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Cosa dobbiamo aspettarci dall’annuncio di Donald Trump di ricandidarsi a presidente degli Usa

Cosa ha spinto Donald Trump a ricandidarsi alle presidenziali del 2024 e quali prospettive ha di tornare di tornare effettivamente alla Casa Bianca: l’analisi.
A cura di Daniele Angrisani
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Ci risiamo. L’ex Presidente Donald J. Trump, dopo averlo preannunciato per mesi, ha deciso di fare il grande passo ed annunciare ufficialmente la sua ricandidatura alla presidenza nel 2024. La decisione arriva dopo che le elezioni di midterm si sono concluse con un risultato deludente per i repubblicani, nonostante le previsioni preelettorali fossero molto più rosee.

Sebbene i repubblicani abbiano ottenuto una risicata maggioranza alla Camera, hanno visto sfumare la possibilità di conquistare anche il Senato ed hanno perso in molti contesti statali dove erano dati ampiamente in vantaggio e che venivano considerati come strategici per la prospettiva di Trump di contestare future elezioni presidenziali.

Durante tutta la campagna elettorale per le midterm Trump ha ripetutamente insistito sui presunti (e mai comprovati) brogli elettorali alle scorse elezioni presidenziali che ha definito più volte come il problema principale per il Paese, nonostante i sondaggi mostrassero che gli elettori erano principalmente concentrati sull'alta inflazione e su altre preoccupazioni economiche.

Per questo motivo ha fatto in modo che gli elettori repubblicani, che al momento delle primarie gli erano ancora in buona parte fedeli, nominassero seguaci delle teorie complottiste sul voto per posizioni chiave sia a livello statale (soprattutto i Segretari di Stato che sono i diretti responsabili del conteggio dei voti) che federale.

Il risultato delle elezioni è stato impietoso: nessuno di questi candidati alla fine è stato eletto, mentre il successo inatteso dei candidati che non hanno seguito la linea di Trump ha fatto sì che da parte dell’estabilishment del Partito si alzassero forti preoccupazioni sulla possibilità di una débâcle elettorale anche alle elezioni presidenziali del 2024 nel caso in cui l’ex Presidente riuscisse ad ottenere la nomination per la Casa Bianca.

Sono in molti ora, infatti, a considerare invece il governatore Ron DeSantis come il leader del Partito ed il candidato naturale alla Casa Bianca, dopo aver stravinto la battaglia per la sua ricandidatura come governatore della Florida con un vantaggio di circa 20 punti rispetto al suo avversario democratico Charlie Christ, a sua volta ex governatore del Sunshine State.

Il discorso di Trump e le prime reazioni

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Trump però non si è fatto per niente intimorire da questo. Nel discorso di questa notte, con alle spalle una decina di bandiere americane, l’ex Presidente si è vantato (e spesso ha esagerato) dei risultati ottenuti in 4 anni nello Studio Ovale, ed ha cercato di difendere la performance repubblicana alle elezioni dello scorso novembre.

Trump ha iniziato sostenendo erroneamente che i repubblicani abbiano “preso il controllo del Congresso” (in realtà solo della Camera, visto che il Senato è rimasto a maggioranza democratica) ed ha celebrato il “licenziamento” dello Speaker della Camera, la sua arcinemica Nancy Pelosi.

Ma subito dopo, per cercare di spiegare il risultato più deludente del previsto per i repubblicani, Trump ha affermato che gli americani "non si sono ancora resi conto della piena portata e della gravità del dolore che la nostra nazione sta attraversando" e che “l'effetto totale di tale sofferenza sta appena iniziando a farsi sentire”.

"Abbiamo sempre saputo che questa non era la fine. Era solo l'inizio della nostra lotta per salvare il sogno americano", ha detto Trump. "Per rendere l'America di nuovo grande e gloriosa, stasera annuncio la mia candidatura a presidente degli Stati Uniti".

