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Cos’è la missione Unifil dell’Onu in Libano e quali rischi corrono i soldati italiani: il generale a Fanpage

Fanpage.it ha intervistato il generale Giorgio Battisti, ex comandante del Corpo d’Armata Italiano di Reazione Rapida della NATO, per parlare del ruolo dei nostri militari in Libano e della missione Unifil. “I nostri militari hanno la consegna di ritirarsi nei bunker. – ha spiegato il generale – L’evacuazione sarebbe uno smacco per l’Onu che viene già accusato di non aver fatto rispettare il suo mandato sul territorio”.
Intervista a Generale Giorgio Battisti
Ex comandante del Corpo d'Armata Italiano di Reazione Rapida della NATO.
A cura di Eleonora Panseri
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In questo momento di forte tensione in Medio Oriente, in Libano è stanziato un contingente composto da circa mille soldati italianiQuesto, insieme a militari provenienti da altri 50 Paesi delle Nazioni Uniti, è parte della missione Onu Unifil (United Nations Interim Force in Lebanon).

Fanpage.it ha intervistato il generale Giorgio Battisti, ex comandante del Corpo d'Armata Italiano di Reazione Rapida della NATO, per parlare del ruolo dei nostri militari sul territorio e della loro situazione attuale.

"La missione Unifil in Libano è una delle operazioni delle Nazioni Unite più lunghe. È iniziata nel 1978 per controllare il ritiro delle forze israeliane dalla parte meridionale del Paese per cercare di ripristinare delle condizioni di pace minime, diciamo. Quella zona è sempre stata caratterizzata da una conflittualità che si trascinava e si trascina, purtroppo, da decenni", ha spiegato il generale parlando della nascita della missione.

"La partecipazione italiana è avvenuta da subito, ma con uno schieramento inizialmente limitato. C'è stato poi un incremento della nostra presenza sul territorio in termini di uomini, di mezzi e materiali dopo il cosiddetto ‘conflitto dei 34 giorni‘, nell'estate del 2006, quando Israele, a seguito di un attacco di Hezbollah, che ha portato alla morte di alcuni militari e al rapimento di due soldati israeliani", ha aggiunto Battisti.

Il generale Giorgio Battisti, ex comandante del Corpo d'Armata di Reazione Rapida della NATO in Italia.
Il generale Giorgio Battisti, ex comandante del Corpo d'Armata di Reazione Rapida della NATO in Italia.

"Dopo 34 giorni di aspri combattimenti, durante i quali Israele è stato un po' colto alla sprovvista dalla capacità di Hezbollah di rispondere alla sua invasione, a seguito di un'intensa attività diplomatica, le due parti in causa hanno accettato il cessate il fuoco e l'intervento della missione Unifil, chiamata ‘Unifil 2' e potenziata in termini di uomini, dove la leadership per i primi anni è stata assunta dagli italiani che hanno schierato un contingente di diverse migliaia di uomini".

Generale, quanti soldati italiani sono nel contingente Unifil?

In questo settore opera dal 2006 un contingente che ora si è assestato sui 10mila uomini, forniti da circa 50 Paesi dell'Onu, e l'Italia in questo momento supera i mille uomini e donne, più una serie di mezzi e di equipaggiamenti militari che servono per supportare l'attività.

La missione pattuglia l'area di responsabilità che è costituita da una buffer zone, una fascia di sicurezza compresa tra il confine con Israele (la cosiddetta ‘blue line‘, che va dal mare fino al confine della Siria) e, a nord, il fiume Litani, che viene preso come riferimento settentrionale per questa fascia che era ed è ancora di responsabilità delle Nazioni Unite.

In questo momento di tensione nell'area, qual è la situazione dei nostri militari nel Paese?

I nostri militari, in caso di bombardamenti e combattimenti tra forze israeliane ed Hezbollah, hanno la consegna di ritirarsi nei bunker per evitare di essere presi dal fuoco delle due parti. Solitamente è Israele che avvisa il contingente dell'inizio di qualche azione.

Anche se non sempre l'ha fatto, perché anche i miliziani di Hezbollah, osservando i comportamenti dei militari di Unifil, potrebbero rendersi conto dell'attacco imminente. Spesso i contingenti, anche quello italiano, si sono trovati in mezzo a scambi di fuoco.

Quali rischi corrono i nostri militari e quelli degli altri contingenti?

Al momento il rischio è minimo perché non sono l'obiettivo, né Israele né Hezbollah hanno interesse a colpire le forze Onu. I soldati entrano nei rifugi protetti e non subiscono particolari danni, salvo colpi di artiglieria oppure qualche razzo che accidentalmente cade sui campi.

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Indubbiamente, da un punto di vista tecnico militare qualche perplessità sulla presenza rimane perché 10mila soldati armati ed equipaggiati sono lì al momento senza fare nulla.

