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Cosa succede con l’ingresso della Svezia nella NATO e cosa cambia per l’Italia: l’analisi dell’esperto

L’intervista di Fanpage.it a Gregory Alegi, storico e docente dell’Università Luiss di Roma, sull’ingresso della Svezia nella NATO: “È un paese che ha sempre avuto una certa cultura della difesa e della sicurezza, nonostante la neutralità. Ma sposta ulteriormente il baricentro dell’Alleanza verso Nord”.
Intervista a Gregory Alegi
storico, docente di Storia e Politica USA all'Università Luiss e del corso di Diplomazia della Luiss School of Government.
A cura di Ida Artiaco
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"La Svezia è un paese che ha sempre avuto una certa cultura della difesa e della sicurezza, nonostante sia rimasto ufficialmente neutrale. Sarà di grande aiuto alla NATO anche se il suo ingresso sposta ulteriormente il baricentro dell'Alleanza verso Nord, lasciando scoperti noi che siamo sul fianco mediterraneo".

Così Gregory Alegi, storico e docente di Storia e Politica USA all'Università Luiss e del corso di Diplomazia della Luiss School of Government, ha commentato a Fanpage.it la notizia dell'ingresso della Svezia nella NATO dopo la ratifica del Parlamento ungherese. Una volta che sarà promulgata la legge dal presidente László Kövér, Stoccolma potrà depositare a Washington la propria adesione, diventando il 32esimo componente dell'Alleanza atlantica.

Professor Alegi, cosa rappresenta l'ingresso della Svezia nella NATO?

"La Svezia è sempre stata un paese non inserito nelle Alleanze ma con forze armate estremamente preparate e avanzate tecnologicamente. Anche negli anni Cinquanta e Sessanta aveva ben chiara la minaccia dell'allora Unione Sovietica, quindi ha sviluppato delle capacità per resistere a un attacco. Da questo punto di vista, gli svedesi portano queste capacità, competenze e conoscenze dirette della minaccia che sono elevate e complementari a quelle che la NATO già aveva".

Cosa intende?

"Possiamo anche fare degli esempi: negli anni Cinquanta gli svedesi già avevano aeroplani da ricognizione elettronica che, rimanendo sul mare, quindi in acque internazionali, sul Baltico ascoltavano le trasmissioni russe. I russi stessi gliel'hanno abbattuto una volta. Il governo svedese nascose questo episodio, che è venuto fuori solo una ventina di anni fa. Dunque, era un paese che pur essendo ufficialmente neutrale aveva ben chiaro da che parte venissero le potenziali minacce alla propria sicurezza.

È un paese che questa cultura della sicurezza e della difesa – nonostante la neutralità – ce l'ha sempre avuta ben chiara, per cui può apportare un aiuto molto forte, che va al di là del proprio peso. Perché, pur essendo piccolo numericamente – credo che la popolazione della Svezia sia meno numerosa di quella della Lombardia -, è moderno, avanzato, tecnologicamente importante. Mentre altri, come i paesi Baltici, quando sono entrati hanno creato alla Nato una esigenza di difesa in più, la Svezia invece no, si difende benissimo da sola. Bisognerà vedere solo qualche tecnicalità di integrazione nel sistema NATO".

Crede che ciò influenzerà in qualche modo il corso della guerra in Ucraina?

"Non credo che ciò cambierà le sorti della guerra in Ucraina, nel senso che la NATO storicamente non combatte. Abbiamo visto nei giorni scorsi tutta la discussione in seguito alle dichiarazioni infelici di Macron di mandare truppe NATO in Ucraina.

Tuttavia, una conseguenza importante c'è e riguarda il fatto che con l'ingresso della Svezia si continua a spostare verso l'alto, verso Nord, il baricentro dell'Alleanza. Il che segna forse la prevalenza o quanto meno il ritorno allo spirito originario della NATO, che era una alleanza per contenere l'Unione Sovietica. Noi oggi siamo abituati a pensare la NATO "post muro di Berlino", che se ne va in Medioriente o in Asia centrale. Ma la NATO non è nata per questo, è stata realizzata per tenere sotto controllo l'allora URSS.

Negli ultimi anni ci siamo abituati ad altro, ma mettendoci dentro altri paesi del Nord, prima la Finlandia e poi la Svezia, torniamo sempre più alla vocazione originaria della NATO. Il che da un lato è un bene, perché tutto sommato l'Alleanza Atlantica in Europa è una forza di stabilità, ma dall'altro per noi che siamo mediterranei ci lascia scoperti. L'Italia da più di 40 anni si lamenta con la NATO del fatto che il fianco sud, con le minacce dal Mediterraneo e dal Medioriente, è sempre stato in secondo piano. Di questo ci siamo sempre lamentati anche in tempi non sospetti, quando c'era ancora il muro, quindi negli anni Ottanta. In questo senso, alzando il baricentro, per noi sarà un problema e si riproporrà una vecchia questione".

Secondo lei la Russia di Putin è una minaccia per la NATO come lo era l'Unione Sovietica?

"La minaccia è quella di un paese che continua a considerare l'aggressione militare come uno strumento politico "normale". La NATO non aggredisce, soprattutto per questioni di espansione territoriale. Nessun paese membro è stato conquistato o è stato costretto a entrare nell'Alleanza. Questo non vuol dire che l'Occidente non abbia fatto delle sciocchezze nel corso del tempo. Ma Mosca ha attaccato a freddo la Cecenia, la Georgia, in qualche modo la Siria, e poi l'Ucraina. Il problema di un paese aggressivo, di un paese che crede che la violenza di stato sia uno strumento assolutamente ordinario, esiste e preoccupa. Non è una minaccia solo di tipo quantitativo, ma proprio di mentalità, perché si ritiene che la guerra sia ancora una carta possibile nel mazzo. Per noi è una necessità ma non una carta che si gioca normalmente".

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