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Conflitto Israele-Palestina e in Medio Oriente

Cosa succede se gli USA bloccano davvero l’invio di armi a Israele: l’analisi di ISPI

L’intervista di Fanpage.it a Ugo Tramballi, consigliere scientifico di ISPI: “Le parole di Biden sul blocco delle forniture di armi a Israele? Hanno più valenza interna che internazionale. Finché ci sarà Netanyahu ci sarà la guerra, e finché ci sarà la guerra ci sarà Netanyahu”.
Intervista a Ugo Tramballi
Consigliere scientifico di ISPI.
A cura di Ida Artiaco
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"Le parole di Biden sullo stop all'invio di armi ad Israele in caso di offensiva a Rafah hanno una valenza più interna che internazionale in vista delle elezioni presidenziali di novembre. In realtà, Israele non ha bisogno delle armi americane per combattere a Rafah".

Così Ugo Tramballi, consigliere scientifico di ISPI, l'Istituto per gli studi di politica internazionale, ed ex editorialista del Sole 24 Ore, ha commentato a Fanpage.it le parole di Biden che in una intervista alla Cnn ha preannunciato il blocco delle forniture di armi ad Israele se quest'ultimo andasse avanti con l'offensiva su Rafah.

Che scenari aprono nella guerra tra Hamas e Israele le parole di Biden che ha preannunciato lo stop all'invio di armi a Tel Aviv in caso di offensiva a Rafah?

"In realtà, Israele non ha bisogno delle armi americane per combattere a Rafah. Gli servirebbero se dovesse combattere una guerra contro l'Iran o contro Hezbollah a Sud del Libano, ma in questa situazione le parole di Biden hanno più che altro una valenza politica. Per la prima volta dai tempi di Richard Nixon un presidente degli Stati Uniti dice di essere contro all'invio di armi a Israele. Ma dal punto di vista pratico, è di importanza relativa".

Cosa potrebbe cambiare dal puto di vista dei colloqui?

"Anche in questo caso, le parole di Biden hanno una importanza relativa. Il problema vero è che Netanyahu fa in modo di impedire che si possa arrivare ad una qualsiasi forma di tregua, soprattutto a lungo termine, perché lui per restare al potere e mantenere il suo governo di estrema destra con l'appoggio dei coloni e dei partiti estremisti nazional-religiosi ha bisogno che la guerra continui, perché questo impedirebbe di arrivare alla fine di un conflitto dopo il quale, essendo lui primo ministro, sarebbe anche il primo ad essere chiamato come responsabile dei fallimenti del 7 ottobre, quando Israele si è fatto trovare completamente impreparato all'assalto di Hamas. L'intervista di Biden ha un valore forse più interno che internazionale".

Cioè?

"Nel senso che c'è una campagna elettorale in corso negli Usa, e questo serve a Biden per equilibrare il suo comportamento, ed essere critico nei confronti delle mosse di Israele a Gaza da un lato ma al tempo stesso per far sì che non si inimichi l'elettorato ebraico, che è economicamente e politicamente molto importante".

C'entrano in qualche modo le proteste nelle Università Usa con queste dichiarazioni?

"Ci sono diversi sondaggi che dicono che i giovani americani tra i 18 e i 29 anni sono sì tendenzialmente più favorevoli ai palestinesi ma non votano per questo. Più che altro votano per il lavoro o per l'economia. Dalla Guerra Fredda la politica estera non è decisiva per eleggere un presidente Usa, quanto possono esserlo questioni sociali ed economiche. Quello che stanno facendo gli studenti nelle università è comunque molto importante, perché non è mai successo che Israele si trovasse così isolato".

A proposito di isolamento, Netanyahu ha detto che "se Israele sarà costretto a restare da solo, rimarrà da solo". Quanto è preoccupante questa possibile solitudine di Israele?

"L'idea della solitudine israeliana esiste da sempre. Insieme all'antisemitismo, è un elemento molto forte della propaganda, che hanno anche effetto su noi occidentali. In realtà si tratta di una solitudine relativa perché se Netanyahu accettasse di fermare la guerra e trovasse una soluzione politica per il futuro dei palestinesi Israele avrebbe come "premio" la normalizzazione dei rapporti con l'Arabia Saudita, che sta diventando il paese più importante del Medio Oriente. Netanyahu è il maestro di questa propaganda, che negli ultimi mesi si è ancora più enfatizzata. Si può dire che Israele adesso sta costruendo una nuova forma di solitudine".

Concludendo, dunque, secondo lei la risoluzione di questo conflitto è ancora lontana?

"Io credo che finché ci sarà Netanyahu ci sarà la guerra, e finché ci sarà la guerra ci sarà Netanyahu. Detto questo, prima o poi si arriverà ad un conclusione. Lui cercherà di farla durare il più a lungo possibile, perché gli esperti non solo israeliani ma anche americani dicono che è militarmente quasi impossibile sradicare Hamas. Nel senso che questo potrebbe succedere solo con un progetto politico, isolandolo e premiando l'Autorità Palestinese. Ma Netanyahu queste cose non le vuole sentire. Al momento è in una botte di ferro e può andare avanti ancora per tanto tempo, sette mesi dopo il 7 ottobre è difficile dire quando e come finirà questa guerra. Ciò che è certo è che quando questo succederà il vero problema sarà quello di Israele, che dovrà liberarsi di Netanyahu e ricompattare un paese profondamente diviso tra religiosi, ultrareligiosi e laici. Israele dovrà essere rifondato".

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