L’ex Presidente ha continuato il suo discorso, durato circa un’ora, elogiando il movimento MAGA e dichiarando che il Paese era "pronto per la sua età dell'oro" quando lui ha lasciato l'incarico. Ora, afferma, invece l'America è "una nazione in declino".

"Sotto la nostra guida, eravamo una nazione grande e gloriosa, cosa che non si sentiva da molto tempo", ha detto. "Ora siamo una nazione in declino. Per milioni di americani, gli ultimi due anni sotto Joe Biden sono stati un periodo di dolore, difficoltà e disperazione".

Trump ha anche accusato l’Amministrazione Biden di aver messo in imbarazzo gli Stati Uniti dinanzi al resto del mondo con il disastroso ritiro dall'Afghanistan nell'agosto 2021 e di aver "portato gli Stati Uniti sull'orlo di una guerra nucleare" con la Russia.

Verso la fine del suo discorso, durato circa un'ora, Trump ha affermato diverse proposte politiche che intende promuovere se dovesse essere rieletto come presidente: tra queste, limiti di mandato e divieto di compravendita azioni per i membri del Congresso, ma soprattutto una riforma elettorale per “eliminare i brogli alle elezioni”.

Sebbene abbia per una volta evitato di ripetere le sue false affermazioni di brogli alle elezioni 2020, Trump ha insistito sulla necessità di utilizzare solo schede cartacee alle elezioni e ha chiesto l'abolizione del voto anticipato, andando contro i recenti appelli di alcuni repubblicani che chiedevano invece al partito di concentrarsi maggiormente sul voto anticipato e via posta.

L’annuncio di Trump è stato trasmesso in diretta da buona parte delle grandi reti televisive americane, ad eccezione di MSNBC. Eppure, anche la rete conservatrice Fox News ha interrotto brevemente la diretta del discorso dell'ex presidente Trump, cosa degna di nota visti i segnali di allontanamento dall’ex Presidente da parte di questa rete televisiva di proprietà del magnate dei media Rupert Murdoch.

Anche la CNN ha trasmesso le dichiarazioni di Trump in diretta, ma ha messo fine alla diretta dopo circa 20 minuti per offrire l'analisi di un panel politico ed il fact check live delle varie affermazioni fatte da Trump durante il suo discorso su questioni che vanno dall'energia ai risultati delle elezioni di midterm.

Secondo il New York Times si è trattato di un annuncio "sconclusionato" e pieno di "falsità, frasi incendiarie su immigrazione e criminalità e cenni di estrema destra sulle culture-war".

I democratici sono ovviamente immediatamente passati all'offensiva dopo l’annuncio di Trump, dipingendolo l’ex Presidente come inadatto a tornare nello Studio Ovale dopo la insurrezione fallita del 6 gennaio 2021 in Campidoglio e la promozione da parte sua di accuse infondate di frode elettorale.

Mentre si trovava ancora sul palco di Mar-a-Lago, il presidente Biden ha pubblicato un video su Twitter in cui si affermava: "Trump ha fallito con l'America" dopo aver attaccato Trump sull'aborto, l'economia e il 6 gennaio.

Alla domanda di un giornalista a Bali, a margine del vertice del G20, se avesse da dire altro riguardo all'annuncio di Trump sul 2024, Biden ha risposto: "No, non proprio".

Il presidente del Comitato Nazionale Democratico Jaime Harrison ha invece commentato su Twitter: "Donald Trump è stato un fallimento come presidente; ecco perché ha perso nel 2020 ed ecco perché perderà di nuovo".

Ma il colpo più pesante per Trump è arrivato da una persona a lui molto cara e vicina: sua figlia Ivanka Trump, ha infatti dichiarato di non avere "intenzione di essere nuovamente coinvolta in politica" nella stessa notte in cui il padre ha annunciato la sua candidatura.

