“Per la prima volta, c'è un vero senso di libertà”, così a Damasco hanno accolto la notizia della fine dell'era del presidente Bashar al-Assad. Festeggiamenti e fuochi d'artificio sono andati avanti tutta la notte intorno alla moschea degli Omayyadi nel centro della capitale siriana per celebrare questo momento storico per il paese. In poco più di una settimana, i ribelli islamisti, insieme ai fuorisciti dell'Esercito siriano libero (Fsa), sostenuti dalla Turchia, del movimento Tahrir al-Sham (Hts) dopo aver conquistato Aleppo, Hama e Homs sono entrati a Damasco nella notte di sabato. Si sono chiusi così 54 anni di potere della famiglia al-Assad, prima del padre Hafez e poi di Bashar, a guida del paese dal 2000.
Bashar al-Assad che ha lasciato il Paese, sebbene non si abbiano notizie certe su dove si trovi in questo momento, ha guidato la Siria con la stessa brutalità e gli stessi metodi repressivi del padre, soprattutto dopo lo scoppio delle proteste anti-regime del 2011, in parallelo con l'avvio delle manifestazioni per le così dette Primavere arabe. La guerra civile siriana ha causato fino a questo momento mezzo milione di morti e 6,6 milioni di rifugiati.
La guerra non è finita
Le immagini simboliche dell'abbattimento delle statue di Bashar e Hafez al-Assad a Homs e Damasco potrebbero far pensare che la guerra civile siriana finisca qui. In realtà si continua a combattere e la fine dell'era degli Assad aprirà una lunga fase di transizione che potrebbe essere altrettanto sanguinosa, come è avvenuto in Iraq dopo la fine del regime di Saddam Hussein nel 2003.
Dopo Damasco, gli insorti sono entrati a Deir Ezzor a Sud di Raqqa. Mentre nelle città conquistate sono stati liberati centinaia di detenuti. In particolare dalla notoria prigione di Saydnaya dove migliaia di prigionieri politici hanno subìto negli ultimi anni torture ed esecuzioni.
Non solo, migliaia di militari dell'esercito siriano regolare, indeboliti da anni di guerra civile, si sono liberati delle uniformi. Almeno 2mila tra loro hanno superato il confine e si sono rifugiati in Iraq, come ha confermato il sindaco della città di frontiera di al-Qaim, Turki al-Mahlawi.
Chi guiderà la transizione?
Il rischio è che in Siria nelle prossime settimane regni il caos che del resto è stata una delle caratteristiche salienti negli ultimi anni di uno stato fallito dopo anni di guerra civile.
I ribelli siriani dopo essere entrati nella capitale hanno mandato in onda alla televisione alla radio pubblica un messaggio in cui hanno annunciato la liberazione del paese. Il leader di Hts, Mohammed al-Jolani aveva intimato ai militari pro-Assad di non avvicinarsi alle “istituzioni poubbliche” che resteranno sotto la “supervisione del primo ministro” fino al passaggio di poteri ufficiale.
Dal canto suo, il premier, Mohammed Ghazi al-Jalali, ha dichiarato in un'intervista televisiva di essere in contatto con Hts e che si svolgeranno presto nel paese libere elezioni.
Al-Jolani si dipinge come un leader nazionalista ma non è ancora chiaro quale sarà il posto dell'islamismo politico nella fase di transizione e quale spazio avrà l'ala militare del gruppo. Il leader di Hts, che ha preso parte all'insurrezione in Iraq contro gli Stati Uniti tra le fila dello Stato islamico (Isis), aveva preso le distanze dai gruppi jihadisti in cui i ribelli sono radicati, come Jabhat al-Nusra e al-Qaeda.
Uno dei leader dell'opposizione siriana, Hadi al-Bahra, che guida la Coalizione nazione della rivoluzione siriana e delle forze di opposizione, ha salutato con favore la fine “dell'epoca nera della storia siriana” con la conclusione dell'autoritarismo di al-Assad. In relazione ai pericoli che potrebbero correre in questa fase le minoranze cristiane e alawite, al-Bahra ha assicurato che non “ci saranno casi di vendetta o violazione dei diritti umani”.
Lo scenario libico
Nonostante la fine del regime di al-Assad, la Siria potrebbe continuare ad essere uno stato fallito in mano a milizie e gruppi jihadisti che si fanno la guerra per il controllo del territorio, così come sta accadendo in Libia. Eppure mentre nel paese del Nord Africa i sostenitori di Khalifa Haftar non sono mai riusciti ad arrivare a Tripoli, nonostante il sostegno di Egitto e Russia, in Siria Hts ha conquistato Damasco.
