Cosa farà adesso l’Iran? Dove può colpire la vendetta degli ayatollah
Il generale Qassem Soleimani era uno degli uomini più influenti dell’Iran. La sua uccisione, avvenuta in un attacco con un drone compiuto dagli Stati Uniti all'aeroporto di Baghdad la notte del 3 gennaio, rischia di provocare un'escalation imprevedibile che può portare il mondo ad una nuova e terribile guerra. Teheran, infatti, ha giurato di vendicare la morte di Soleimani: non un semplice generale, ma la guida delle forze Al Quds (il corpo dei pasdaran responsabile delle operazioni all'estero) e la “mente” dietro l’espansione dell’influenza iraniana in Medio Oriente (Siria, Libano, Iraq, Yemen).
“Che il presidente Trump lo volesse o meno, l’ordine di uccidere Soleimani è, a tutti gli effetti, una dichiarazione di guerra”, ha dichiarato Robert Malley, a capo dell'International Crisis Group ed ex coordinatore della Casa Bianca per il Medio Oriente sotto l’amministrazione di Barack Obama. “Dal punto di vista dell'Iran – ha aggiunto Malley – è difficile immaginare un atto deliberatamente più provocatorio”. È per questo che molti esperti assicurano che la reazione di Teheran sarà altrettanto violenta anche se probabilmente non ci sarà una guerra aperta con gli Stati Uniti. Secondo Karim Sadjadpour, del Carnegie Endowment for International Peace, l'Ayatollah Khamenei (il leader supremo iraniano) dovrà calibrare attentamente la reazione della Repubblica islamica. “Una risposta debole rischia di fargli perdere la faccia – ha scritto Sadjadpour – una risposta eccessiva rischia di fargli perdere la testa”.
Vediamo quindi quali potrebbero essere gli obiettivi della rappresaglia degli Ayatollah e dei loro alleati in Medio Oriente.
Iraq, il primo campo di battaglia
Uno dei primi teatri di scontro sarà sicuramente l'Iraq. Qui, Teheran può contare sull'appoggio di Kata'ib Hezbollah, una milizia sciita che, secondo il Dipartimento di Stato americano, è la responsabile dei recenti attacchi contro basi militari irachene usate dagli Stati Uniti in cui è stato ucciso un contractor statunitense. Conviene inoltre ricordare che tra le vittime dell’attacco in cui è morto Soleimani c’è anche Abu Mahdi al Muhandis, uno dei comandanti di Kata'ib Hezbollah. Su Twitter e Telegram, l'organizzazione filo-iraniana ha già invitato i propri miliziani al martirio per vendicare la morte del loro leader. È prevedibile quindi un aumento di attentati contro obiettivi statunitensi in Iraq.
Militari, civili e diplomatici Usa in Libano
Le ripercussioni dell'assassinio del generale Soleimani, tuttavia, si estenderanno oltre i confini iracheni. Nel Libano, per cominciare. Nel Paese dei Cedri, l'Iran ha profondi legami con Hezbollah, partito e forza militare sciita che potrebbe prendere di mira militari, diplomatici e civili americani. E anche se l'Iran decidesse di evitare un'escalation in Libano, gli agenti di Hezbollah sono distribuiti in tutto il Medio Oriente (e non solo) e potrebbero attaccare gli Stati Uniti in altre parti della regione.
Attacchi a impianti petroliferi e basi statunitensi nel Golfo Persico
Secondo un recente rapporto della Defense Intelligence Agency (Dia, l'agenzia di intelligence militare degli Stati Uniti), la potenza militare dell'Iran si basa su tre capacità fondamentali: il suo programma missilistico, le forze navali che possono minacciare le petroliere nel Golfo Persico e le milizie sciite alleate in Siria, Iraq e Libano. I missili balistici iraniani Shahab, con una gittata di 2.000 chilometri, sono in grado di colpire le basi militari statunitensi o gli impianti petroliferi in Arabia Saudita e negli Emirati Arabi Uniti. Un'eventualità da non sottovalutare visto il recente attacco con droni all'impianto di Abqaiq, che nel settembre 2019 ha paralizzato per giorni la produzione di petrolio saudita. In rappresaglia per l'uccisione di Soleimani, inoltre, Teheran o i suoi alleati potrebbero prendere di mira le petroliere in transito nel Golfo Persico e nel Mar Rosso.
Blocco dello Stretto di Hormuz
L’Iran potrebbe decidere di arrestare il flusso di petrolio attraverso lo Stretto di Hormuz, in cui transita un quinto della produzione mondiale di oro nero. Tale interruzione, anche per un breve periodo di tempo, avrebbe pesanti conseguenze non solo per gli Stati Uniti ma anche per molti Paesi del mondo. Funzionari statunitensi hanno affermato che la chiusura dello Stretto di Hormuz significherebbe attraversare una “linea rossa”. È facile immaginare quale potrebbe essere la contromisura Usa nel caso la Repubblica islamica dovesse interrompere la fornitura di petrolio dalla penisola arabica.
Cyberattacchi
Alcuni esperti non escludono che l’Iran possa realizzare anche cyberattacchi contro obiettivi statunitensi. Nel 2012 e nel 2013, in risposta alle sanzioni americane, hacker iraniani hanno effettuato una serie di attacchi dirompenti che hanno messo offline i siti web delle principali banche statunitensi tra cui Bank of America, nonché la Borsa di New York e il Nasdaq. L’offensiva informatica è diminuita solo quando Teheran ha raggiunto un accordo sul nucleare con l'amministrazione Obama nel 2015.
La diplomazia, l’unica soluzione per evitare la guerra
Accanto a questi scenari che rischiano di portare il mondo ad una nuova e spaventosa guerra, la diplomazia rimane l'unica soluzione alla peggiore crisi tra Usa e Iran dal 1979. “Iran e America hanno lavorato insieme in passato, in Afghanistan, Iraq e in altri luoghi. Hanno interessi e nemici comuni. Uno scontro militare sarebbe costoso per entrambe le parti. Ma la diplomazia può risolvere molti problemi ed è un'opzione”, assicura un alto diplomatico al New York Times. “Mentre molti predicono la Terza guerra mondiale – è convinto Sadjadpour – gli ultimi 40 anni della storia dell'Iran riflettono invece che per la Repubblica islamica ciò che è fondamentale è la sua sopravvivenza. Teheran non può permettersi una guerra aperta con gli Stati Uniti mentre deve affrontare sanzioni economiche gravose e rivolte interne, soprattutto ora senza Soleimani”.
Per ora sono solo ipotesi che cercano di gettare acqua sul fuoco scaturito dalla decisione di Trump di uccidere il potente generale iraniano. “L’azione ordinata dal presidente Donald Trump, probabilmente cogliendo un’opportunità segnalata dall'intelligence e dai militari, getta tutto il 2020 in una prospettiva sinistra di guerra e di sangue: rischia d'innescare un conflitto nella regione e di avere come corollario sussulti di terrorismo un po’ ovunque nel mondo”, scrive Giampiero Gramaglia su Affari Internazionali. “Le lancette dell’orologio della pace si sono bruscamente avvicinate alla mezzanotte della guerra. Ci vorrebbe la lucidità, e l’autorità per stemperare animosità e rivendicazioni, ma i protagonisti diretti sono più incendiari che pompieri”.