"Voglio molto bene a mio padre. Ma questa volta ho scelto di dare priorità ai miei figli piccoli e alla vita privata che stiamo creando come famiglia. Non ho intenzione di impegnarmi nuovamente in politica", ha dichiarato Ivanka Trump a Fox News Digital in un'intervista.

"Anche se amerò e sosterrò sempre mio padre, in futuro lo farò al di fuori dell'arena politica", ha aggiunto Ivanka.

Come si è arrivati alla sua ricandidatura

Nonostante tutto, dunque, Trump ha deciso lo stesso di andare avanti. Ma a dire il vero l’ex Presidente aveva già preannunciato la sua candidatura quando ha dichiarato, il giorno prima delle elezioni, che avrebbe fatto un "annuncio molto grande" il 15 novembre.

Trump si attendeva infatti che i repubblicani avrebbero ottenuto un ottimo risultato alle elezioni di metà mandato del giorno successivo, e la sua principale preoccupazione, il giorno prima del voto, era quella di assicurarsi di ricevere il giusto credito per l’atteso trionfo repubblicano.

Trump aveva perciò pensato che annunciando la propria candidatura la sera prima delle elezioni, avrebbe potuto aumentare le possibilità di ottenere il credito che credeva di meritare. Ma secondo molti suoi consiglieri, ciò avrebbe rischiato anche di stimolare l’affluenza dei democratici: alla fine Trump è sceso a compromessi preannunciando solo la data dell’annuncio.

Con il senno di poi, dissuadendolo dal fare un annuncio alla vigilia delle elezioni, i consiglieri di Trump lo hanno salvato dal ricevere ancora più colpa di quella che sta già ricevendo attualmente per la scarsa performance del GOP.

Da allora, comunque, Trump si è già comportato da candidato, attaccando pubblicamente i suoi più probabili rivali alle primarie, ovvero i popolari governatori repubblicani DeSantis e Youngkin, definendo il primo come “Ron DeSantimonious” e criticando il secondo, affermando che senza il suo supporto non sarebbe mai stato eletto governatore della Virginia nel 2021.

Per la sua terza candidatura alla Casa Bianca, dopo quella vittoriosa del 2016 e quella fallita del 2020, Trump può sicuramente ancora puntare sul forte supporto di cui gode da parte della sua base elettorale all’interno del Partito Repubblicano.

Il numero esatto di elettori repubblicani che rimangono fedeli a Trump è impreciso. Diversi sondaggisti del partito hanno stimato che potrebbe essere tra un terzo e il 40% dei loro elettori. Un sondaggio di NBC News di questo mese ha mostrato che il 30% dei repubblicani ha dichiarato di sostenere Trump più del partito, un numero che si è aggirato intorno al 50% negli ultimi due anni della sua presidenza.

Sebbene non siano numeri tali da garantire la nomination presidenziale, sono pur sempre numeri molto importanti, di cui il Partito Repubblicano non può fare a meno se vuole avere una chance concreta di riconquistare la Casa Bianca tra 2 anni.

Cosa dicono i sondaggi

Per la prima volta dai disordini del 6 gennaio in Campidoglio, però, dopo le elezioni di metà mandato ci sono concreti segnali del fatto che anche il sostegno degli elettori repubblicani nei confronti del loro beniamino ex Presidente si stia ammorbidendo, soprattutto tra coloro che finora lo hanno continuato ad appoggiare in qualsiasi occasione e difficoltà.

L’organizzazione conservatrice Club for Growth, un tempo alleata di Trump, ha pubblicato lunedì un sondaggio che mostra come l'ex tycoon sia in svantaggio a due cifre rispetto al governatore della Florida Ron DeSantis in quattro Stati chiave delle primarie.

Il sondaggio, commissionato ad uno dei principali sondaggisti repubblicani, Chris Wilson, mostra infatti DeSantis in netto vantaggio rispetto a Trump nei primi Stati delle primarie/caucus dell'Iowa (+11) e del New Hampshire (+15), ed è stato considerato come un attacco preventivo all’annuncio di questa notte.

