Cosa sta succedendo tra Cina e Taiwan e perché è improbabile una guerra nel breve periodo
"L'indipendenza di Taiwan e la pace non possono coesistere". A dirlo, questa mattina, è stato il ministro degli Esteri cinese Qin Gang durante la conferenza stampa congiunta con la sua omologa tedesca Annalena Baerbock. La tensione tra Pechino e Taipei, dunque, continua ed essere altissima. Dopo le esercitazioni militari cinesi dei giorni scorsi, infatti, sono seguite manovre congiunte tra Stati Uniti e Filippine e per finire – notizia di ieri – l'imposizione di una No Fly Zone a nord di Taiwan da parte della Cina.
Ma quanto è concreto il rischio di un'imminente invasione dell'isola da parte dell'esercito cinese? E cosa si muove, invece, a livello diplomatico? Fanpage.it ne ha parlato con Giorgio Cuscito, analista, studioso di geopolitica della Cina e dell’Indo-Pacifico nonché curatore, per Limes, del Bollettino Imperiale.
Nei giorni scorsi la Cina ha condotto esercitazioni militari intorno a Taiwan ed è di oggi la notizia che imporrà una No Fly Zone a nord dell'isola per domenica 16 aprile, in concomitanza con "attività spaziali". Che significato hanno queste manovre? La Cina sta preparando l'invasione di Taiwan, o si tratta per il momento "solo" di avvertimenti?
Un'invasione nel breve periodo è improbabile. L'esercitazione condotta negli ultimi giorni ha rappresentato una reazione muscolare e simbolica alla visita della Presidente di Taiwan Tsai Ing-wen negli Stati Uniti, dove ha incontrato il presidente della Camera dei Rappresentanti Kevin McCarthy. Per Pechino si è trattato di un comportamento simile a quello adottato lo scorso agosto, quando Nancy Pelosi si recò in visita a Taipei. Questa volta le esercitazioni sono state meno intense rispetto alla scorsa estate, tuttavia presentano delle novità significative.
Quali?
In questa occasione c'è stato un accerchiamento più evidente di Taiwan con il dispiegamento anche della portaerei Shandong a est dell'isola. A ciò si aggiunge l'imposizione della No Fly Zone a nord a partire da domenica, volta a limitare le capacità di intervento di Washington e Tokyo sebbene la motivazione formale del provvedimento sia la caduta dei detriti di un satellite. Insomma, se è vero che la Cina ha voluto dare una risposta simbolica è altrettanto vero che si sta preparando a un eventuale futuro sbarco anfibio, operazione estremamente complicata che non prevede solo lo spostamento di unità navali da una parte all'altra dello stretto, largo appena 150 chilometri, ma vede il coinvolgimento anche di altri apparati dell'Esercito. Il successo di uno sbarco non è assicurato sia per via delle lacune tecnologiche e di esperienza cinesi sia perché l’attacco scatenerebbe la reazione immediata di Stati Uniti e probabilmente del Giappone. Pechino, insomma, ha bisogno di esercitarsi e contestualmente pungolare Taiwan. Ritengo comunque che la strategia preferita da parte della Cina sia quella di conseguire l'unificazione con Taiwan senza l'impiego della forza, ma tentando di penetrare nell'isola dal punto di vista economico, politico e culturale. Xi Jinping sa perfettamente che invadendo Taiwan le sue manovre per proporsi come “alfiere della pace” su scala globale perderebbero nel resto del mondo ogni credibilità.
Mentre la presidente di Taiwan Tsai Ing-wen si recava negli Stati Uniti il suo predecessore, Ma Ying-jeou, visitava la Cina. Qual è il significato di questi viaggi "paralleli"?
La Cina ha ospitato l'ex presidente taiwanese, già leader del partito Kuomintang (favorevole a una maggiore sintonia con Pechino) per controbilanciare la visita di Tsai e accrescere la propria influenza sull'isola in vista delle elezioni presidenziali del 2024. Ricordo che proprio il Kuomintang ha vinto di recente le elezioni amministrative proprio contro il Partito Progressista Democratico di Tsai Ing-wen. Insomma, sebbene i dossier locali e nazionali siano molto diversi Pechino sta cercando di puntare su un successo del Kuomintang, nonostante sia consapevole di un fatto: oggi la maggioranza della popolazione di Taiwan è contraria all'unificazione con la Cina.
Esiste un compromesso tra le ambizioni di unificazione di Pechino e quelle di autonomia di Taipei?
