcere. Una evidente disparità di genere se si considera che quando l’autore del filmato è un uomo la polizia non agisce con identica prontezza. Il collettivo anonimo "Il Coraggio di essere scomodo", all'origine della marcia del 9 giugno, ha spiegato in un comunicato stampa che il trattamento della vittima dell'Università Hongik ha perfettamente illustrato i problemi affrontati dal vittime di “molka”: “Il modo in cui il pubblico reagisce a una vittima maschio o femmina è molto diverso. Mentre un video contro un uomo viene considerato un crimine, la ripresa di una donna viene considerata al massimo un porno”.

Secondo stime della polizia, tra il 2013 e il 2017 ci sono stati più di 6.000 casi di “molka” ogni anno. Ma il numero effettivo è probabilmente molto più grande. E la stragrande maggioranza dei responsabili sono uomini; la maggior parte delle vittime, donne. “La paura che le donne provano nei confronti delle telecamere spia non è sproporzionata, è razionale”, ha detto Chang Dahye, ricercatore presso l'Istituto coreano di criminologia. “Non sono solo foto di sesso – ha aggiunto – ci sono video di donne che fanno pipì in bagno, foto di donne in bikini, a casa, che camminano per strada”.

Agenti di polizia ispezionano un bagno pubblico a Seoul alla ricerca di telecamere nascoste (Gettyimages)
Agenti di polizia ispezionano un bagno pubblico a Seoul alla ricerca di telecamere nascoste (Gettyimages)

Per cercare di arginare il fenomeno, a Seoul è stata creata una squadra di polizia che attraverso dispositivi di scansione a infrarossi e rilevatori di campi elettromagnetici controlla che nei bagni pubblici non siano state installate telecamere nascoste. Nell'aprile 2018, oltre 200.000 persone hanno firmato una petizione chiedendo il divieto di vendita di mini telecamere e pene più severe per i responsabili di filmare di nascosto le donne. L’anno scorso, il governo sudcoreano ha adottato una legge che prevede che chi filma o fotografa una persona senza il suo consenso in modi che possano provocare desiderio sessuale o essere causa di umiliazione rischia fino a cinque anni di carcere o una multa di 10 milioni di Won (7 651 euro). Tuttavia, solo una minima parte degli autori di questo crimine sessuale rischia il carcere; finora la maggior parte se l’è cavata con un multa o è in libertà vigilata. Tra il 2012 e il 2017, su oltre 20mila sospettati di sesso maschile, solo il 2,6% è stato arrestato.

Le sudcoreane, però, non sono più disposte a tollerare di essere filmate di nascosto e vedere come le immagini finiscono su siti pornografici. E la marcia del 9 giugno, la più grande manifestazione femminista mai registrata nel Paese, ne è la dimostrazione.

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