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Conflitto Israele-Palestina e in Medio Oriente

Cosa succede ora dopo l’uccisione del leader di Hamas Yahya Sinwar

L’uccisione di Yahya Sinwar può rappresentare un punto di svolta per il conflitto. Dopo i raid che hanno colpito l’ex leader di Hamas, Ismail Haniyeh, e il leader di Hezbollah, Hassan Nasrallah, tutti i vertici dell’Asse della Resistenza sono stati eliminati dall’Idf.
A cura di Giuseppe Acconcia
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Il premier israeliano Benjamin Netanyahu e l'ex capo di Hamas Yahya Sinwar.
Il premier israeliano Benjamin Netanyahu e l'ex capo di Hamas Yahya Sinwar.
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Con l'uccisione del leader di Hamas, Yahya Sinwar, l'esercito israeliano (Idf) ha eliminato uno dei simboli più significativi dell'“Asse della Resistenza" palestinese a Gaza ma anche uno degli ideatori dell'attacco del 7 ottobre 2023 che ha causato circa 1200 morti israeliani e oltre 200 ostaggi, alcuni ancora nelle mani del gruppo a Gaza.

Rilasciato nel 2011 nello scambio di prigionieri per la liberazione del soldato israeliano Gilad Shalit, Sinwar, 61 anni, nato nel campo profughi di Khan Younis e fondatore della sicurezza interna di Hamas, al- Majd, è stato ucciso vicino Rafah insieme ad altre due persone, in un attacco non mirato contro di lui, sebbene fosse il primo nella lista dei ricercati di Idf.

In attesa di un attacco non si ferma la guerra per procura

Quando il 31 luglio scorso è stato ucciso a Teheran l'ex leader di Hamas, Ismail Haniyeh, si attendeva una dura e immediata risposta iraniana. I raid contro Israele sono arrivati però soltanto lo scorso primo ottobre con il lancio di 180 missili, dopo l'uccisione del leader carismatico di Hezbollah, Hassan Nasrallah, lo scorso 27 settembre a Beirut.

Mentre tutto è pronto per una tanto annunciata risposta israeliana, la guerra per procura tra Teheran e Tel Aviv non è mai stata così intensa come in queste settimane. Le milizie sciite in Iraq hanno lanciato almeno 40 attacchi, anche con missili e droni. “Il numero di missili e droni lanciati dall'Iraq verso Israele ha raggiunto un livello senza precedenti. Lo fanno per dimostrare il loro sostegno per Hezbollah”, ha commentato Michael Knights del think tank Washington Institute. E così l'intero “Asse della Resistenza” sta continuando a dare filo da torcere all'Idf, impegnato su sette fronti (Gaza, Cisgiordania, Libano, Iran, Iraq, Siria, Yemen).

Per esempio, Israele continua a bombardare la Siria con lo scopo di fermare il flusso di armi che da Teheran arriva a Beirut. In particolare è stata presa di mira, anche con attacchi alle strutture sotterranee, la fabbrica di armi di Masyaf, nella Siria occidentale al confine con il Libano. Ma non solo, i raid di Idf hanno colpito il centro di Damasco, causando anche vittime civili, e strutture militari a Homs e Hama.

Da inizio ottobre, nei raid dell'esercito israeliano sono stati uccisi il comandante del gruppo affiliato ad Hezbollah in Siria, Imam Hussein, al-Faqar Hanawi, e Muhammad Jaafar Qasir, comandante di Hezbollah, incaricato di trasferire armi e tecnologia dall'Iran in Libano.

In almeno 85 raid, lanciati dagli Stati Uniti, in Siria, Iraq e Yemen, usando anche aerei Northop B-2 Spirit, dallo scorso gennaio sono state colpite 84 strutture militari che secondo il Pentagono erano controllate dai padaran iraniani, mentre sono stati uccisi comandanti e combattenti yemeniti Houthi che stavano svolgendo addestramento a Baghdad. Non solo, nelle esplosioni dei cercapersone e walkie-talkie in dotazione dei
membri di Hezbollah in Libano lo scorso 17 settembre, decine sono stati i morti di affiliati del gruppo anche in Siria e Yemen.

Le reazioni iraniane

Dal canto loro, le autorità iraniane non dovrebbero rispondere alla morte di Sinwar con un nuovo raid contro Israele, come hanno fatto dopo l'uccisione di Nasrallah, ma continuare ad attivare le loro milizie per procura. Nonostante i toni roboanti delle ultime settimane da parte dei pasdaran iraniani che hanno avvertito di una possibile risposta immediata distruttiva contro Israele in caso di attacco, Teheran ha preso provvedimenti molto significativi, e continuerà a farlo, per evitare ulteriori infiltrazioni nel suo apparato di sicurezza. Prima di tutto, le autorità iraniane hanno vietato temporaneamente ogni dispositivo di comunicazione elettronica sui voli per impedire un altro attacco su larga scala.