I risultati di questo sondaggio arrivano dopo che diversi esponenti di primo piano della destra repubblicana, da Candace Owens al vicegovernatore della Virginia Winsome Sears, hanno rotto pubblicamente con l’ex Presidente negli ultimi giorni.

Anche la senatrice del Wyoming Cynthia Lummis, che rappresenta lo Stato più trumpiano del Paese, questa settimana ha rifiutato di appoggiare la candidatura di Trump e ha dichiarato apertamente che DeSantis è ora il leader del Partito Repubblicano.

Ciò che conta, in tutti questi casi, è che le defezioni non provengono dal relativamente piccolo gruppo di Never Trumpers, ma da coloro che sono stati più vicini al movimento MAGA dell’ex Presidente.

E non sono solo i sondaggi dei gruppi interni a mostrare che Trump sta perdendo colpi tra i suoi sostenitori di un tempo. Anche un sondaggio di YouGov, condotto subito dopo le elezioni, ha rilevato che DeSantis è in vantaggio di poco su Trump (41%-39%) in un testa a testa tra i due potenziali candidati alle primarie repubblicane.

Va detto, tuttavia, che anche se DeSantis decidesse davvero di proporsi, lui e Trump quasi certamente non sarebbero gli unici candidati. Altri esponenti repubblicani, dall'ex vicepresidente Mike Pence al già nominato Youngkin, potrebbero decidere di scendere in campo e spaccare la parte di elettorato scettica nei confronti dell’ex Presidente.

Questa è la situazione che si è verificata nel 2016, quando Trump ha vinto a sorpresa le primarie contro una folta schiera di candidati opposti, che non è stata in grado di unirsi contro di lui dietro un unico candidato se non quando ormai era già troppo tardi.

Ma la situazione è ben diversa rispetto ad allora: ora Trump non è più un “animale politico sconosciuto”: è stato già alla presidenza, ha perso la campagna per la sua rielezione ed ha contribuito ad un risultato più deludente del previsto nelle elezioni di midterm.

Anche per questo motivo, Il fondatore miliardario di Citadel, Ken Griffin, ha definito Donald Trump un "tre volte perdente" dicendo di sperare, prima dell’annuncio di questa notte, che l'ex presidente capisse “la situazione" e lasciasse spazio al governatore della Florida Ron DeSantis.

Da parte sua anche l’ex vicepresidente Mike Pence ha dichiarato in un'intervista andata in onda lunedì di ritenere che ci siano "scelte migliori" quando gli è stato chiesto se l'ex presidente Trump dovrebbe mai tornare a essere presidente.

"Crede che Donald Trump dovrebbe mai essere di nuovo presidente?". David Muir della ABC ha chiesto a Pence. "David, credo che questo dipenda dal popolo americano", ha risposto Pence. "Ma credo che in futuro avremo scelte migliori".

Il ballottaggio in Georgia

Ad essere preoccupati per l’annuncio di questa notte sono anche i sostenitori di Herschel Walker, il candidato repubblicano che sarà impegnato nel ballottaggio per il seggio al Senato della Georgia, che si terrà il prossimo 6 dicembre, contro il senatore uscente democratico Raphael Warnock, che cerca di essere riconfermato per altri due anni.

Sono in molti, incluso Jason Miller, uno dei principali consiglieri dell’ex Presidente, a ritenere che l’annuncio di Trump non aiuterà le chance di Walker di vincere. Anche l'ex Segretario di Stato Mike Pompeo, che si dice stia valutando una candidatura alle presidenziali, lunedì ha twittato che il GOP dovrebbe avere "un solo obiettivo" – aiutare Walker.

