Cosa potrebbe succedere a Gaza dopo l’offensiva di Israele contro Hamas
"Pensare a scenari della guerra tra Hamas e Israele su lungo termine è complesso perché le idee sono confuse. Ma gli Stati Uniti hanno già smentito le parole di Netanyahu sulla rioccupazione militare della Striscia, che non sarebbe fattibile neppure per altri attori internazionali. L'obiettivo di Washington è da un lato evitare l'allargarsi del conflitto all'intera regione e dall'altro alleviare il peso umanitario a Gaza".
Così Francesco Petronella, giornalista e analista dell'ISPI (l'Istituto per gli studi di politica internazionale è un centro studi italiano) ha spiegato a Fanpage.it quali sono gli scenari della guerra in corso tra Israele e Hamas, dopo l'attacco di quest'ultimo del 7 ottobre scorso sia nel breve che nel lungo periodo, a partire proprio dalla fine dell'offensiva di terra lanciata dall'esercito di Tel Aviv a Gaza per "eliminare tutti i terroristi".
A poco più di un mese dall’attacco di Hamas contro Israele, l’IDF ha intensificato i raid a Gaza Nord costringendo migliaia di civili a evacuare verso Sud. Secondo lei, sta raggiungendo l’obiettivo di scovare i combattenti di Hamas e di distruggere l’organizzazione islamista?
"In queste ore le forze israeliane stanno diffondendo alla spicciolata i profili dei capi di Hamas che vengono catturati o uccisi durante le operazioni in corso nel nord di Gaza. L'ultimo di questi obiettivi è Ibrahim Abu-Maghsib, capo dell'unità anti corazzati di Hamas. Vale la pena sottolineare che si tratta comunque di quadri medio bassi del braccio armato di Hamas, mentre la leadership vera e propria si trova non solo nella Striscia ma anche all'estero.
Il caso più eclatante è quello di Ismail Haniyeh, capo politico del gruppo, che si trova notoriamente fuori dal territorio, tra Qatar e Iran, dove viaggia regolarmente secondo il suo ufficio stampa. Quindi lo slogan lanciato da Israele per l'offensiva di terra a Gaza di eliminare Hamas vale fino ad un certo punto, è ancora molto lontana e difficile da raggiungere con questi metodi. Anche perché Hamas non è solo un gruppo terroristico, ma è anche una ideologia".
Quali gli scenari più probabili alla fine di questa fase del conflitto?
"Tra gli obietti di questa che possiamo considerare la fase uno dell'offensiva di terra israeliana, accompagnata anche da raid aerei e bombardamenti che colpiscono zone che di solito coincidono con aree densamente popolate da civili, fa parte anche la cattura e la messa in stato di non nuocere di Yahya Sinwar, che è l'unico leader di alto livello di Hamas presente nella Striscia secondo le forze israeliane.
Ce lo raccontano come circondato, isolato dai comandanti di campo e dal resto della leadership, quindi potrebbero concludere la fase 1 con una operazione di questo tipo o anche lavorando alla distruzione dei tunnel, come già stanno facendo, e delle infrastrutture che costituiscono la seconda Gaza. Terminata questa fase 1 bisognerà poi capire come e se ci sarà la possibilità di trattare e in quali termini".
Netanyahu ha affermato nei giorni scorsi che “la responsabilità della sicurezza nella Striscia di Gaza resterà nelle mani di Israele per un periodo indefinito”. Cosa significa?
"In realtà le dichiarazioni del premier israeliano sono state contraddette dal segretario di Stato Usa Antony Blinken, che dal G7 di Tokyo ha affermato che questa idea della rioccupazione militare, che è il senso delle parole di Netanyahu, è assolutamente da escludere perché nei piani della Casa Bianca c'è tutt'altro.
L'idea prevalente in questo momento sarebbe quella di restituire la Striscia di Gaza al controllo dell'Autorità nazionale Palestinese, che di fatto al momento controlla solo la Cisgiordania. Non si sa però con quali mezzi. Oppure c'è anche l'idea di una forza di interposizione, magari internazionale, coinvolgendo i paesi arabi. Per il lungo termine c'è molta confusione ma da Washington hanno dato un segnale molto chiaro a Netanyahu sul fatto che la rioccupazione militare a tempo indeterminato è qualcosa che non è gradito.
Gli Usa sono stati i primi ad opporsi a questa possibilità insieme ad altri paesi dell'area, come la Giordania, che ha detto che ogni spostamento forzato della popolazione palestinese da Gaza sarebbe considerato un crimine di guerra. Anche l'Egitto si è espresso contrariamente in questo senso anche perché lo spostamento di profughi verso Il Cairo è una possibilità che non viene vista di buon occhio".
Proprio l’Egitto e il Qatar stanno giocando un ruolo attivo nel rilascio degli ostaggi. C’è secondo lei un altro attore esterno che potrebbe diventare centrale nel processo di mediazioni tra le due parti?
"L'attore principale restano in questo momento gli Stati Uniti che a differenza dell'Ue, che su questa situazione balbetta, non riesce a parlare con un'unica voce, sono molto impegnati con una iniziativa che è abbastanza lineare ed è stata chiarita sia da Blinken che dal presidente Biden.
Vogliono, cioè, due cose: evitare che il conflitto si allarghi coinvolgendo in primis l'Iran e la rete iraniana nella regione che va dagli Hezbollah libanesi alle milizie in Iraq, Siria e Yemen, e di alleviare il peso umanitario a Gaza perché ci si sta rendendo conto che più morti vengono causati dalle operazioni israeliane più viene meno il sostegno a Tel Aviv. Per questo stanno cercando di favorire per il momento le pause umanitarie dalla durata di due o tre giorni, e non un vero e proprio cessate il fuoco. Il quale non è in discussione perché consentirebbe ad Hamas di riorganizzarsi.
Ma ci sono altri due motivi: Hamas, come hanno più volte detto i leader del movimento, spera che l'aumento esponenziale delle vittime possa aizzare le piazze arabe (ma non solo) e fare pressione sui governi perché affianchino Hamas nella lotta contro Israele. In secondo luogo, c'è un calcolo politico interno: i sondaggi mostrano un Biden in difficoltà e una lunga guerra in Israele e Palestina potrebbe renderlo ancora più impopolare (forse peggio di quanto accadde nel 2021 dopo il ritiro dall'Afghanistan). Sul lungo termine il discorso è molto più complicato".