All’alba di stamattina, in Ucraina, è cominciata la battaglia per Kiev, la capitale. Tutti coloro che seguono l’andamento di questa atroce guerra europea sono in queste ore bombardati da video di dubbia provenienza e notizie spesso inquinate dalle opposte propagande. Due fatti, però, sono certi. Le truppe russe, dopo un breve bombardamento intimidatorio nella notte, sono entrate in città da Nord. Il che vuol dire che si tratta di parte del contingente che Mosca aveva ammassato in Bielorussia per le esercitazioni congiunte Allied Resolve 2022 e che poi, finite le esercitazioni, erano rimaste sul posto. La motivazione data allora dai vertici militari russi era la rinnovata tensione nel Donbass, lungo la linea di contatto con l’Ucraina. Ma alla luce dei fatti è lecito ora pensare che l’invasione fosse già allora tra le ipotesi previste dal Cremlino. Si tratta di un contingente di 30 mila uomini con un’alta percentuale di truppe scelte, soprattutto paracadutisti, appoggiato da cacciabombardieri e sistemi missilistici. Il che ci dice, tra l’altro, che le forze armate russe, almeno in questa fase, stanno impiegando una parte molto ridotta del loro potenziale di fuoco.
Il secondo fatto che emerge è questo: la Russia non tenta di “occupare” il territorio che attraversa ma solo di metterlo in sicurezza per far passare le truppe. Da Gomel’, in Bielorussia, nella cui regione erano dispiegate le truppe russe per l’esercitazione, e Kiev ci sono circa 270 chilometri. In ventiquattro ore i comandi russi sono riusciti a portare fino alla capitale ucraina un numero sufficiente di uomini per tentare l’assalto alla città.
La battaglia per Kiev, come tutte quelle combattute in città grandi e popolose (qui quasi 3 milioni di abitanti), rischia di provocare molte vittime tra i civili. E le parti già si accusano. Gli ucraini rimproverano ai russi i bombardamenti sui quartieri civili, i russi accusano gli ucraini di sistemare mezzi corazzati e batterie antiaeree nei pressi dei condomini, facendosi quindi scudo con i civili. Intanto la popolazione cerca riparo. Molti kieviani hanno lasciato la città, come testimoniato dalle fotografie con lunghissime code di automobili dirette verso le periferie. Molti altri vivono ormai nelle stazioni della metropolitana, tramutate in rifugi antiaerei.
Il rischio ora è che gente disarmata paghi il prezzo di un’operazione militare che, proprio perché riguarda la capitale dell’Ucraina, ha un altissimo significato sia strategico sia simbolico. Dal punto di vista strategico, per i russi conquistare la capitale vorrebbe dire non solo infliggere un durissimo colpo al morale degli ucraini ma anche disconnettere la testa (la Presidenza, il governo, la dirigenza politica, gli alti comandi militari) dal corpo, ovvero dai governi delle regioni e dei comuni e dai reparti che combattono sul terreno. Se i vertici ucraini non riuscissero ad allontanarsi e a riorganizzarsi altrove, nell’estremo Ovest del Paese (a L’viv, per esempio) o addirittura all’estero (la Polonia sarebbe pronta ad accoglierli), per la resistenza ucraina sarebbe la fine.
Ma anche l’aspetto simbolico non è da trascurare. Vladimir Putin non ha lasciato capire ma ha esplicitamente detto che questa “operazione speciale per la demilitarizzazione e denazificazione dell’Ucraina” (i russi rifiutano i termini “invasione” o “guerra”) è condotta per cacciare il presidente Zelensky e il Governo ucraino, l’uno e l’altro definiti “marionette degli Usa”. Il Cremlino, insomma, vuole la pubblica umiliazione dell’avversario, vuole chiarire al mondo il prezzo da pagare per chi voglia, alle porte della Russia, schierarsi con il nemico storico, gli Usa. Ottenuto questo, potrà provare a realizzare un ulteriore obiettivo, cioè insediare a Kiev un Governo “amico” se non vassallo. Oppure permettere che la residua Ucraina indipendente (perché è chiaro che la Russia si prenderà, oltre al Donbass, un’altra porzione di territorio ucraino) scelga in maniera autonoma un proprio Governo, dovendo però scegliere tra due destini ugualmente rischiosi: farsi adottare dall’Occidente entrando nella Nato e nella Ue, e quindi accettare il confronto perenne con la potenza militare russa; oppure sottomettersi, scegliere la strada della neutralità e tenere la testa china.
In queste ore, comunque, il primo pensiero dev’essere non per le strategie ma per la sorte delle persone. Combattere nelle città vuol dire, sempre, provocare un certo numero di morti di civili. Non esistono le “bombe intelligenti” o “bombardamenti mirati” che possano evitarlo, e forse nemmeno che vogliano evitarlo. Bisogna smettere di sparare, altra soluzione non c’è.