Ma Walker è già di per sé leggermente sfavorito rispetto a Warnock, che ha superato il primo di 35.000 voti, pari a circa 0,9 punti percentuali, nel primo turno delle elezioni, sebbene non sia riuscito a superare la soglia del 50% necessaria per evitare il ballottaggio.

La preoccupazione repubblicana è dunque facilmente comprensibile se si pensa che l’ex Presidente Trump è stato anche il fattore chiave per la sconfitta repubblicana nel ballottaggio nel gennaio 2021, quando Trump ha tenuto due comizi per sostenere gli allora senatori David Perdue e Kelly Loeffler, che hanno poi perso rispettivamente contro i senatori Jon Ossoff e Warnock.

All’epoca, alcuni repubblicani avevano incolpato proprio Trump per le sconfitte, ritenendo che le sue affermazioni di elezioni presidenziali truccate e rubate abbiano spinto i potenziali elettori repubblicani a rimanere a casa. Ora la situazione rischia di ripetersi.

Non è finita qui: rispetto ad altri Stati chiave, la Georgia è stato una delle poche oasi per i repubblicani, ma solo perché i due principali candidati statali, il governatore Brian Kemp ed il Segretario di Stato Brad Raffensperger, hanno avuto notorietà nazionale per aver rigettato più volte le richieste di Trump di non riconoscere la sua sconfitta elettorale alle elezioni del 2020.

Trump ha cercato, senza successo, di far rimuovere entrambi gli uomini politici alle primarie repubblicane: invece entrambi hanno vinto agevolmente quelle e le seguenti elezioni generali. È facile dunque comprendere il perché uno stratega repubblicano di primo piano abbia detto così a The Hill: "Non ho sentito nessun repubblicano che voglia che Trump si faccia avanti per partecipare alle elezioni in Georgia”.

Ad aggravare i problemi del Partito Repubblicano in Georgia è il fatto che la sfida al ballottaggio non determinerà più il controllo del Senato, diminuendo la posta in gioco – e di conseguenza l'incentivo per alcuni repubblicani a recarsi alle urne.

Ma non vale lo stesso per i democratici: infatti, sebbene la maggioranza al Senato non sia più a rischio dopo la doppia vittoria in Nevada ed Arizona, in vista del 2024 (anno in cui i democratici dovranno difendere ben 3 seggi in Stati fortemente repubblicani, ovvero West Virginia, Montana ed Ohio), partire da quota 51 sarebbe vitale per avere chance di restare maggioranza.

Ciò significa che, diversamente dai repubblicani sfiduciati per il risultato delle elezioni di metà mandato, gli elettori democratici hanno un incentivo concreto e serio per recarsi alle urne in massa e portare a casa anche questo altro seggio.

E’ chiaro che, a prescindere dall’impegno diretto di Trump in questo ballottaggio, una eventuale sconfitta repubblicana in Georgia arrivata poco dopo l’annuncio ufficiale della candidatura di Trump non farebbe altro che indebolire ulteriormente la sua immagine di leader vincente in vista del 2024.

I rischi legali dell’ex Presidente

Un altro problema legato alla candidatura di Trump alla presidenza, è che l’ex Presidente si trova sotto indagine in almeno quattro contesti separati ed esiste il rischio concreto che possa finire incriminato al termine di almeno una di queste. Qui di seguito, riepiloghiamo le indagini attualmente aperte sull’ex Presidente.

I documenti riservati di Mar-a-Lago

Il Dipartimento di Giustizia sta indagando sulla rimozione di documenti governativi dalla Casa Bianca, che sono stati poi portati nella proprietà di Trump in Florida, Mar-a-Lago, dopo che lui ha lasciato l'incarico. Gli investigatori stanno valutando come questi documenti siano stati conservati e chi possa avervi avuto accesso.

