Sembrava il 2011 quando, ricordando i suoi occhiali da “rospo”, venne dato per morto per poi ricomparire in diretta nazionale durante la celebrazione dei 100 anni di rivoluzione.
Era forse una delle prime fake-news a cui ancora non eravamo abituati, ma questa volta non è uno scherzo. Mercoledì si è spento all’età di 96 anni Jiang Zemin, leader che ha trasformato la Cina in una potenza globale. Governò il Partito Comunista Cinese (Pcc) cinese per 13 anni e fu Presidente dal 1993 al 2003.
Secondo un comunicato ufficiale del Pcc rilasciato dai media di stato, la causa è da attribuirsi alla leucemia e al collasso di diversi organi. Viene descritto dalle commemorazioni pubbliche delle ultime ore come un “leader eccezionale con una reputazione elevata” che condusse la Cina attraverso “difficoltà enormi” portando il paese verso “una crescita del mercato” e una “modernizzazione militare”.
Lato A: Hong Kong e Omc
Ingegnere, nato nell’estate del 1926 a Yangzhou (Jiangsu), diresse la fazione di tecnocrati con cui prese la guida del Pcc in seguito alla repressione di Tiananmen. Fu l’autore delle riforme di apertura economica prospettate da Deng Xiaoping nei primi anni novanta che trasformarono la Cina nella seconda potenza economica globale.
Tra i principali punti storici della sua politica si annoverano sicuramente la gestione del ritorno di Hong Kong alla Cina nel 1997 e l’entrata nell’Organizzazione Mondiale del Commercio nel 2001. Al centro della sua visione vi era l’ideale di “ringiovanimento”, ovvero di emancipazione dall’umiliazione storica subita negli ultimi secoli e il reclamo del proprio posto nella storia attraverso la crescita del paese e una salda guida politica del partito.
I meriti non furono solo economici. Dall’inizio del suo mandato, Jiang ha considerato l’idea di aprire le porte ai giornalisti stranieri, così come di abolire la politica del figlio unico.
Le cliniche che si occupavano di compiere aborti forzati sono stati gradualmente trasformate in centri di assistenza alla maternità con trattamenti per la fertilità e il supporto alle famiglie. Tuttavia, come in qualsiasi altra nazione che diviene una potenza manifatturiera basata sul capitalismo di Stato, lo sviluppo ha comportato nuovi importanti dilemmi sociali e politici.
Prima di tutto conducendo ad accrescere le diseguaglianze. Mentre nascevano i primi miliardari le condizioni di buona parte del paese erano critiche. Un fattore che ha condotto a un aumento smisurato della corruzione e alla difficoltà di conciliare il mercato con l’ideologia comunista e la mancanza di riforme politiche.
Lato B: Falung Gong e Taiwan
Soprattutto, furono diverse le forti repressioni a cui assistemmo durante la fine degli anni '90, come le proteste degli agricoltori opposti alle riforme o il movimento religioso Falun Gong, per la quale si parla di migliaia di vittime tra morti e incarcerati nel 1999.
Il Falun Gong raggiunse un numero di adepti superiore agli allora 64 milioni iscritti allo stesso Partito Comunista e secondo quanto riportato da Ethan Gutmann della Foundation for Defense of Democracies durante una seduta del Congresso americano, "stimo che 65.000 praticanti siano stati uccisi per i loro organi".
Infatti, il rapporto di Jiang coi diritti umani fu più volte criticato, sia per quanto riguarda la detenzione di ricercatori universitari e intellettuali e sia per quanto concerne la questione tibetana, per la quale è stato anche accusato di genocidio e crimini contro l’umanità nel 2005 dal Tibetan Support Committee.
Un merito di Jiang è senza dubbio l’aver centralizzato e modernizzato l’esercito, un fattore fondamentale anche per Xi che tuttavia ha portato, non diversamente da oggi, a peggiorare i rapporti con l’isola di Formosa, generando la Terza crisi dello Stretto di Taiwan. La dinamica non fu troppo dissimile a quella attuale, effetto di test missilistici nelle acque circostanti Taipei nel 1995 e nel 1996.
Tuttavia, Jiang diede anche molta importanza alle relazioni con gli Stati Uniti: "Ha sempre reputato primarie le relazioni con gli Usa e penso che abbia corso dei rischi per farle progredire" afferma Christopher Johnson, membro della CIA durante il mandato dell’ex-Presidente, "sapeva però anche come capovolgere le posizioni anti-statunitensi quando voleva".