Se il primo banco di prova sarà la tenuta del Paese in mano a un possibile governo guidato dal gruppo sunnita rispetto ai diritti delle minoranze. Il punto più incerto riguarderà i rapporti con i curdi che continuano a controllare il Nord del paese, da Kobane a Qamishli, con le Forze siriane democratiche (Sdf).
Nelle prossime settimane capiremo quale sarà il rapporto tra un governo di Damasco, con ogni probabilità targato Hts, e le Unità di protezione maschili e famminili (Ypg/Yph), dispiegate nel Nord della Siria. “Stiamo vivendo un momento storico, la fine del regime autoritario di al-Assad”, ha commentato a caldo il comandante di Sdf, Mazloum Abdi, definendola “un'opportunità per costruire una nuova Siria basata sulla giustizia e la democrazia”. Anche in Rojava sono state abbattute le statue degli Assad.
Eppure non è detto che le forze curde avranno con Hts la stessa libertà di azione che aveva assicurato loro l'ex presidente siriano. Anzi il ridimensionamento del progetto del Rojava potrebbe essere uno degli obiettivi dei ribelli, guidati dalla Turchia, che hanno ottenuto la fine di Bashar al-Assad.
Chi festeggia oggi a Damasco
E così il Paese che più potrà avvantaggiarsi dalla sconfitta dell'ex presidente siriano, è la Turchia di Recep Tayyip Erdogan. Alla vigilia dell'avanzata dei ribelli, il presidente turco aveva fatto sapere di aver cercato più volte di coinvolgere al-Assad per torvare un accordo con le forze di opposizione ma di non aver ottenuto alcuna risposta.
Ankara non ha mai tollerato la presenza dei combattenti curdi, con radici nel partito dei lavoratori del Kurdistan (Pkk), guidato da Abdullah Ocalan, lungo il confine meridionale turco e ha fatto di tutto per mettere a rischio il loro progetto di autonomia democratica.
A festeggiare, per una volta, ci sono anche i rifugiati siriani nei paesi vicini. Il valico di Masnaa con il Libano è affollato di profughi siriani che vogliono rientrare nel Paese e che hanno aspettato da anni questo momento.
Altri simpatizzanti dell'avanzata di Hts in Siria sono sicuramenti i Taliban in Afghanistan che non hanno mai nascosto le “connessioni ideologiche” con i jihadisti nel paese.
Cosa faranno Russia e Iran
A permettere il successo degli insorti c'è stato prima di tutto il ritiro dei miliziani del movimento sciita libanese Hezbollah, decimati dagli attacchi isreliani prima dell'accordo per il cessate il fuoco dello scorso 27 novembre con Tel Aviv. Il gruppo ha ritirato i suoi soldati da alcune aree di frontiera, in particolare da Qusair, al confine con il Libano.
A questo punto è evidente che la Russia di Vladimir Putin ha deciso che la Siria non è una priorità di politica estera per Mosca, come continua ad essere la Libia. Però non è detto che Mosca voglia abbandonare il controllo che ha su Latakia e sul porto di Tartus, la porta russa sul Mediterraneo orientale. Lo stesso vale per la base russa di Hmeimim, dove fino a questo momento arrivavano i rifornimenti di armamenti da Mosca ad al-Assad.
La fine di al-Assad è sicuramente una grande sconfitta per l'Iran. Ali Larijani, consigliere della guida suprema Ali Khamenei, è stato l'ultimo a incontrare al-Assad sabato sera, prima che lasciasse il paese. L'asse tra Teheran e Damasco è stato un punto centrale della politica estera iraniana, estremamente indebolita dopo l'uccisione della guida delle milizie al-Quds, Qassem Soleimani, nel 2020 a Baghdad, e della guida di Hezbollah, Hassan Nasrallah, il 27 settembre scorso.
Dal canto suo, il presidente Usa, Donald Trump ha confermato la sua linea per cui gli Stati Uniti devono disimpegnarsi dai conflitti dell'area. Mentre l'inviato speciale delle Nazioni Unite per la Siria, Geir Pedersen, ha chiesto che si svolgano colloqui urgenti tra i ministri degli Esteri di Turchia, Iran e Russia sull'evoluzione della situazione in Siria a Ginevra appena possibile.
L'8 dicembre 2024 sarà ricordato come una data storica che ha chiuso la pagina della dittatura siriana degli al-Assad. Il futuro è pieno di incognite rispetto al ruolo che alcune componenti jihadiste tra i ribelli avranno in Siria. Eppure dopo 13 anni di guerra civile, la fine del regime sanguinario a Damasco rappresenta per tanti rivoluzionari e le centinaia di migliaia di morti la conclusione di una pagina nera che potrebbe aprire a nuove opportunità per l'intero Medio Oriente, ridimensionando drasticamente il ruolo iraniano nella regione e accrescendo il controllo politico turco nell'area.