Mar-a-Lago è stata perquisita ad agosto e sono stati sequestrati 11.000 documenti, tra cui circa 100 riservati. Alcuni di questi erano etichettati come top secret, potenzialmente esponendo gli Stati Uniti a gravi rischi di sicurezza nazionale. Per questo motivo Trump è stato indagato per violazione, tra le altre cose, dell’Espionage Act, oltre che per ostruzione di giustizia.

Trump, da parte sua ha negato di aver commesso illeciti e ha criticato l'indagine del Dipartimento di Giustizia, definendola "politicamente motivata" e una "caccia alle streghe". La sua linea di difesa è che il materiale era stato declassificato nel momento stesso in cui lo aveva trasportato a Mar-a-Lago, ma i suoi legali al momento non sono stati in grado di dimostrarlo.

Evasione fiscale della Trump Organization

I procuratori di New York stanno indagando sulla Trump Organization, la società di famiglia dell'ex presidente. A New York, in particolare, sono in corso due indagini, una civile e l'altra penale.

Letitia James, procuratore generale di New York eletta per i democratici, è responsabile dell'indagine civile (che non può sfociare in accuse penali) e ha trascorso quasi tre anni a verificare se la società di famiglia dei Trump abbia commesso vari atti di frode fiscale nel corso di diversi decenni nello Stato.

Tra questi, la presunta sopravvalutazione del valore di immobili, come campi da golf e hotel, per ottenere prestiti più favorevoli e migliori aliquote fiscali.

Da parte sua Trump ha insistito che la sua società non ha mai agito illegalmente, ed ha definito queste accuse come una caccia alle streghe soprattutto da parte della democratica James, la quale nel frattempo ha concluso la sua inchiesta citando in giudizio la Trump Organization, in un processo che potrebbe concludersi con il suo scioglimento.

La separata indagine penale, che dura da anni, è guidata invece dal procuratore distrettuale di Manhattan Alvin Bragg e sta esaminando lo stesso problema in relazione alle operazioni nella città di New York.

Finora non sembra che Trump sia direttamente a rischio, ma James ha riferito le sue conclusioni anche ai procuratori federali, il che potrebbe portare alla escalation anche di questa seconda indagine contro l’ex Presidente.

L’insurrezione fallita al Campidoglio del 6 gennaio

Il presunto ruolo di Trump nella fallita insurrezione al Campidoglio degli Stati Uniti del 6 gennaio 2021, quando una folla di suoi sostenitori ha preso d'assalto l'edificio nel tentativo di impedire la conferma della vittoria del presidente Joe Biden, è sotto indagine da parte di diversi organi del governo federale.

In particolare, ad indagare su questo è stata una Commissione della Camera dei Rappresentanti che ha tenuto diverse udienze televisive per dimostrare che le sue false affermazioni sui brogli elettorali hanno portato direttamente alla rivolta.

A seguito di queste udienze, la Commissione 6 Gennaio ha emesso un mandato di comparizione legale per ordinare a Trump di testimoniare e fornire documenti. Nel caso in cui dovesse rifiutarsi, Trump teoricamente potrebbe incorrere nell’accusa di oltraggio al Congresso, come già avvenuto per Stephen Bannon.

Il Dipartimento di Giustizia a sua volta sta conducendo un'indagine penale separata sul 6 gennaio e su sforzi più ampi per rovesciare le elezioni, ma questa è stata in gran parte avvolta nel segreto. Si tratta della più grande indagine di polizia nella storia degli Stati Uniti, ma non è chiaro fino a che punto Trump sia un obiettivo di questa indagine, che finora ha già portato all'incriminazione di centinaia di persone.

La Commissione 6 Gennaio sta anche valutando se presentare un'istanza penale che raccomandi al Dipartimento di Giustizia di incriminare Trump. Questo non significa molto in pratica, ma potrebbe aumentare la pressione sugli inquirenti.

Da parte sua Trump ha negato qualsiasi responsabilità nella fallita insurrezione ed ha criticato la Commissione del Congresso che ha definito come una farsa, ribadendo allo stesso tempo le sue accuse infondate di brogli elettorali diffusi.

