Ieri vi abbiamo spiegato qual è la posizione dell’Italia per quel che concerne le azioni militari contro l’Isis in Siria, sottolineando come il Governo abbia scelto la strada della prudenza. Ma è ovviamente importante capire anche come l’esecutivo intende muoversi sul fronte interno, per “abbassare il coefficiente di rischio” e per elaborare una strategia complessiva sul “pericolo terrorismo”.
Della risposta delle autorità italiane ha parlato il ministro dell’Interno Angelino Alfano durante una informativa al Senato della Repubblica. Eccone qualche estratto significativo.
Il livello di allerta al grado 2, cosa significa
Veniamo alla ricostruzione di ciò che è avvenuto nel nostro Paese subito dopo gli attentati. La risposta da parte del sistema di sicurezza è stata immediata, consentendo, fin dalle prime ore successive a quegli eventi, di adottare ogni misura di prevenzione considerata adeguata alla evoluzione in atto della minaccia. Una prima circolare del Capo della Polizia, indirizzata a tutti i prefetti e questori d'Italia, è stata diramata nella tarda serata di venerdì scorso e ha innalzato il livello di allerta al grado 2, corrispondente a quello di rischio elevato, ossia a quello immediatamente inferiore al livello attivato nei casi di attacco terroristico in corso.
Chiarisco subito che l'elevazione dello stato di allerta non corrisponde al fatto che, in concomitanza con gli eccidi di Parigi, siano stati registrati segnali ritenuti indicativi di specifiche iniziative terroristiche che abbiano a bersaglio il nostro territorio o interessi riconducibili all'Italia. No. Vuol dire piuttosto che le attività di prevenzione sono dispiegate al loro massimo grado […] L'innalzamento dell'allerta consente anche l'attivazione rapida – naturalmente in caso di necessità – dei reparti speciali delle forze di polizia, in particolare di NOCS e GIS, e delle forze speciali militari chiamate ad entrare in azione in scenari di particolare complessità, una complessità operativa che dovesse manifestarsi
Tornando alle iniziative assunte all'indomani degli attentati, riferisco che la mattina del 14 novembre è stata convocata una riunione del Comitato di analisi strategica antiterrorismo (CASA), che ha proceduto ad una prima analisi degli eventi parigini. Anche sugli elementi emersi in quella riunione si è fondata la seduta straordinaria del Comitato nazionale dell'ordine e della sicurezza pubblica, presieduta al Viminale dal presidente del Consiglio dei ministri Matteo Renzi. È in quella sede che si è stabilito di anticipare l'utilizzazione a Roma del contingente ulteriore di 1.000 uomini delle Forze armate, il cui impiego finalizzato alle specifiche esigenze del Giubileo era stato deciso il giorno prima dal Consiglio dei ministri nell'ambito del decreto-legge dedicato non solo a Roma, ma anche ad altre specifiche esigenze territoriali.
Militari, polizia, forze speciali: chi difende gli obiettivi a rischio
Proprio adesso, si stanno completando le operazioni di dispiegamento immediato di 700 militari a cui, nei prossimi giorni, si aggiungeranno le altre unità che completeranno questo dispositivo supplementare. Tengo a sottolineare che si tratta di un nucleo aggiuntivo, cioè di uomini in più messi a disposizione della Capitale proprio in ragione delle maggiori esigenze di controllo derivanti dal Giubileo. E voglio essere concreto dicendo che, a Roma, è già a disposizione del prefetto un contingente di circa 1.300 militari, specificamente 1.296, nell'ambito dell'operazione Strade sicure, che ha visto nel 2015 l'impiego di 4.800 uomini in tutto il territorio nazionale e che vedrà l'impiego di altrettanti uomini nel 2016, in forza delle previsioni inserite nella legge di stabilità, e a quei 4.800 vanno aggiunti quelli che hanno partecipato all'Expo. […]
Del resto, Roma è adeguatamente presidiata già dalle nostre forze di polizia ed è il caso di ricordare che la forza effettiva, cioè concretamente dispiegata nella Capitale e nel territorio della Provincia, è di poco superiore oggi a 24.000 unità tra Polizia di Stato, che concorre con un'aliquota più consistente (pari a 11.694 operatori), Arma dei carabinieri (che ne conta 7.438), e Guardia di finanza (che, a sua volta, ne impiega 4.897).
