Cosa sta succedendo tra Kosovo e Serbia e perché si teme una escalation delle tensioni
La diplomazia internazionale è al lavoro per placare le tensioni scoppiate nei giorni scorsi in Kosovo, dopo le proteste dei manifestanti serbi, e sfociate negli scontri avvenuti ieri a Zvecan dove sono rimasti feriti, tra gli altri, 14 militari italiani, appartenenti al nono Reggimento alpini L'Aquila. I colloqui tra i ministri della Difesa dei paesi contributori alla missione KFOR, tra cui il Segretario di Stato alla Difesa del Regno Unito Ben Wallace sono andati avanti tutta la notte: l'obiettivo è quello di esercitare la massima pressione sulle autorità di Serbia e Kosovo, per mitigare le tensioni.
Il generale di Corpo d’armata in quiescenza dei lagunari, Luigi Chiapperini, già pianificatore nel comando Kosovo Force della NATO, comandante dei contingenti nazionali in Kosovo nel 2001 e ONU in Libano nel 2006 e del contingente multinazionale su base Brigata Garibaldi in Afghanistan tra il 2012 e il 2013, spiega a Fanpage.it cosa sta accadendo in Kosovo, cosa c'è alla base dell'aumento delle tensioni e soprattutto degli scontri tra manifestanti e militari della KFOR.
Generale, 14 militari italiani sono rimasti feriti negli scontri con i manifestanti serbi in Kosovo: cosa stavano facendo i nostri soldati in Kosovo?
I soldati e i carabinieri italiani fanno parte della KFOR (Kosovo Force), contingente multinazionale della NATO che a partire dal 12 giugno 1999, a seguito della risoluzione ONU 1244, è schierato in Kosovo. Inizialmente i peacekeeper hanno avuto il compito di spingere fuori dai confini della provincia le forze armate della Federazione Jugoslava accusate dalle Nazioni Unite di aver perpetrato violenze sulla minoranza kosovaro-albanese, demilitarizzare l’UCK cioè l’esercito di liberazione nazionale di etnia albanese, garantire la sicurezza delle minoranze etniche sia albanesi che serbe e proteggere il patrimonio storico essenzialmente serbo.
Basti pensare ai monasteri ortodossi dichiarati patrimonio dell’umanità dall’UNESCO: il monastero di Decani, il Patriarcato di PEC, il Monastero di Grazanica, la Chiesa di Nostra Signora di Ljevis. Tutti questi siti e le enclave serbe sono stati difesi dalle truppe NATO dalla vendetta dei kosovari-albanesi dopo l’uscita delle forze serbe dal Kosovo. Successivamente i soldati della NATO hanno continuato ad operare aggiungendo altri compiti come quelli di favorire la ricostruzione, mantenere un ambiente stabile e sicuro, garantire la libertà di movimento delle autorità locali, effettuare la bonifica del territorio dalle mine, garantire l’assistenza medica.
Quanti militari della KFOR ci sono in Kosovo?
Inizialmente i militari della KFOR erano quasi 50mila di 39 Paesi della NATO e non. Giova sottolineare che la Russia non solo ha votato a favore della citata risoluzione del Consiglio di Sicurezza dell’ONU che nel 1999 ha autorizzato la missione, ma ha anche partecipato attivamente alla stessa schierando truppe per alcuni anni presso l’aeroporto del capoluogo Pristina.
Oggi i peacekeeper sono circa 3.500 di 27 Paesi diversi, non solo della NATO. I contingenti più numerosi sono quelli italiano, statunitense, ungherese e turco, con responsabilità su due settori, quello occidentale a guida italiana e quello orientale a guida USA. Il comandante della missione KFOR è un Generale di Divisione italiano, Angelo Michele Ristuccia. Tra l’altro dei 27 comandanti della missione ben 13 sono stati forniti dal nostro Paese, segno della stima che i nostri militari riscuotono a livello internazionale.
Cosa è accaduto a Zvecan e perché sono nate le proteste che hanno portato a un intervento militare?
La scintilla che ha fatto scoppiare i disordini nel distretto di Mitrovica nel nord del Kosovo nasce dalla cosiddetta guerra delle targhe. Le autorità di Pristina volevano imporre una nuova immatricolazione a tutte le auto eliminando le vecchie targhe che la Serbia, considerando il Kosovo una propria provincia, continua a rilasciare. Ciò ha provocato le dimissioni in massa dei sindaci nelle municipalità con maggioranza kosovaro-serba alle quali sono seguite nuove elezioni alle quali però ha partecipato solo la popolazione kosovaro-albanese.
Il mancato riconoscimento da parte della popolazione serba delle elezioni e quindi dei sindaci di etnia albanese ha provocato proteste che sono sfociate negli scontri violenti di questi giorni. L’intervento dei militari, tra i quali gli alpini del 9° reggimento di stanza a L’Aquila, era inevitabile. Sono intervenuti in quanto uno dei compiti della missione KFOR, nel rispetto delle regole di ingaggio approvate dalle nostre autorità politiche, è garantire la libertà di movimento. È nel loro mandato.
I leader internazionali temono un aumento delle tensioni nei Balcani: cosa dobbiamo aspettarci?
La situazione è molto fluida, instabile e molto delicata, in particolare in Bosnia Erzegovina e in Kosovo come stiamo vedendo in questi giorni di crisi. In quest’ultima provincia i prodromi vanno cercati più in là della guerra delle targhe che abbiamo accennato. Quella è solo una conseguenza di una situazione paradossale che vede il Kosovo, un tempo provincia serba, autoproclamatasi nazione indipendente. Città come Mitrovica, o parte di essa, è praticamente gestita da Belgrado pur essendo nominalmente una municipalità del Kosovo indipendente.
Il presidente serbo Vucic ha accusato la Kfor di non aver difeso la popolazione serba
Rispetto il suo punto di vista ma ritengo che non sia così. Non conosciamo bene la dinamica degli eventi ma conoscendo la professionalità dei nostri credo che abbiano agito sulla base del mandato e delle regole di ingaggio. Se qualcosa è andato storto bisognerebbe capire e individuare le cause nella situazione politica creatasi in Kosovo negli anni. Tutto ciò esula dalle competenze del contingente militare il quale semplicemente ne subisce le conseguenze.
La Russia ha definito il racconto degli scontri in Kosovo come frutto di "falsa propaganda" da parte dell'Occidente
La Russia è partner e amica della Serbia, tanto che ad esempio non ha riconosciuto l’indipendenza del Kosovo. Inoltre negli ultimi anni ha continuato a condurre esercitazioni militari congiunte con Belgrado. Peraltro la Serbia sta provando ad entrare nell’Unione Europea e non ha appoggiato apertamente l’invasione russa dell’Ucraina astenendosi contestualmente più volte sulle risoluzioni ONU di condanna della Russia. E questa posizione ambigua non giova alla stabilità dei Balcani.