L'ascesa al trono
Il modo in cui Jiang arrivò al potere è prima di tutto frutto della volontà di Deng che in seguito alla rimozione e l’arresto di Zhao Ziyang -perché non autorizzò l’intervento armato sugli studenti di Tiananmen- notò che il segretario del partito di Shanghai, cresciuto amministrativamente nel Guangdong e nel Fujian, aveva gestito le rivolte senza spargimenti di sangue. "Questo Jiang Zemin ha idee, capacità e ha anche carisma", si dice abbia detto Deng in una riunione del 1989.
All’inizio Jiang, a rischio della sua stessa posizione, provò a conciliare le visioni delle fazioni di conservatori del Partito che si opponevano alle aperture di mercato, ma alla fine decise di implementare la visione di Deng e il capitalismo di stato. "Gli anziani erano divisi e Jiang Zemin cercava di accontentare entrambe le parti" ha dichiarato Yang Jisheng, storico di Pechino, "tuttavia, così facendo, finì per dispiacere a Deng Xiaoping".
La discesa: da Jiang a Xi
A detta dello stesso Jiang il 1992 fu l’anno più difficile della sua vita, ma anche lasciare il potere 10 anni dopo non fu facile. Hu Jintao, il suo successore, era stato designato da Deng in persona, ma nonostante questo ci fu riluttanza a cedere lo scettro e l’influenza di Zemin proseguì infatti nei decenni successivi attraverso la sua cerchia di potere, per esempio mantenendo il controllo della Commissione militare centrale fino al 2004 o supportando i suoi uomini nelle giuste cariche.
Jiang ha finito per strutturare una leadership che è stata poi ereditata da Xi nel 2012. L’influenza dell’ex Presidente, della sua cosiddetta cerchia di Shanghai, durò a lungo.
Nel 2015, il Quotidiano del Popolo, giornale del partito, ha affermato con una certa veemenza che i leader in pensione avrebbero dovuto "stare fuori dalla politica" e "rinfrescarsi come una tazza di tè dopo che un ospite se n'è andato". Un commento che ha portato a delle voci secondo cui si trattasse di un messaggio di Xi ai tentativi di controllo del suo predecessore.
L'uomo comune e l'imperatore
Jiang fu senza dubbio diverso da Xi, non solo nella visione più ispirata all’apertura socio-economica di Deng, ma anche negli atteggiamenti. Come affermato da Katrina Yu di Al Jazeera, "mentre Jiang era visto come un uomo comune, Xi è descritto oggi come un imperatore".
Spesso si rivolgeva alla stampa in inglese, faceva battute, suonava il piano, cantava la lirica italiana e il rock di Elvis, ballava il cha-cha-cha, si tuffava nelle acque delle Hawaii e si esibiva con l’ukulele. Atteggiamenti anni luce lontani dalla pacata serietà di Xi.
Eppure, nonostante questo, sono tanti i tratti che accomunano i due Presidenti, dai più profondi – come la voglia di "ringiovanimento" per la Cina, la consolidazione del potere del partito e dell’esercito – ai più leggeri – come la passione per i film di Hollywood. Entrambi hanno trovato la propria base di potere a Shanghai ed entrambi all’inizio erano inquadrati e descritti come poco carismatici, eppure sono diventati i leader più longevi al potere dopo Mao e Deng. Jiang parlò di abrogare la politica del figlio unico, Xi lo fece.
Il primo attuò la repressione sul Falun Gong, il secondo sugli uiguri. Allo stesso modo, le politiche di Xi su Hong Kong e Taiwan non si discostano così radicalmente da quanto avviato da Jiang al pari di quanto si è discostata invece l’attuale leadership.
La nuova era cinese
Infatti, lo scorso mese durante il XX Congresso del Pcc, Xi ha insediato il nuovo Comitato permanente del Politburo. Ora i sette uomini che governano la Cina sono tutti suoi lealisti, senza stretti legami con i funzionari dei predecessori Jiang e Hu.
Con la morte di Jiang e l’allontanamento di Hu dal Congresso, vediamo uscire di scena la leadership che ha segnato il passaggio tra Deng Xiaoping e l’attuale presidenza ed entriamo a pieno nella "nuova era cinese".
Infine, la sua morte e le cerimonie commemorative giungono in un momento critico per la Cina e per il Partito che affrontano un’ondata di proteste per la politica zero-Covid, per le restrizioni e per la crisi socio-economica.
Una protesta che non necessariamente ambisce ad essere la più grande da Tiananmen, ma che come quest’ultima si radica in un malcontento sociale estremamente diffuso, che mina la legittimità del partito in contemporanea con la morte di un leader percepito come più vicino al popolo, come fu per i funerali di Hu Yaobang che nel 1989 portarono milioni di persone a scendere per le strade di tutta la nazione.