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Cosa sta succedendo in Turchia dopo l’arresto del sindaco di Istanbul e perché è in gioco la democrazia

Non si placano le proteste in Turchia in seguito all’arresto del sindaco di Istanbul, Ekrem Imamoglu, insieme a oltre 90 tra membri del suo staff e altri politici di opposizione. Cosa sta succedendo nel Paese di Recep Tayyip Erdogan.
A cura di Giuseppe Acconcia
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Non si placano le proteste in Turchia in seguito all’arresto per le accuse di corruzione del sindaco di Istanbul, Ekrem Imamoglu, insieme a oltre 90 tra membri del suo staff e altri politici di opposizione. Si tratta delle manifestazioni più grandi che attraversano il paese dalle proteste studentesche all’Università Bogazici contro l’imposizione dei nuovi vertici dell’ateneo nel 2021 e dalle mobilitazioni antigovernative di Gezi Park (2013).

Per chi contesta, si è trattato di un provvedimento a orologeria. Imamoglu, principale leader di opposizione al partito di governo Giustizia e Sviluppo (Akp) del presidente Recep Tayyip Erdogan, è stato messo in custodia cautelare il giorno in cui ha ricevuto il disco verde per candidarsi come leader del maggiore partito di opposizione di centro-sinistra, i repubblicani di Chp, in vista delle elezioni presidenziali del 2028.

La repressione delle proteste

Alla mobilitazione di piazza ha fatto seguito una grave ondata repressiva che mette in discussione qualsiasi legittimità democratica in un paese che vive da decenni in un sistema ibrido che continua a vedere crescere i poteri del presidente Erdogan, soprattutto dopo il referendum costituzionale del 2017. La polizia ha usato spray, lacrimogeni e idranti per disperdere la folla. Non solo, secondo il ministro dell’interno, Ali Yerlikaya, gli arrestati fin qui sono oltre 1100 nella municipalità di Istanbul e nel resto del paese.

Tra gli arrestati figurano anche dieci tra giornalisti e fotografi che stavano coprendo gli eventi. Tra loro Onur Tosun dell'emittente Now, i giornalisti Zeynep Kuray, Yasin Akgul e Hayri Tunc, Zisan Gur, Gokhan Kam e Baris Ince di Bir Gun. Evin Baris Altintas a guida dell’Associazione di Studi su Media e diritto, un think tank che difende i giornalisti in prigione, ha criticato gli arresti.

“Lo scopo della repressione che prende di mira in particolare i fotografi è di impedire di scattare immagini delle proteste”, ha ammesso. “Davvero non so come faranno a realizzare il loro obiettivo perché le proteste crescono giorno dopo giorno”, ha aggiunto. Eppure, l’esecutivo ha rimandato al mittente qualsiasi accusa che dietro l’arresto del sindaco ci sia un tentativo politico di colpire il principale leader di opposizione.

Secondo il presidente turco, chi protesta fa “terrorismo di strada”. “Non permetteremo a Chp di mettere a repentaglio l’ordine pubblico e disturbare la pace nel nostro paese”, ha commentato Erdogan su X. Le autorità turche hanno anche chiesto la chiusura di 700 account X di giornalisti, figure politiche, studenti e organizzazioni, incluso quello del portale indipendente Bianet, coinvolti nelle proteste.

Non è la prima volta che giornalisti e attivisti sono nel mirino in Turchia. Era già avvenuto dopo il fallito golpe militare del luglio 2016, coinvolgendo nelle purghe anche docenti, poliziotti e amministratori pubblici accusati di essere contrari al presidente Erdogan.

Una mobilitazione senza precedenti

Le proteste di massa contro l’arresto di Imamoglu vanno avanti da sei giorni e coinvolgono università, e centri urbani, come Smirne, roccaforte di Chp, e Istanbul. Gli assembramenti più grandi si sono verificati proprio di fronte al municipio della città turca. Le proteste sono avvenute nonostante le autorità locali abbiano bandito qualsiasi assembramento o manifestazione a Istanbul, Ankara e Smirne fino al 27 marzo.

“Vi sconfiggerà”, sono state le parole della moglie del sindaco di Istanbul Dilek che ha partecipato alle manifestazioni. Tuttavia, i giudici turchi hanno confermato le accuse di corruzione contro Imamoglu cancellando quelle di terrorismo. Quest’ultima accusa era stata avanzata dopo che il sindaco di Istanbul aveva partecipato alla coalizione di opposizione alle elezioni presidenziali del 2023, insieme al partito della sinistra filo-curda Dem, accusata di legami con il partito dei lavoratori del Kurdistan (Pkk), considerata un’organizzazione terroristica in Turchia.

In assenza di accuse di terrorismo, il partito Chp potrà scegliere direttamente, senza commissariamento, il possibile nuovo sindaco della città. Il ministero dell’Interno ha infatti emanato un provvedimento per rimuovere temporaneamente Imamoglu dal suo incarico mentre il sindaco veniva trasferito nel carcere di massima sicurezza di Silviri nella periferia di Istanbul. Per il politico il suo arresto ha “danneggiato la reputazione della Turchia nel mondo e distrutto il senso di giustizia e fiducia della popolazione”.

Le primarie di Chp

Eppure, molti turchi non ci stanno a vivere in un contesto autoritario. Nonostante l’arresto, milioni di turchi, soprattutto giovani, hanno voluto far sentire la loro voce facendo confluire il loro sostegno per il politico in prigione. E così il sindaco di Istanbul è stato scelto come candidato alle presidenziali del 2028 da parte di 15 milioni di elettori turchi alle primarie che si sono svolte in 81 province del paese. Imamoglu era stato arrestato lo stesso giorno in cui 1,5 iscritti di Chp hanno tenuto le elezioni primarie, aperte anche ai sostenitori di altri partiti, per eleggere il leader del maggiore gruppo di opposizione.