Il tentativo di rovesciare il risultato delle elezioni in Georgia

Anche i procuratori statali della contea di Fulton in Georgia stanno indagando sui tentativi di rovesciare il risultato delle elezioni presidenziali del 2020.

L'indagine penale è stata aperta dopo la divulgazione di una telefonata di un'ora tra l'ex presidente ed il Segretario di Stato repubblicano Brad Raffensperger il 2 gennaio 2021, in cui Trump aveva detto: "Voglio solo trovare 11.780 voti", un riferimento al numero di schede necessarie per la sua vittoria nello Stato in bilico.

Trump ha definito anche questa indagine come una “caccia alle streghe”, attaccando anche direttamente la procuratrice capo della contea di Fulton, Fani Willis, che sta conducendo l’inchiesta come “una giovane ambiziosa democratica di sinistra radicale”.

Willis da parte sua ha detto che una decisione sull’incriminazione non è imminente ma ha fatto capire che Trump potrebbe essere presto chiamato a testimoniare e che “le accuse sono molto gravi”, e che se qualcuno viene “incriminato e condannato, rischia anni di carcere”.

Non si sa al momento se l'ex Presidente sia direttamente indagato, ma si sa invece che alcuni dei suoi consiglieri più stretti sono obiettivo diretto dell’inchiesta, come il suo ex avvocato personale Rudy Giuliani, che ha guidato le battaglie legali per contestare (senza successo) il risultato delle elezioni.

Per ottenere una condanna penale, tuttavia, i pubblici ministeri dovrebbero dimostrare oltre ogni ragionevole dubbio che le persone coinvolte sapevano che le loro azioni erano fraudolente. Non sono in pochi, comunque, a pensare che Trump rischi seriamente di finire incriminato qui vista la pubblicazione della telefonata con Raffensperger.

Nel caso in cui Trump dovesse essere accusato di reati penali si aprirebbe uno scenario senza precedenti: l’incriminazione non solo di un ex Presidente, ma anche di un candidato attivo per la nomination presidenziale di uno dei due Partiti principali.

Cosa intenderebbero fare i repubblicani in quel caso? Al momento a questa domanda non esiste una risposta chiara. Ma è indubbio che questa concreta possibilità rischia di peggiorare ulteriormente le prospettive di Trump in vista delle prossime presidenziali.

Come scalfire il Blue Wall democratico nel Midwest

Parlando di 2024 non si può infine far notare come la strada per la vittoria repubblicana alla Casa Bianca passi necessariamente per la vittoria negli Stati chiave del Midwest.

Come si può vedere usando il tool di previsione disponibile sul sito 270towin.com nel caso in cui i democratici riuscissero a mantenere intatto il Blue Wall (ovvero vincere Pennsylvania, Michigan e Wisconsin), l’unica strada concreta per la presidenza dei repubblicani passa dalla vittoria in tutti i seguenti altri Stati vinti da Biden nel 2020: Arizona, Nevada, New Hampshire e Georgia.

I risultati delle elezioni di metà mandato mostrano che per i repubblicani vincere in tutti questi Stati insieme è molto complicato, anche in un contesto dove avrebbero dovuto essere favoriti dall’impopolarità di un presidente in carica e dalle difficoltà economiche del Paese a causa dell’alta inflazione.

La strada più semplice resta quindi quella di vincere in almeno uno dei 3 Stati del Midwest, ovvero, come si dice giornalisticamente “sfondare il Blue Wall”. Trump ci è riuscito nel 2016, ma oggi la situazione potrebbe essere molto diversa.

"Se Trump si candidasse contro DeSantis in Wisconsin, DeSantis vincerebbe a mani basse", ha detto ad esempio di recente Brandon Scholz, ex presidente del GOP del Wisconsin. Ed i risultati delle elezioni di metà mandato sembrano confermare questa cosa.