Comunque, nonostante tali ragguardevoli numeri è previsto un potenziamento ulteriore degli organici che non riguarderà solo Roma, ma interesserà anche altre città italiane particolarmente rappresentative nella prospettiva dell'evento giubilare per la presenza di significative vestigia della cristianità. Intanto sono state assegnate a Roma 1.197 unità aggiuntive delle forze di polizia; inoltre, a partire dal prossimo mese di giugno, in virtù di nuove assunzioni autorizzate dal decreto-legge n. 78 di quest'anno, saranno impiegabili altre 2.500 unità, la cui parte preponderante verrà simmetricamente divisa tra Polizia di Stato e Arma dei carabinieri (cioè 1.050 ciascuno), mentre un'aliquota di 400 uomini verrà invece incorporata dalla Guardia di finanza.
Il Giubileo è un rischio?
Il fatto nuovo, evidenziato dalla tragica sequenza di morte di venerdì sera, sta invece nell'apparente casualità degli obiettivi prescelti dal commando degli attentatori. Non più luoghi simbolo dell'opposizione, anche culturale, al jihad, come fu a gennaio di quest'anno in occasione della strage dei giornalisti satirici di «Charlie Hebdo»; non più obiettivi riconducibili a interessi di Paesi ritenuti ostili, verso i quali si è sempre indirizzata la furia distruttrice dei kamikaze. No: il bersaglio dei terroristi in azione è rappresentato, stavolta, da una molteplicità di quelli che gli analisti definiscono i soft target, luoghi di aggregazione comune destinati, in varia forma, allo svago e al divertimento (un bar, un ristorante, uno stadio, una sala concerti), il che sembra seguire una perversa logica di attacco frontale alle libertà più elementari, ai nostri stili di vita, al nostro stesso modo di essere e di vivere il nostro essere occidentali.
Non dobbiamo, tuttavia, nemmeno perdere di vista quelli che ancora consideriamo gli obiettivi più appetibili, legati all'essenza della minaccia terroristica e al suo fanatismo ideologico di matrice religiosa. È del tutto naturale, quindi, che il livello di preoccupazione possa crescere in coincidenza con l'imminente avvio del Giubileo straordinario della misericordia. Del resto, la persona del Pontefice, il Vaticano, Roma e gli altri simboli della cristianità sono già stati al centro di dichiarazioni minacciose, incitanti alla distruzione e all'odio, come quelle che – nel settembre del 2014 e anche a gennaio di quest'anno – sono state pronunciate da Mohammad al-Adnani, il portavoce dell'Islamic State, e poi diffuse attraverso il web, l'arma strategica più suggestiva e potente utilizzata dal terrorismo islamico.
È per questo motivo che la pianificazione dei dispositivi di sicurezza, relativi allo svolgimento dell'Anno santo, si concentra sui punti più sensibili e a rischio, a cominciare da piazza San Pietro, dove confluiranno imponenti masse di visitatori e di pellegrini, soprattutto in occasione delle cerimonie più significative. Il loro afflusso seguirà percorsi prestabiliti e il filtraggio verrà eseguito sia in transitu, con l'ausilio di metal detector portatili, sia all'atto dell'accesso alla piazza, con il passaggio obbligato attraverso nuove postazioni fisse munite di dispositivi di ultima generazione.