Il sindaco di Istanbul è stato il solo candidato in questa tornata e questo ha trasformato il voto in una manifestazione simbolica di solidarietà per il politico in carcere, anche da parte dei non iscritti al gruppo repubblicano. “Ci saranno le elezioni e la nazione darà uno schiaffo a questo governo che non dimenticherà mai”, ha commentato Imamoglu dal carcere rivolgendosi a Erdogan.

Un attacco alla democrazia

Non è mancata la dura condanna internazionale alla repressione delle proteste di dissenso in Turchia. Il ministro degli Esteri francese ha parlato di un “serio attacco alla democrazia”, commentando l’arresto del sindaco di Istanbul. “La Turchia rispetti la democrazia”, è stato invece l’avvertimento arrivato dall’Unione europea mentre imponenti manifestazioni contro l’arresto di Imamoglu si sono svolte anche a Berlino, dove vive una folta comunità turca. Le autorità tedesche hanno definito l’arresto come “completamente inaccettabile”.

Non solo, in seguito alle mobilitazioni di piazza, le autorità greche hanno fatto sapere che i colloqui bilaterali tra i due paesi, sulla spinosa questione dei confini marittimi che ha implicazioni importanti sul mercato del gas nel Mediterraneo orientale, sono stati rinviati. In particolare, il leader di Chp, Ozgur Ozel, aveva accusato Erdogan di aver fatto arrestare Imamoglu, a cui è stata revocata la laurea prima dell’avvio della detenzione per impedirgli di candidarsi al voto, per il timore di perdere le elezioni. Molti elettori turchi, che hanno partecipato alle primarie, galvanizzati dal suo arresto, hanno manifestato l’intenzione di voler votare in massa, oltre la loro appartenenza di partito, per il sindaco di Istanbul alla presidenza della Repubblica.

Imamoglu per la prima volta aveva sconfitto il partito di Erdogan già alle elezioni municipali del 2019. “È l’unico modo che abbiamo per mostrare a tutti il potere che abbiamo, che diventeremo più forti”, ha detto Devrim, un’elettrice che ha partecipato come volontaria per la campagna delle primarie di Chp. “Siamo imbarazzati per il nostro sistema giudiziario. Tutte le accuse sono politicamente motivate. Non c’è una singola prova a suo carico”, ha assicurato il sindaco di Ankara, anche lui esponente di Chp.

La Turchia e le dinamiche geopolitiche

L’arresto di Imamoglu è arrivato in un contesto geopolitico molto complesso. Mentre il presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, ha continuato a paventare un progressivo disimpegno americano dalla regione, da un lato, la Turchia ha assunto un ruolo centrale nella transizione in Siria con l’ascesa di Hayat Tahrir al-Sham (Hts) a Damasco, in contrasto con gli interessi russi nel paese. Dall’altro, Ankara, pur sostenendo soprattutto le richieste di Kiev negli ultimi mesi, ha da anni assunto un ruolo di mediatore nel conflitto tra Russia e Ucraina, mentre si stanno svolgendo i colloqui per il cessate il fuoco a Riad.

E poi le autorità turche continuano a mantenere posizioni ambivalenti rispetto alla guerra a Gaza, reiterando accuse politiche contro Israele per i suoi crimini verso il popolo palestinese ma proseguendo in ingenti affari commerciali con Tel Aviv. Non solo, l’arresto del sindaco di Istanbul è arrivato in seguito alla dichiarazione per lo smantellamento e il disarmo del partito dei lavoratori del Kurdistan (Pkk) da parte del leader storico del gruppo in carcere in isolamento nell’isola di Imrali, Abdullah Öcalan.

“Questo evento cambierà il modo in cui le autorità turche si relazionano con i loro paesi vicini: Siria, Iraq e Iran. E avrà altri effetti dal momento che Stati Uniti e Israele hanno l'intenzione di accerchiare l'Iran”, ci ha spiegato la parlamentare turca di Dem, Ceylan Akca. “C'è poi la questione della Nato e di Ankara che vorrà acquisire un ruolo di sempre maggiore leadership nell'alleanza. In questo caso la Turchia potrebbe voler essere rappresentata come il ‘guardiano' delle frontiere europee contro gli interessi russi”, ha aggiunto.

Il presidente turco Recep Tayyip Erdogan, con il sostegno del suo partito Akp radicato nell’islamismo politico, tiene saldamente il potere in Turchia da oltre venti anni. Nonostante le sconfitte elettorali alle elezioni municipali del 2019, Erdogan sembra intenzionato a voler essere presidente a vita proseguendo il suo incarico anche dopo il 2028, forte di un sostegno popolare superiore al 40% nelle elezioni del 2023.

E così, mentre si aggrava la crisi economica nel paese, l’arresto del suo principale oppositore politico, nonostante i tentativi ancora incerti di normalizzazione politica con la minoranza curda, mette a rischio qualsiasi legittimità democratica in Turchia rendendo sempre più difficile l’avvicinamento di Ankara ai paesi europei, da anni impegnati a dialogare con le autorità turche soprattutto in materia di immigrazione.

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Giuseppe Acconcia è giornalista professionista e docente. Insegna Stato e Società in Nord Africa e Medio Oriente all’Università di Milano e Geopolitica del Medio Oriente all’Università di Padova. Dottore di ricerca in Scienze politiche all’Università di Londra (Goldsmiths), è autore tra gli altri de “Taccuino arabo” (Bordeaux, 2022), “Le primavere arabe” (Routledge, 2022), Migrazioni nel Mediterraneo (FrancoAngeli, 2019), Il grande Iran (Padova University Press, 2018).
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