La scorsa settimana gli elettori del Wisconsin hanno assegnato un altro mandato al governatore democratico Tony Evers, negando ai repubblicani la supermaggioranza nell'Assemblea generale – un duro colpo per i repubblicani desiderosi di annullare i veti del governatore.

In Pennsylvania, oltre a perdere nettamente le sfide per il governatore e il Senato, il Partito Repubblicano è sul punto di perdere la Camera di Stato per la prima volta in più di un decennio, ed in generale i democratici sono andati molto meglio del 2020.

Il disastro è ancora più profondo in Michigan, dove gli elettori hanno rieletto la governatrice democratica Gretchen Whitmer con un margine di quasi 10 punti ed hanno sonoramente respinto una lista di negazionisti elettorali sostenuti da Trump portando i democratici a controllare entrambe le camere della legislatura statale per la prima volta in quasi 40 anni.

Grazie a questo suo risultato ora Whitmer è considerata una delle papabili candidate alla presidenza per i democratici nel caso in cui l’attuale Presidente Joe Biden decidesse di non ricandidarsi.

Tuttavia, i repubblicani non perdono le speranze. Il principale potenziale rivale di Trump alle primarie repubblicane, Ron DeSantis, ha dimostrato in Florida di poter riuscire a vincere ottenendo il supporto di gruppi demografici chiave come ispanici, abitanti dei sobborghi e bianchi laureati, che sfuggono ai repubblicani altrove e che potrebbero essere decisivi per la vittoria anche negli Stati del Blue Wall.

Che DeSantis sia in grado di ottenere questi risultati anche nel Midwest, resta ovviamente tutto da vedere. Ma prima di questo, lui o chiunque altro abbia intenzione di farlo, ha dinanzi a sé un compito titanico: non solo vincere le primarie contro un ex Presidente ancora amato da una parte cospicua dell’elettorato repubblicano, ma anche quello, in caso di vittoria, di mantenere i voti dei supporter hardcore di Trump alle elezioni generali.

Visto quanto successo il 6 gennaio e l’incapacità mostrata da Trump di accettare la sconfitta alle presidenziali, il fatto che egli possa invece accettare una eventuale sconfitta alle primarie non è assolutamente da ritenersi scontato.

Trump, in tal caso, potrebbe decidere di candidarsi come indipendente, portando via con sé i voti dei propri sostenitori più fedeli, ed affondando in questo modo qualsiasi chance di vittoria di un altro candidato repubblicano alla presidenza (“effetto Ross Perot”, guardando alle elezioni 1992).

Allo stesso tempo i possibili rischi legali a cui Trump sta andando incontro, potrebbero obbligarlo a cambiare idea e spingerlo alla fine a supportare un candidato diverso in cambio della promessa della grazia presidenziale. Ma anche in quel caso, non è detto che tutti i suoi sostenitori più fedeli voteranno in massa e convintamente per l’altro candidato.

Insomma, per i repubblicani da oggi si apre una battaglia molto difficile e dura, che rischia di spaccare il partito a metà, forse irrimediabilmente, e consegnare il Paese ad altri quattro anni di governo democratico. Ma forse questo è il prezzo che i repubblicani devono pagare per staccarsi definitivamente dal trumpismo e guardare avanti con serietà, rinunciando alle ali più estreme e tornando ad essere un pilastro del sistema politico americano.

Come ha detto ieri lo stesso Trump, preannunciando la decisione di questa notte, si tratta di un momento “che cambierà la storia degli Stati Uniti”. Dopo ciò che è successo il 6 gennaio, per il Partito Repubblicano è il momento di decidere una volta e per tutte che strada prendere. Il futuro prossimo degli Stati Uniti (e del mondo) dipenderà in buona parte da questo.

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Daniele Angrisani, 43 anni. Appassionato da sempre di politica internazionale, soprattutto Stati Uniti e Russia. 
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