Cosa è successo davvero alla Columbia University dopo l’occupazione, e cosa succederà adesso
Il giorno dopo lo sgombero dell’occupazione della università Columbia di New York, nel campus regna un silenzio irreale. Nel giardino dove fino alla sera prima sorgeva l’accampamento di solidarietà alla Palestina si vedono solo le orme lasciate sull’erba dalle decine di tende che erano posizionate sul prato di fronte alla biblioteca Butler.
Il campus è in lockdown. Le lezioni si svolgono a distanza, da ora e fino alla fine del semestre. Gli studenti (tranne quei pochi che risiedono nei dormitori) e i professori non sono autorizzati ad entrare. Al loro posto decine di agenti sorvegliano l’area e rimarranno qui fino al 17 maggio dopo che si svolgerà il tanto atteso commencement, la cerimonia di consegna delle lauree, che l’università vuole a tutti costi preservare da potenziali disturbatori.
La paura è che ci possano essere altre proteste dentro l’ateneo, anche dopo l’arresto di un centinaio di persone che si erano asserragliate nell’Hamilton Hall, un palazzo dell’amministrazione della Columbia occupato due giorni prima, la notte tra il 29 e il 30 aprile, dagli studenti che da mesi si battono per portare l’attenzione sulla strage di civili palestinesi a Gaza seguita all’attacco di Hamas del 7 ottobre contro Israele.
L’episodio avviene a pochi giorni dall’arresto di 108 manifestanti avvenuti all’interno del campus il 18 aprile, che aveva attirato l’attenzione mediatica internazionale e fatto divampare le protesta in oltre 50 università negli Stati Uniti tra cui l'Università di Harvard e l’Università della California a Los Angeles. In quest’ultima l’accampamento pro Palestina è stato preso d’assalto dai sostenitori della causa israeliana con lanci di fuochi d'artificio e fumogeni causando una quindicina di feriti. Anche qui la polizia è intervenuta in massa arrestando gli studenti.
La dinamica degli eventi
L’escalation degli ultimi giorni ha sorpreso molti. Dopo gli arresti del 18 aprile, l’università aveva iniziato una serie di negoziati con alcuni membri dei gruppi studenteschi che stanno guidando le proteste. L'obiettivo era raggiungere un accordo per porre fine all'accampamento che proseguiva in maniera pacifica nel giardino del campus.
Mercoledì 24 aprile la rettrice Nemat Shafik si era presentata quasi a sorpresa a un incontro a porte chiuse del senato accademico che ha aperto un’indagine sul suo operato e che partecipa ai negoziati. La rettrice è intervenuta durante la riunione dicendo che quando lavorava alla Banca Mondiale, era incaricata di lavorare per la costruzione della Palestina ed era a stretto contatto con il Ministero delle Finanze palestinese, perciò: “È un argomento molto personale per me, anche se non lo dico spesso e non lo dico apertamente” ha detto la rettrice, stando a chi partecipava all'incontro. “Era come se lei volesse dimostrarci che lei non era contro la Palestina, che chiedeva la pace e tutto il resto”, mi ha raccontato Wellington Soares, uno degli studenti membri del Senato accademico.
Addirittura il 26 aprile l’università aveva diramato una nota che sembrava assicurare che non avrebbe più richiamato la polizia nel campus. “Abbiamo chiesto alla polizia di New York di sgomberare un accampamento una volta, ma tutti condividiamo l'opinione, basata su discussioni all'interno della nostra comunità e con esperti esterni, che far tornare la polizia di New York in questo momento sarebbe controproducente, infiammando ulteriormente ciò che sta accadendo nel campus e attirando migliaia di persone alle nostre porte che minaccerebbe la nostra comunità”.
Qualcosa invece è andato storto e meno di 48 ore dopo, il 29 aprile alle 8 del mattino la rettrice ha annunciato che le trattative si erano interrotte e che la Columbia non avrebbe interrotto i legami economici e accademici con Israele, ossia non avrebbe assecondato la principale richiesta dei manifestanti.
"C'è una forte connessione con ciò che sta accadendo in Columbia e con la politica americana", mi racconta Soares. "Durante l'ultimo incontro con la presidente Shafik ricordo bene la sua frase: ‘Siamo solo il pallone di un gioco molto più grande'. La Columbia è solo un piccolo tassello dell'intero gioco politico relativo alle elezioni presidenziali degli Stati Uniti".