In secondo luogo, le autorità iraniane sono impegnate in una serie di incontri diplomatici, con il presidente Masoud Pezeshkian in prima linea che, nei giorni scorsi, ha discusso in Turkmenistan con il suo omologo russo, Vladimir Putin. Mentre il ministro degli Esteri, Abbas Araghchi, ha incontrato Abdel Fattah al-Sisi in Egitto. Teheran non ha mai nascosto lo stretto legame che hanno le autorità iraniane con Mosca, in particolare in seguito alla fornitura di droni Shahed, utilizzati nella guerra in Ucraina, che sono costati all'Iran nuove sanzioni internazionali.

Tuttavia, i politici radicali continuano a monopolizzare le istituzioni in Iran. Nonostante l'elezione di un presidente moderato lo scorso luglio, le autorità iraniane puntano su leggi sempre più restrittive in materia di obbligo del velo. A oltre due anni dall'avvio delle proteste del movimento “Donna, vita, libertà”, la “Legge per la promozione dell'hejab e della castità” imporrà multe più salate (da 31 a 790 dollari) e periodi più lunghi di
detenzione per le donne che non rispetteranno le nuove norme, anche online, estendendo i poteri della polizia morale, dell'intelligence e del sistema giudiziario per perseguire chi non indossa “correttamente” il velo.

Gli Stati Uniti al fianco di Israele

Gli Stati Uniti auspicano che l'uccisione di Sinwar possa finalmente placare gli animi e riavvicinare il percorso che porti alla fine delle ostalità e al cessate il fuoco. Nel frattempo, Washington sta continuando a rafforzare la sua presenza militare in Medio Oriente. Gli Usa hanno mandato truppe in territorio israeliano e il sistema anti-missile avanzato (THAAD), in vista di un possibile attacco di Tel Aviv contro Teheran.

Nonostante nella telefonata dello scorso 9 ottobre a cui hanno partecipato il presidente Usa, la candidata alle presidenziali, Kamala Harris, e il premier israeliano Benjamin Netanyahu, Biden abbia chiesto di evitare raid contro Teheran che possano innescare un guerra su larga scala, coinvolgendo le centrali nucleari iraniane, gli Stati Uniti sono impegnati a sostenere Tel Aviv con ogni mezzo.

Tuttavia, l'ambasciatrice Usa alle Nazioni Unite, Linda Greenfield ha anche chiesto a Israele di dare prova di evitare una politica di carestia a Gaza e di permettere un ingresso adeguato agli aiuti umanitari nella Striscia. Mentre il presidente francese, Emmanuel Macron aveva chiesto lo stop dell'invio di armi francesi, usate a Gaza, a Israele, il cancelliere tedesco Olaf Scholz ha invece assicurato che i rifornimenti in armamenti dalla Germania verso Israele continueranno.

Si aggrava il disastro umanitario a Gaza

Con i raid israeliani di ieri che hanno provocato la morte di Sinwar, si aggrava ulteriormente la crisi umanitaria a Gaza. Un nuovo raid israeliano ha colpito la scuola Abu Hussein nel campo profughi di Jabalia, uccidendo 28 palestinesi. Secondo l'esercito israeliano, i raid avevano l'obiettivo di colpire militanti di Hamas e Jihad islamica che si erano rifugiati nella scuola. Per Hamas si tratta di “bugie”, continui attacchi contro i civili e di “una politica sistematica del nemico per giustificare i suoi crimini”.

I raid peggiorano il disastro umanitario che sta colpendo la Striscia, con oltre 42mila morti, di cui 16 mila bambini, quasi 2 milioni di sfollati su una popolazione di 2,4 milioni di persone e la distruzione di oltre l'80% degli edifici di Gaza, incluse scuole e università. A oltre un anno dall'inizio del conflitto, anche ospedali, come al-Shifa, e i campi profughi, come quelli di Khan Younis e Nuseirat, sono stati presi di mira dall'esercito israeliano con il pretesto che avrebbero ospitato terroristi.

Solo nei raid dello scorso 15 ottobre sono state uccise quattro persone nell'ospedale dei Martiri di al-Aqsa a Deir al-Balah, tra di loro Ahamd Shaban, 19 anni, studente di ingegneria, travolto dalle fiamme e diventato un simbolo della tragedia che sta vivendo il popolo palestinese.