Una particolare attenzione è dedicata al rischio che un attacco terroristico possa essere portato dall'alto, utilizzando anche dispositivi aerei a pilotaggio remoto, meglio conosciuti con il nome di droni. Vorrei rassicurare che ogni aspetto di una possibile minaccia aerea è stato approfondito a livello interforze ed interdisciplinare, coinvolgendo anche l'Aeronautica militare, l'ENAC e l'ENAV, riguardo all'estensione dei provvedimenti che andranno ad interdire il sorvolo durante l'intero periodo del Giubileo
Il lavoro di intelligence e le espulsioni
Nei vari contesti operativi sono state controllate, dal 1º gennaio di quest'anno, 56.426 persone e sono state eseguite 540 perquisizioni su soggetti in vario modo legati al terrorismo. Sono stati controllati e perquisiti oltre 8.000 veicoli e 160 navi. Voglio chiarire che non si è trattato di controlli occasionali, ma di mirate verifiche, che hanno riguardato soggetti sui quali, grazie ad un'accurata attività di osservazione, si era già appuntata l'attenzione degli organi investigativi. Sono stati dunque consistenti anche gli esiti che ne sono seguiti: sono state arrestate 147 persone, più del doppio (cioè 325) sono state indagate in stato di libertà e, infine, altre 55 sono state espulse e rimpatriate per motivi di sicurezza dello Stato o di prevenzione del terrorismo, quali soggetti radicalizzatisi, imam, donne e uomini che avevano dato a che pensare ai nostri sistemi di sicurezza e che sono stati espulsi. Notevoli sono anche le recenti operazioni che hanno portato al rintraccio di due cittadini stranieri con precise evidenze di appartenenze ai gruppi estremistici: si tratta di un pakistano e di un tunisino, quest'ultimo già espulso dopo una condanna per terrorismo, rientrato in Italia, ma immediatamente individuato ed espulso una seconda volta. Ed è dei giorni scorsi una grande operazione che ha portato all'arresto di 17 persone in uno scenario internazionale, a riprova di come funzioni anche il sistema di cooperazione di polizia e giudiziario tra noi e gli altri Paesi. Inoltre, sono stati sistematicamente controllati i luoghi di aggregazione culturale e religiosa collegati all'islamismo, con un'attenta attività di monitoraggio e censimento.
Ripeto: sono stati individuati ed allontanati gli imam pericolosi, responsabili dei processi di radicalizzazione e di incitamento alla violenza, perché questa è una grande democrazia e il nostro è un grande Paese. Noi riconosciamo il diritto di culto e il diritto alla preghiera. Noi diciamo al milione e 600.000 musulmani che sono presenti in Italia che noi sappiamo ben distinguere chi prega da chi spara; chi prega continui a pregare e prenda le distanze da chi spara, perché noi cacceremo ed inseguiremo coloro i quali sparano e coloro i quali vogliono dare solidarietà a quelli che sparano, ma sapremo ben distinguere la preghiera dal crimine.
Il ruolo dell’Italia nel contesto internazionale
Paolo Gentiloni, ministro degli Esteri, riassume gli impegni italiani all’estero:
Siamo sin dall'inizio nella coalizione politico-militare che combatte Daesh. Facciamo parte del gruppo di 22 Paesi che ne coordina l'attività. Le nostre Forze armate sono presenti con 280 unità in Iraq, di cui 200 lavorano per l'addestramento proprio di quei peshmerga che hanno liberato, qualche giorno fa, la zona del Sinjar. Ricordiamo anche questo con orgoglio, perché l'Italia è la leading nation, in questo momento, nell'addestramento militare delle forze curde, che sono le forze determinanti sul terreno, nel contesto iracheno. Credo che possiamo e dobbiamo rivendicare con grande orgoglio questo ruolo.
Infine, il nostro Paese svolge un ruolo molto apprezzato nell'addestramento della polizia irachena, per il quale operano a Baghdad circa 100 formatori dei nostri carabinieri, anche in questo caso guidando la coalizione nella difficile missione di ricostruzione delle capacità della polizia irachena.
[…] In Siria noi italiani diciamo due cose molto semplici: la prima è che serve una transizione politica per allontanare il dittatore Assad, responsabile della più drammatica crisi umanitaria degli ultimi anni (250.000 morti, milioni di rifugiati). Assad va allontanato, ma senza che il vuoto che si creerà venga riempito da Daesh o da al-Nusra, e quindi con un processo di transizione.
La seconda cosa che diciamo è che i russi possono essere fondamentali nel contribuire a questa soluzione e alla transizione politica.
Gli incontri di Vienna, a cui hanno partecipato i cinque membri permanenti del Consiglio di sicurezza, la Germania e l'Italia e 10 Paesi della Regione, hanno aperto uno spiraglio in questa direzione. È solo uno spiraglio, onorevoli colleghi – e non credo dobbiamo spacciare facili ottimismi su questo – che va, però, esattamente nella direzione che l'Italia ha auspicato. E l'ha auspicata mentre altri coltivavano la rischiosa illusione di poter cacciare Assad prima di qualsiasi accenno di negoziato o descrivevano la presenza russa solo come una minaccia e non anche come una grande opportunità. Le cose non stavano così, e avevamo ragione noi a dire che questo era il percorso necessario.