Cosa succede ai prigionieri politici arrestati da Vladimir Putin
La tecnica è quella di arrestarti con un pretesto qualsiasi per poi trovare un’accusa abbastanza pesante da tenerti in galera il più a lungo possibile. E l’accusa ideale la fornisce il nuovo articolo del codice penale che prevede condanne fino a 15 anni per chi parla della guerra in Ucraina e della politica dello Stato in modo difforme dalla versione ufficiale del Cremlino. Il sistema funziona: il regime sta rapidamente togliendo di mezzo gli oppositori che erano ancora liberi, o almeno quei pochi che non hanno lasciato la Russia dopo l’inizio della cosiddetta “operazione militare speciale”. L’ultimo a subire il trattamento, ormai diventato standard, è Ilya Yashin, 39 anni, quasi 20 di attività politica, tra i fondatori del movimento Solidarnost insieme a Boris Nemtsov — il leader anti-Putin assassinato nel 2015. Yashin fu protagonista delle grandi proteste di piazza del 2011-2012 ed è un deputato del distretto moscovita di Krasnoselsky, che conta 50.000 abitanti. Dal 24 febbraio in poi, ha criticato senza mezzi termini l’invasione. Chiarendo di non avere alcuna intenzione di rifugiarsi all’estero nonostante la quasi certezza di un’imminente persecuzione giudiziaria.
Yashin, l’agguato nel parco
I poliziotti lo hanno aspettato in un parco vicino a casa. Passeggiava con la fidanzata. Le manette sono scattate per “resistenza a pubblico ufficiale”. Ma è lecito pensare che si sia trattato di un agguato tout court. “Mica sono scemo a mettermi a discutere con la polizia in un Paese come questo”, ha detto poi in tribunale. Condannato a 15 giorni di arresti “amministrativi” — così si dice in Russia quando il delitto non è considerato un crimine — poche ore prima della scadenza dei termini è stato raggiunto in carcere dall’accusa, stavolta penale, di aver “denigrato” le forze armate. Motivo: ha parlato in uno stream su YouTube dell’eccidio di Bucha citando la ricostruzione che ne ha fatto il New York Times. “Questo caso è politicamente motivato dall’inizio alla fine”, ha affermato Yashin davanti al giudice che ha deciso la sua custodia cautelare in carcere fino almeno al 12 settembre. Magistrati e investigatori hanno tutto il tempo per preparare il processo. Il detenuto ha fato sapere tramite i suoi avvocati che durante gli interrogatori gli è stato chiesto perché non se ne fosse andato dalla Russia, visto che gli erano stati informalmente concessi ben quattro mesi di tempo per farlo. Evidentemente, la decisione di perseguirlo se non l’avesse fatto era stata presa a priori.
Gorinov, una condanna “esemplare”
“Quella lanciata dallo Stato è una vera e propria offensiva contro l’opposizione rimasta”, dice a Fanpage.it Sergei Davidis, sociologo, avvocato e responsabile del progetto indipendente “Sostegno ai prigionieri politici”, che faceva parte di Memorial, la maggiore organizzazione per i diritti umani russa, chiusa e liquidata dal governo nell’aprile scorso. “L’arma principale, non l’unica, di questa offensiva è diventato l’articolo 207.3 del codice penale, quello sulle cosiddette fake news riguardanti le forze armate”. Per Davidis, che abbiamo raggiunto al telefono in una località fuori dalla Russia dove si è trasferito per ragioni di sicurezza, “con la guerra il livello di severità del regime è diventato molto più alto e il livello di tolleranza verso il dissenso molto più basso”. Con Yashin sono 69 le persone indagate ex articolo 207.3, secondo dati di Ovd-Info, una Ong che monitora la repressione. Il primo ad aver ricevuto una condanna “esemplare” è un collega dello stesso Yashin nel consiglio distrettuale di Krasnoselsky, Alexei Gorinov: sette anni di prigione per aver detto in aula, mentre si discuteva di un concorso di disegno per bambini, che tale dibatto gli pareva insensato dato che ogni giorno bambini stavano morendo o diventando orfani sotto le bombe in Ucraina. Dopo la sentenza, l’articolo 207.3 è noto come “gorinovskaya”.
L’articolo sulle “fake news”, o “gorinovskaya”
“Il verdetto contro Gorinov è illegittimo perché l’articolo 207.3 del codice penale è incompatibile con la Costituzione”, sostiene l’avvocato difensore del condannato, Katerina Tertukhina. La carta fondamentale russa, infatti, più o meno come quella italiana, garantisce la libertà di pensiero e di parola, riconosce la diversità ideologica e politica e vieta la censura. E in Russia, al contrario che in Ucraina, nonostante la guerra in corso non è stata introdotta la legge marziale a limitare i diritti costituzionali. “In teoria nel nostro Paese ognuno può raccogliere informazioni da qualsiasi fonte, esprimere liberamente la propria opinione e diffondere qualsiasi informazione senza timore di persecuzioni da parte di nessuno, in primis da parte dello Stato”, spiega Tertukhina a Fanpage.it che l’ha raggiunta al telefono a Mosca. “In pratica questa aggiunta recente al codice viene utilizzata direttamente per reprimere la critica e la libera concorrenza delle opinioni. È la reincarnazione delle peggiori creazioni dell’apparato repressivo sovietico: si è istituita una norma penale contro le attività considerate come antigovernative. Un tempo si sarebbe detto ‘antisovietiche’. A nulla è valso mostrare alla corte i documenti dell’Onu sulle vittime della guerra. “Ogni informazione diversa da quelle propinate dal ministro della Difesa russo è considerata fake news, sottolinea Davidis. “Ma nel caso di Gorinov si è semplicemente punita un’opinione. La sentenza è stata decisa a tavolino, prima del processo. E la pena è sproporzionata. Neanche per uno stupro si danno sette anni, in Russia“.
