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Cosa c’era scritto nel post di cordoglio di Israele su Papa Francesco e perché Netanyahu non ne parla

Alla morte di papa Francesco, i vertici dello Stato di Israele hanno scelto di non esprimere cordoglio ufficiale. Una decisione che affonda le radici nelle frizioni degli ultimi mesi tra il Pontefice e il governo Netanyahu, acuite dalle parole del papa sulla guerra a Gaza e sull’antisemitismo. Così il silenzio di Netanyahu sulla morte di Papa Francesco e il tweet cancellato del Ministero degli Esteri israeliano scatenano polemiche.
A cura di Francesca Moriero
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La morte di papa Francesco ha provocato una reazione diffusa nel mondo, ma da Israele è arrivato un silenzio quasi totale. L'unico messaggio ufficiale è stato quello del presidente Isaac Herzog, che ha espresso speranza affinché la memoria del Pontefice possa ispirare atti di gentilezza e umanità. Il primo ministro Benjamin Netanyahu, invece, non ha diffuso alcun comunicato, nemmeno via social. Lo stesso vale per il ministro degli Esteri Gideon Sa'ar. Un'assenza, dunque, che, nel linguaggio diplomatico, equivale a una presa di posizione.

Secondo quanto riportato dal quotidiano israeliano Yedioth Ahronoth, il ministero degli Esteri aveva inizialmente pubblicato un breve messaggio di cordoglio: "Riposa in pace. che il suo ricordo sia una benedizione", con una foto del papa al Muro del Pianto, ma il post è stato poi rapidamente rimosso su ordine dello stesso ministero, o forse del primo ministro. La spiegazione ufficiale è che "si trattava di un errore". Ma il contesto sembra suggerire altro. "Ci è stato dato l'ordine diretto di cancellare i tweet, senza alcuna spiegazione", ha dichiarato un ambasciatore israeliano citato da Ynet, "quando abbiamo chiesto chiarimenti, ci è stato detto che la questione era ‘in fase di revisione'. Non è sufficiente, non per noi e certamente non per il pubblico che rappresentiamo".

I motivi dietro al silenzio di Israele sulla morte di Papa Francesco

L'origine del malcontento israeliano sembra risalire alle numerose dichiarazioni di Papa Francesco sulla guerra in corso a Gaza. In più occasioni, il Pontefice ha infatti parlato in termini netti della situazione: ha definito la campagna militare israeliana "crudeltà", ha detto che "non è una guerra, è bombardare i bambini", e ha parlato apertamente di "caratteristiche del genocidio" riferendosi a Gaza, citando anche analisi di esperti giuridici. Queste dichiarazioni hanno irritato profondamente il governo israeliano, che le ha considerate "assolutamente sbilanciate". Nemmeno i richiami al crescente antisemitismo e l'appello per la liberazione degli ostaggi israeliani hanno bilanciato, agli occhi dell'esecutivo, il giudizio critico espresso da Bergoglio. Nel suo ultimo messaggio pubblico, l'Urbi et Orbi di Pasqua, il papa aveva citato poi tanto il popolo israeliano quanto quello palestinese, esprimendo solidarietà a entrambi. Ma per molti a Gerusalemme, le posizioni del Vaticano erano già troppo schierate da tempo.

Il ruolo degli ex diplomatici

Non tutti nel mondo diplomatico israeliano sono però d'accordo con la linea del silenzio. Raphael Schutz, ex ambasciatore presso la Santa Sede, ha dichiarato al Jerusalem Post che non partecipare al lutto papale è "un errore". Pur senza condividere le critiche di Bergoglio, Schutz ha riconosciuto il ruolo spirituale e globale del papa, sottolineando che il silenzio rischia di essere interpretato come un gesto ostile. Anche altri ex diplomatici israeliani hanno suggerito che un atteggiamento più istituzionale e meno ideologico sarebbe stato preferibile.

Diversa la posizione di Dror Eydar, ex ambasciatore a Roma e oggi editorialista su Yisrael Hayom, vicino al governo. In un articolo ha scritto che Israele non dovrebbe inviare rappresentanti di alto livello al funerale e ha accusato papa Francesco di aver alimentato l'antisemitismo globale dal 7 ottobre in poi. Le sue parole sono state considerate da molti un riflesso della linea adottata dall'attuale governo, che negli ultimi mesi ha visto ogni critica come un attacco politico.

I funerali e il nodo dello Shabbat

I funerali di papa Francesco si terranno sabato, durante lo Shabbat ebraico, e questa coincidenza potrebbe offrire a Israele una giustificazione formale per non partecipare con una delegazione ufficiale. Ma secondo le fonti diplomatiche, la scelta di non intervenire sarebbe stata presa prima ancora che venisse stabilita la data; il governo avrebbe preferito usare il calendario religioso come copertura per una decisione squisitamente politica. La scelta potrebbe però avere conseguenze: Israele si trova infatti già sotto "pressione internazionale": da una parte, è coinvolto in un'inchiesta della Corte internazionale di giustizia per genocidio; dall'altra, la Corte penale dell'Aja ha richiesto il rinvio a giudizio per crimini di guerra per Netanyahu e per l'ex ministro della Difesa Yoav Gallant. Insomma, in questo contesto, prendere le distanze da una figura globale come il papa rischia di isolare ulteriormente Israele su scala diplomatica.

Un pontefice mai ostile all'ebraismo

Il Times of Israel ha ricordato, nel giorno della morte di Francesco, che il papa era stato un nemico costante dell'antisemitismo. Lo aveva definito "incompatibile con la fede cristiana", aveva visitato Auschwitz e, durante il suo viaggio in Israele, era stato il primo pontefice a rendere omaggio alla tomba di Theodor Herzl, fondatore del sionismo moderno. Nel corso del suo pontificato, Francesco ha tuttavia mantenuto rapporti aperti con la comunità ebraica e ha sempre ribadito il diritto di Israele a esistere in sicurezza. Ha evitato però di legittimare automaticamente le sue scelte militari; questa differenza tra sostegno al popolo israeliano e critica allo Stato ha provocato, con il passare del tempo, una frattura sempre più visibile nei rapporti tra il Vaticano e il governo Netanyahu.

La morte di papa Francesco segna dunque un momento di bilancio nei rapporti tra Israele e la Santa Sede: l'assenza di parole da parte del governo Netanyahu non sarebbe solo una questione protocollare, ma la conferma di una distanza politica e culturale. Il prossimo papa erediterà anche questa tensione e dovrà decidere se proseguire lungo il percorso tracciato da Bergoglio, o se cercare una nuova strada nei rapporti con lo Stato ebraico. Intanto, la mancata partecipazione di Israele ai funerali del pontefice resta un segnale preciso. Non solo per il Vaticano, ma per l’intera comunità internazionale.

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