Secondo le Nazioni Unite, 345mila palestinesi affronteranno l'inverno con livelli “catastrofici” di fame. Mentre gli aiuti umanitari faticano ad arrivare nella Striscia, l'Onu ha avvertito del rischio di carestia nei territori palestinesi. In particolare, 133mila persone già vivono in uno stato di “catastrofica insicurezza alimentare”.

Nella guerra hanno fin qui perso la vita circa 200 operatori umanitari molti dei quali lavoravano per le Nazioni Unite. La stessa agenzia Onu per i rifugiati (Unrwa) e il Segretario generale delle Nazioni Unite, Antonio Guterres, dichiarato da Tel Aviv “persona non grata”, sono stati presi di mira da Israele per i loro interventi a sostegno del popolo palestinese. Mentre continua la campagna di vaccinazioni contro la poliomielite a Gaza.

Secondo l'Unicef, nonostante le infrastrutture siano “devastate” dai continui raid israeliani, 181mila bambini sono stati vaccinati in 14 aree della Striscia, in questo secondo turno di distribuzione dei vaccini.

Il Libano come Gaza

L'aggravarsi della guerra per procura potrebbe avere effetti devastanti anche per il Libano. Peggiorano le condizioni umanitarie sul campo per il popolo libanese con oltre 2300 morti in un mese di conflitto, 1,2 milioni di sfollati interni e un quarto della popolazione del paese coinvolto nei continui raid israeliani. Non si ferma neppure l'avanzata di terra dell'Idf nel Sud del paese.

Se l'esercito israeliano ha assicurato che la bandiera di Tel Aviv sventola sulla roccaforte del movimento sciita libanese di Ayta al-Shaab, Hezbollah ha fatto sapere che nessun villaggio del Sud del paese è sotto il pieno controllo israeliano. In attesa di nuovi raid, Idf aveva ordinato a tutti i residenti della Valle della Bekaa di lasciare le loro case. Come se non bastasse, il sindaco di Nabatieh, Ahmad Kahil, è stato ucciso insieme ad altre 15 persone in un raid diretto contro edifici pubblici. Secondo il premier libanese, Najib Mikati, si è trattatto di un attacco “intenzionale” contro una delle municipalità più grandi del Sud del paese.

Ma l'esercito israeliano sta trovando non poche difficoltà nelle incursioni via terra nelle regioni libanesi a maggioranza sciita. Italia, Francia e Spagna insieme a altri 13 paesi europei hanno duramente condannato gli attacchi israeliani che hanno preso di mira i caschi blu dell'Onu, impegnati nella missioni di peacekeeping dell'Unifil dal 2006.

L'uccisione di Yahya Sinwar può rappresentare un punto di svolta per il conflitto. Dopo i raid che hanno colpito l'ex leader di Hamas, Ismail Haniyeh, e il leader di Hezbollah, Hassan Nasrallah, tutti i vertici dell'Asse della Resistenza sono stati eliminati dall'Idf. Questo significa che gli obiettivi principali di Israele nella guerra contro Hamas e Hezbollah sono stati raggiunti ed è quindi il momento di evitare l'estensione del conflitto che è sempre dietro l'angolo e di riprendere la fase negoziale.

La sorte di Sinwar era il principale ostacolo ai colloqui tra Israele e Hamas. Ora il gruppo che governa la Striscia di Gaza è stato indebolito militarmente, politicamente e dovrà affrontare una lunga fase di ricostruzione della sua leadership. Proprio per questo Hamas ha tutto l'interesse a raggiungere un compromesso che includa il rilascio degli ostaggi israeliani, ancora nelle mani del gruppo a Gaza. Ma ancora una volta non è detto che il premier israeliano, Benjamin Netanyahu, sia intenzionato a fermarsi nella sua strada che lo sta portando sempre più vicino alla guerra contro Teheran.

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Giuseppe Acconcia è giornalista professionista e docente. Insegna Stato e Società in Nord Africa e Medio Oriente all’Università di Milano e Geopolitica del Medio Oriente all’Università di Padova. Dottore di ricerca in Scienze politiche all’Università di Londra (Goldsmiths), è autore tra gli altri de “Taccuino arabo” (Bordeaux, 2022), “Le primavere arabe” (Routledge, 2022), Migrazioni nel Mediterraneo (FrancoAngeli, 2019), Il grande Iran (Padova University Press, 2018).
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