La Columbia nelle ultime settimane infatti era diventato il crocevia di interessi politici più grandi che hanno usato questa protesta per ragioni elettorali. Non è un caso che nei giorni precedenti allo sgombero nel campus siano passati esponenti politici di primo piano di entrambi gli schieramenti, dalla deputata democratica Alexandria Ocasio-Cortez, a Mike Johnson leader dei repubblicani alla camera dei rappresentanti.
"L'interruzione delle trattative non credo che sia necessariamente collegata alle persone coinvolte nella negoziazione. Sicuramente le connessioni politiche hanno giocato un ruolo molto importante. Anche nel nostro voto al Senato, quando abbiamo discusso su cosa avremmo potuto fare, ci siamo chiesti come pensare alla direzione, alla politica degli Stati Uniti e a come questo episodio viene usato dai politici in questo momento".
Così il 29 aprile la rettrice ha informato i manifestanti che avevano tempo fino alle 14 del giorno stesso per disperdersi e liberare volontariamente l’accampamento.
A mezzogiorno gli studenti hanno votato in assemblea di continuare la protesta e di rimanere nell'accampamento oltre l’ultimatum bruciando il documento della Columbia in cui si offriva un salvacondotto a coloro che si sarebbero costituiti. “La Columbia brucerà”, si leggeva scritto a pennarello su alcune copie di questo documento all'interno dell'accampamento.
Alle 2 del pomeriggio centinaia di studenti sono accorsi nel campus e hanno iniziato a marciare intorno ai giardini dell’ateneo gridando slogan a sostegno della Palestina e invocando il disinvestimento della Columbia dalle società legate ad Israele. Nel pomeriggio una decina di professori vestiti con tute arancioni fosforescenti si è posizionata all’ingresso dell’accampamento per proteggere gli studenti da eventuali sgomberi.
La mobilitazione è continuata tutto il giorno fin quando passata la mezzanotte alcuni studenti hanno iniziato a spostare una decina di tende in un’altra parte del campus probabilmente per distrarre la sicurezza mentre centinaia di studenti continuavano a marciare intorno al campus.
Intorno all’1 del mattino del 30 aprile una decina di manifestanti col volto incappucciato si è staccata dalla marcia è entrato nell’Hamilton Hall, uno degli edifici dell’amministrazione della Columbia e da cui era partita la storica occupazione del 1968.
L’occupazione è avvenuta in maniera repentina senza particolare incidenti, tranne alcuni momenti di tensione quando un gruppo di studenti pro Israele si è posizionato di fronte all’ingresso principale dell’edificio e ha cercato di evitare che i manifestanti legassero un tavolo di metallo alla porta prima di essere spintonati via.
Dalle finestre è stato srotolato uno striscione con su scritto “Hind Hall”, come da allora è stato soprannominato l’edificio, in onore di una bambina di 6 anni uccisa a Gaza. Le decine di manifestanti che avevano occupato l'edificio hanno incitato la folla dal balcone del palazzo.
Meno di 24 ore dopo, la rettrice ha richiesto l'intervento della polizia. La sera del 30 aprile centinaia di agenti dell’NYPD, la polizia di New York ha iniziato a transennare interi isolati intorno al campus. Uno schieramento di forze ingente. L’intero quartiere di Morningside Heights è stato chiuso al traffico ed è stato vietato a chiunque di oltrepassare le transenne.
Alle 9 di sera un centinaio di agenti in tenuta antisommossa sono entrati dalla 114esima strada e hanno preso controllo del campus. I giornalisti e studenti che erano presenti sono stati spintonati verso l’edificio John Jay e costretti a rinchiudersi nel palazzo o ad abbandonare il campus.
A nessun osservatore esterno è stato permesso di assistere all’arresto degli studenti che erano asserragliati sugli scalini all’esterno del palazzo occupato. In un video ripreso con un telefono si vede come nella colluttazioni precedenti agli arresti uno studente rotola giù dalle scale.
Nel frattempo un mezzo blindato della polizia si è posizionato dal lato dell’Hamilton Hall che affaccia su Amsterdam Avenue permettendo a decine di agenti di entrare nell’edificio occupato e arrestare gli occupanti. Lo si vede nel video pubblicato dalla stessa polizia e accompagnato da una musica sincopata.