Negli ultimi giorni è capitato che i nostri militari rimanessero dentro ai bunker anche 18-20 ore mentre questi combattimenti proseguivano.

La situazione potrebbe degenerare?

Potrebbe esserci l'eventualità che Israele, che ormai ha tolto qualsiasi freno ed è riuscito a cogliere di sorpresa Hezbollah, anche con l'esplosione dei cercapersone, non si accontenti di liberare una fascia di sicurezza e sia tentato di procedere oltre il fiume Litani, ancora più a Nord, verso Beirut.

Ritengo che per il momento, ma potrei anche sbagliarmi perché non conosco gli intendimenti di Israele, si accontenti invece di liberare questa zona. Perché è già impegnato su numerosi fronti: a Gaza, in Libano, con milizie filo israeliane sia in Siria che in Iraq, con gli Houthi.

E non dobbiamo dimenticarci le operazioni di controterrorismo urbano che fa in Cisgiordania e all'interno dei confini. Tant'è che ha dovuto ricorrere a un gran numero di riservisti per poter affrontare tutto questo.

È previsto l'intervento o l'evacuazione del contingente?

L'intervento del contingente non penso sia previsto, sarebbe altrimenti già avvenuto negli anni precedenti. L'evacuazione invece è una decisione politica ma sarebbe uno smacco per l'Onu che viene già accusato di non aver fatto rispettare il suo mandato. Evacuare 10mila uomini con mezzi e materiali poi non è semplice perché in quella fascia i combattimenti sono diventati molto seri.

Foto Yasin Demirci/Anadolu via Getty Images
Foto Yasin Demirci/Anadolu via Getty Images

Spostare il contingente che deve raggiungere i porti di imbarco, che sono molto più a Nord, sarebbe un problema, significherebbe muovere centinaia di migliaia di mezzi e 10mila soldati.

A meno che le Nazioni Unite e il contingente Unifil riescano a far trovare a Israele ed Hezbollah un accordo per un cessate il fuoco che permetta l'evacuazione. E questo potrebbe avvenire se il conflitto dovesse proseguire e diventare più aspro. Sarebbe un bel problema da un punto di vista logistico, organizzativo.

Quali sono i compiti del contingente Onu Unifil?

Il compito di questo contingente è di pattugliare l'area per evitare che si verifichino intromissioni da parte israeliana o di Hezbollah che possano portare a degli scontri a fuoco. Oltre a questo, si occupa di sminare l'area a favore delle popolazioni dei vari villaggi della zona e di prestare loro aiuto.

In più, se uno va a leggere il mandato 1701 dell'11 agosto 2006 del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, trova tra i vari compiti anche quello di fare in modo che in questa fascia di sicurezza non siano presenti formazioni armate che non siano di Unifil o dell'esercito regolare libanese.

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Questa operazione di controllo e neutralizzazione non è mai stata assolta, tant'è vero che in questi 18 anni Hezbollah ha avuto modo, con l'aiuto dell'Iran, di creare un dispositivo difensivo molto intenso, che si basa su postazioni di lancio di razzi, postazioni difensive con armi controcarro, in un terreno ondulato che già di per sé offre possibilità per la difesa.

Questo mandato, che era quello più importante e che diversi politici internazionali, così come i nostri ministri degli Esteri e della Difesa, evidenziano, non è mai stato attuato. Nel senso che i contingenti di Unifil, per una decisione politica che scaturisce dal Palazzo di Vetro, non hanno mai voluto intervenire, anche con le armi, affinché Hezbollah si ritirasse.

Perché questo compito non è mai stato assolto?

Sia per motivi politici, perché c'è stata una forma di accondiscendenza verso il governo libanese, che non è mai stato capace di far rispettare queste disposizioni, sia perché Hezbollah in passato non veniva visto solo come un'organizzazione terroristica. Ma, facendosi forte di questa impostazione, con il tempo i miliziani hanno creato delle aree dove le forze dell'Onu non possono entrare.

Nel 2007 c'è stato un attentato molto cruento ai danni di una pattuglia spagnola, che ha provocato diversi morti, e noi italiani ne abbiamo subito un altro con alcuni feriti nel 2011. La critica che viene fatta alla missione è proprio quella di non aver assolto alla missione.

Questo discende da un'impostazione che viene data dalle Nazioni Unite ma, io dico, anche accettata dai Paesi che forniscono militari in quella missione. È chiaro che adesso, con la recrudescenza del conflitto e con l'attacco del 7 ottobre, è emersa un po' l'inutilità del contingente delle Nazioni Uniti, che pattuglia queste zone ma non può far niente per risolvere la situazione, visto che questo compito non è mai stato avviato.

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