Kara-Murza come Navalny, dopo il veleno il carcere
Il fatto è che i giudici — o, precisa Davidis, “chi dà loro gli ordini” — hanno un ampio margine di discrezionalità. Per reati simili a quello contestato a Gorinov in un caso si sono limitati a una multa di un milione di rubli (circa 17mila euro) e in un altro hanno comminato una pena detentiva con la condizionale. È il vecchio sistema staliniano di mantenere una pressoché totale incertezza del diritto, in modo di alimentare il terrore. Ma per gli oppositori più vocali e in vista si preparano pene pesanti. “Da un lato si mantiene una dose di imprevedibilità, dall’altro si vogliono lanciare segnali precisi alla società”, nota Davidis. Sarà probabilmente il caso di Vladimir Kara-Murza, 40 anni, ex braccio destro di Nemtsov, sostenitore delle sanzioni personali contro chi viola i diritti umani in Russia, sopravvissuto per due volte ad attentati al veleno perpetrati — ha concluso un’inchiesta giornalistica di Bellingcat e altri — dall’Fsb, il servizio di sicurezza erede del Kgb sovietico. Come Ilya Yashin, Kara-Murza è stato atteso sotto casa e arrestato per resistenza a pubblico ufficiale. Poi, trattenuto dietro le sbarre a colpi di “gorinovskaya”. È in attesa di processo. “Non mi aspetto certo che lo assolvano o che abbia una pena lieve”, dice a Fanapage.it la moglie Evgenia dagli Stati Uniti dove risiede con i figli per motivi di sicurezza. “Vladimir è stato all’opposizione fin da quando Putin è al potere, e quindi per le autorità è un criminale incallito”. La sentenza Gorinov, continua Evgenia Kara-Murza “è l’applicazione di una tecnica intimidatoria ideata per impaurire e indurre al silenzio la società civile russa. Le condanne a una lunga detenzione come rappresaglia contro chi dice la verità sulla guerra sono la nuova realtà della Russia di Putin, e dimostrano una volta di più che il regime sopravvive sull’intimidazione. E che la propaganda ha paura della verità”.
Il giovane Dima Ivanov, attivista universitario
Una lunga pena potrebbe essere inflitta anche al più giovane degli oppositori “incalliti” di Putin alle prese con la “gorinovskaya”, Dmitriy Ivanov, 22 anni, attivista della prestigiosa Università statale di Mosca, dove studia scienze informatiche. Una vicenda fotocopia di quelle di Yashin e Kara-Murza: l’agguato della polizia, 25 giorni di carcere “amministrativo” e poi l’accusa penale ex articolo 207.3. Per aver postato sul suo canale Telegram tweet di altre persone riguardanti la guerra. La sua amica Olga Misik, la “ragazza della costituzione” divenuta un’icona dell’opposizione russa quando a nemmeno 17 anni si mise a leggere la carta fondamentale davanti ai poliziotti anti-sommossa di Putin, ha pochi dubbi sull’esito del processo: “Per Dima (diminutivo di Dmitry, ndr), mi aspetto una sentenza come quella di Gorinov, o peggio. Potrebbero dargli otto o dieci anni. La decisione è già stata presa”, ci dice al telefono da Mosca trattenendo le lacrime.
Prigionieri politici e condizioni carcerarie
Secondo Sergei Davidis, “Il livello di pressione sulla società russa sta aumentando e il numero dei prigionieri politici non potrà che crescere”. Al momento sono circa 500, secondo i calcoli di Memorial, considerati attendibili anche dall’assemblea del Consiglio d’Europa che ha appena approvato una risoluzione per il rilascio di questi detenuti. “Ma stiamo continuando gli accertamenti — continua Davidis — e possiamo presumere che arriveremo presto a definire la cifra totale in un migliaio. Per ora”. I prigionieri politici in Russia vivono nelle stesse condizioni degli altri detenuti, a parte casi singoli come quello di Alexei Navalny, sottoposto a un regime particolarmente pesante. Le condizioni “normali” sono però stigmatizzate da Davidis come “pessime”. La Russia ha la quarta maggior popolazione carceraria del mondo: circa 520mila persone. Il 10% dei tenuti è positivo all’Hiv, almeno 14mila sono afflitti da tubercolosi conclamata. Non sono note le cifre dei contagi da coronavirus. La scarsa ventilazione di celle e ambienti comuni agevola il diffondersi delle malattie. Così come lo stesso rivestimento delle pareti del carcer: un cemento poroso abrasivo, a spuntoni irregolari, chiamato in gergo “shuba”, che vuol dire pelliccia. Un ricettacolo di insetti, sporcizia e agenti patogeni. “Impossibile da sanificare”, secondo Olga Romanova, responsabile di “Russia imprigionata”, una Ong che aiuta i reclusi e le loro famiglie. Oltre al pericolo sanitario, ci sono frequenti casi di abusi e tortura. Quattro anni fa fu diffuso sui social un video shock che li documentava. Che tu sia un “politico” o meno, la galera non è una passeggiata, nel Paese di Vladimir Putin.