Agitatori esterni mischiati tra gli studenti
Una delle ragioni addotte per l’intervento della polizia nel campus è stata la presenza di agitatori esterni mischiati tra gli studenti. Nella lettera scritta dalla rettrice Shafik per chiedere l’ausilio dell’NYPD per sgomberare l’occupazione si faceva esplicito riferimento ad “outsider agitators”.
Nel momento più concitato dell’occupazione dell’Hamilton Hall, quando i manifestanti pro-palestinesi hanno dovuto fronteggiare un gruppetto di studenti contrari all’occupazione, a dirimere la situazione è intervenuta una donna di 63 anni, Lisa Fithian, una storica attivista, membro del gruppo Extinction Rebellion e che il Dipartimento di Polizia di New York ha definito "agitatrice professionista".
La donna ha detto agli studenti contrari alla manifestazione che il palazzo era già stato occupato e che la loro opposizione era inutile, ma ha anche consigliato alcuni ragazzi con il volto incappucciato di legare le porte con delle fascette.
La sua presenza ha riacceso il dibattito sugli outsider che hanno supportato la pretesta. In quel momento infatti nessun esterno era autorizzato ad entrare nel campus.
La polizia quella sera ha arrestato 109 persone. Solo qualche giorno dopo l'NYPD ha reso noti i dettagli dell'operazione. All'interno dell'Hamilton erano asserragliate e sono state arrestate 44 persone, di queste 13 non erano persone affiliate alla Columbia e 2 erano impiegati dell'univeristà.
"So che c'è chi sta cercando di dire che la maggior parte delle persone erano studenti", ha detto Adams. "Non è necessario essere la maggioranza per influenzare e cooptare un'operazione. È di questo che si tratta", ha detto in conferenza stampa il sindaco di New York Eric Adams.
Cosa succederà adesso
Quello che è successo nelle ultime settimane alla Columbia ha sconvolto la comunità di studenti e professori. L’ingresso della polizia nel campus, le centinaia di arresti, la sospensione delle lezioni in presenza, sono tutti episodi che hanno pochi precedenti nella storia dell’università.
"So di parlare a nome di molti membri della nostra comunità quando dico che quello che è successo mi ha riempito di profonda tristezza. Mi dispiace che siamo arrivati a questo punto", ha detto la rettrice Shafik in una nota, “ci vorrà del tempo per guarire”.
Mentre il campus è deserto, incontro Luke che sta scrivendo con dei gessetti colorati “Cops out of our campus”, “Poliziotti fuori dal nostro campus” sul selciato dell'ateneo, di fronte alla polizia e alla sicurezza che lo lascia fare. “Ho avuto questa idea di scrivere questa cosa perché ho sentito che dovevo fare qualcosa. Mi dispiace. È sconvolgente".
Luke ha 19 anni e risiede dentro il campus per questo è uno dei pochi studenti ancora presenti. È insieme ad altri due ragazzi della sua età che hanno intrapreso questa piccola azione sovversiva di fronte alla grande libreria di Columbia nel silenzio assordante del campus ormai deserto.
"Ieri siamo stati spinti nei nostri dormitori e non ci è stato permesso di lasciare l'edificio. C'erano molti poliziotti in giro. È come se l'università avesse criminalizzato i propri studenti. Sono sospettosi di tutti. E hanno paura di noi perché sanno che la maggior parte degli studenti non è d'accordo con loro".
Nonostante il lockdown, infatti, le proteste a Columbia non si sono fermate. Un gruppo di manifestanti il giorno dopo lo sgombero ha proiettato dall'esterno del campus ma sulla facciata dell'Hamilton Hall la scritta "Gaza calls Columbia falls", "Gaza chiama, Columbia cade".
L’attenzione dell’università e dei manifestanti adesso è tutta per il 15 maggio quando l’università dovrà celebrare il giorno della consegna delle lauree. L’università è ossessionata affinché tutto vada per il meglio per non fare brutta figura davanti agli ospiti e ai genitori degli studenti che pagano rette altissime per studiare alla Columbia.
Anche in quel caso l’università sarà il crocevia di molti interessi, soprattutto politici che usano quello che sta avvenendo in queste settimane per attirare consensi in vista delle elezioni presidenziali del prossimo novembre.