Al momento non direi. La Cina vuole l'unificazione perché da qui passano le ambizioni marittime di Pechino: prendere Taiwan significherebbe avere libero accesso all'Oceano Pacifico e svincolarsi dal controllo americano dai mari cinesi; inoltre la Repubblica Popolare vede la presenza statunitense sull'isola come un'esplicita minaccia. Taipei, dal canto suo, non intende in nessun modo vincolarsi alla Repubblica Popolare né ricorrere a compromessi. Anzi si attrezza militarmente per scoraggiare un attacco cinese e forgia la propria identità nazionale. L'alternativa sarebbe lo status quo, ma Pechino è determinata a cambiarlo radicalmente per sviluppare una propria sfera di influenza nell'Indo-Pacifico. Si tratta di un obiettivo che Xi Jinping vuole conseguire a tutti i costi.
Mentre minaccia Taiwan di invasione e conduce esercitazioni militari, la Cina ha mediato una normalizzazione delle tensioni tra Iran e Arabia Saudita e ha proposto un piano in dodici punti per la pace tra Russia e Ucraina. Quale ruolo vuole ricoprire Pechino nel contesto internazionale?
La Cina sta cercando di rilanciare la sua immagine all'estero perché non vuole apparire, agli occhi dell'Occidente ma non solo, come una minaccia: da qui la decisione di mediare in partite molto lontane dai suoi confini, come quella tra Russia e Ucraina e quella tra Iran e Arabia Saudita. Lo fa seguendo chiaramente i propri interessi: sebbene Pechino abbia un legame consolidato con Mosca, lo scoppio della guerra ha gravemente danneggiato lo sviluppo delle nuove vie della seta, che hanno l'Europa come meta privilegiata. Per quanto riguarda Teheran e Riyad il discorso è simile: la Cina ha interesse ad essere presente in Medio Oriente per valorizzare anche quel corridoio di Via della Seta che passa da lì per raggiungere poi la Turchia e dipendere meno dalla rotta russa.
Il ministro degli Esteri cinese Qin Gang ha di recente parlato di multipolarismo…
Ed anche questo è un aspetto estremamente importante. Nel lungo periodo Pechino vuole definire un ordine internazionale alternativo a quello guidato dagli Stati Uniti. Negli ultimi mesi il governo ha presentato numerose iniziative, ad esempio l’Iniziativa per la Sicurezza Globale, contesto ancora fumoso nel quale la Cina ha illustrato al resto del mondo un proprio concetto di sicurezza. Insomma, Pechino sta cercando dei modi "soft" per presentare una eventuale guerra per Taiwan non come l'invasione di uno Stato nei confronti di un altro, bensì come una legittima operazione a difesa della propria sicurezza nazionale. Un esercizio assai complicato.
Il viaggio di Macron a Pechino dei giorni scorsi è stato duramente criticato in Europa. Perché?
Perché la Cina da quel viaggio ha ottenuto quasi tutto quello che voleva, dimostrando innanzitutto che in Europa esistono faglie ben visibili e che i Paesi dell’UE non sono completamente allineati con la strategia americana; in fondo Macron in Cina ha evitato di trattare Taiwan, ha legittimato il "piano di pace" cinese per l'Ucraina e ha stretto importanti accordi commerciali (ad esempio per Airbus). Insomma, dal punto di vista di Pechino la visita del Presidente della Repubblica francese ha mostrato le spaccature europee, almeno dal punto di vista "narrativo". In concreto, infatti, la Cina sa benissimo che l'UE rientra sotto la sfera di influenza americana.
Ancora una domanda. In questo quadro come va interpretato il lancio, da parte della Corea del Nord, di un missile balistico nel Mar del Giappone?
Il lancio del missile ha rappresentato una reazione ai recenti incontri tra Stati Uniti e Corea del Sud, senza dimenticare che a breve ci sarà l'anniversario della morte di Kim Il-sung, celebrazione alla quale Pyongyang è particolarmente attenta. Tuttavia c'è un altro aspetto che non possiamo ignorare: ora che lo scontro tra Cina e America si accende e l’area diventa instabile, la Corea del Nord tenta di mettersi in mostra, di alzare la voce per attirare l’attenzione sia di Washington sia di Pechino, che rimane comunque un partner importante, nella speranza di ottenere qualche vantaggio nella regione dell'Indo-Pacifico e di limitare la militarizzazione di Giappone e Corea del Sud.