Migliaia di razzi, originati dalla Striscia di Gaza, hanno colpito le città del centro e del sud di Israele, con Gerusalemme e Tel Aviv – i due cuori pulsanti del Paese – tra i principali obiettivi.
Ma l'assalto non si è limitato ai cieli. Decine di guerriglieri palestinesi, in una mossa audace, si sono infiltrati nelle comunità del sud di Israele via terra, mare e aria, trasformando le strade delle comunità israeliane di confine in vere e proprie zone di guerra. La portata della devastazione è stata sconcertante. Centinaia di israeliani hanno perso la vita e il numero dei feriti ha superato quota mille nella serata di ieri.
In mezzo al caos, le Forze Armate israeliane (IDF – Forze di Difesa Israeliane) hanno perso anche il controllo di una base militare al confine con Gaza e del valico di Erez, un importante punto di passaggio tra Israele e la Striscia di Gaza.
Solo nel corso della serata, dopo mezza giornata di combattimenti intensi, il portavoce dell'IDF ha annunciato che l'esercito era riuscito a riprendere il controllo almeno di una parte delle comunità al confine con Gaza, precedentemente infiltrate dai militanti di Hamas, sebbene i combattimenti stessero ancora continuando. Tuttavia, l'esercito ha dovuto anche ammettere la preoccupante notizia che un numero "imprecisato" di civili e militari israeliani è nelle mani di Hamas, e sono tenuti in ostaggio nella Striscia di Gaza, diverse decine secondo fonti palestinesi.
A tendere si tratta di un problema politico enorme per Israele. Un alto funzionario di Hamas ha infatti già fatto sapere che il movimento islamista potrebbe usare questi ostaggi nelle sue mani per cercare di ottenere la liberazione dei detenuti nelle carceri israeliane.
Il governo israeliano si potrebbe trovare dunque presto di fronte ad una difficile situazione: rischiare la vita di questi ostaggi o liberare guerriglieri e terroristi dalle carceri? Ma prima di allora, nel futuro immediato, all’orizzonte si vede purtroppo scorrere solo altro sangue.
La prima risposta israeliana all’attacco di Hamas
"Israele è in guerra". Con queste parole dirette, il Primo Ministro Benjamin Netanyahu, durante una riunione cruciale con il gabinetto di sicurezza, ha risposto a caldo agli attacchi avvenuti, manifestando con chiarezza e determinazione la posizione del Paese di fronte a questo attacco senza precedenti, e sottolineando la differenza con le operazioni passate.
Netanyahu, in particolare, ha dichiarato: "Questa non è una delle cosiddette operazioni militari che abbiamo visto in passato. Ci troviamo di fronte a una sfida completamente nuova". Il suo messaggio è stato chiaro: garantire sicurezza e tranquillità alle città attaccate è la priorità assoluta di Israele.
In serata, in una dichiarazione rilasciata televisione, Netanyahu ha poi ribadito che la risposta sarà decisa e veloce, affermando che Israele userà “tutta la sua forza militare per distruggere Hamas” e si “vendicherà di questo giorno buio”. Ha inoltre lanciato un avvertimento alla popolazione palestinese di Gaza, sottolineando le possibili ripercussioni se Hamas continuerà ad utilizzare aree densamente popolate come basi operative e chiedendo loro di allontanarsi il prima possibile.
L'esercito israeliano ha prontamente risposto agli attacchi, lanciando sin dal primo pomeriggio di ieri una serie di devastanti attacchi aerei contro le postazioni di Hamas nella Striscia di Gaza, abbattendo anche la Torre di Palestina nel centro di Gaza City. Il prezzo in termini di vite umane è stato immediatamente elevato, con fonti palestinesi che riferiscono un bilancio pesante: centinaia di morti e quasi duemila feriti in poche ore.
In serata, sono inoltre apparsi video che mostrano una lunga fila di carri armati che si muovono verso il confine con la Striscia di Gaza. Questa mossa suggerisce che una possibile offensiva di terra da parte israeliana potrebbe essere imminente, segnando l'inizio di una fase ancora più intensa e sanguinosa del conflitto.
La durezza della risposta israeliana è direttamente collegata alla brutalità delle azioni di Hamas. L’attacco di ieri ha infatti raggiunto livelli di ferocia raramente visti in precedenza.
Il Medio Oriente, purtroppo, ha già offerto in passato immagini di disperazione e terrore. Tuttavia, le testimonianze provenienti ieri dalle comunità israeliane al confine con Gaza hanno suscitato uno shock insolito persino da queste parti per la brutalità delle violenze commesse. I video che circolano in rete, molti dei quali sono stati verificati da organizzazioni indipendenti, mostrano scene sconcertanti.
Si vedono immagini di persone con gole tagliate nelle proprie case, vittime innocenti giacenti sulle strade dopo essere state brutalmente uccise ai piedi delle proprie auto con colpi di arma da fuoco, donne vittime di aggressioni, picchiate e portate via con la forza verso destinazioni sconosciute nella Striscia di Gaza. Una delle scene più agghiaccianti ritrae una donna, apparentemente senza vita e semi-nuda, trascinata per le strade di Gaza su una camionetta piena di militanti come se fosse un trofeo di guerra.
In questo contesto, ciò che ulteriormente preoccupa osservatori e analisti è la decisione di Hamas di non solo perpetrare questi atti, ma anche di documentarli e diffonderli. I militanti hanno pubblicato con orgoglio queste scene sui propri canali social, utilizzandole sia come strumento di propaganda, sia come messaggio intimidatorio rivolto alla comunità internazionale.
Questo comportamento suggerisce una determinazione da parte di Hamas a perseguire i propri obiettivi senza alcuna considerazione per le norme umanitarie internazionali.
Qual è la vera strategia di Hamas?
In contesti di conflitti internazionali, le percezioni possono influenzare profondamente le reazioni e le politiche.
Mentre l‘Occidente ha percepito l'attuale escalation come un atto di violenza senza precedenti, nel mondo arabo è stata vista da molti come una risposta, seppur estrema, alle azioni provocatorie perpetrate da parte di Israele nei territori occupati e contro i luoghi sacri dell’Islam a Gerusalemme, in particolare la moschea di Al-Aqsa, il terzo luogo sacro dell’Islam.
Ciò è evidenziato anche dalla reazione ufficiale di alcuni Paesi del Golfo Persico. Nonostante i recenti tentativi di avvicinamento a Israele, alcuni di questi Paesi non hanno esitato ieri a criticare Israele, affibbiandogli sostanzialmente la colpa dell'attuale crisi. Tra gli altri, l’Arabia Saudita e il Qatar hanno sottolineato proprio le recenti azioni delle autorità israeliane come possibili cause scatenanti le violenze perpetrate ieri.
Dal punto di vista palestinese, è cruciale invece la percezione di Hamas. In una realtà in cui qualsiasi forma di resistenza può essere vista come un simbolo di opposizione, le brutalmente efficaci azioni di Hamas finiranno inevitabilmente per rafforzare la sua immagine tra i palestinesi. Nel corso degli anni, Hamas è stata già in grado di costruire una narrativa in cui si presenta come difensore dei palestinesi contro Israele e posizionarsi, in questo modo, come un protagonista chiave della regione.Questa visione è rafforzata dalle percepite carenze dell'Autorità Nazionale Palestinese (ANP), rivale di lunga data di Hamas, che per molti palestinesi appare sempre più incapace di affrontare le sfide poste da Israele.
In contesti di conflitti protratti come quello israelo-palestinese, è cruciale anche comprendere le motivazioni e le strategie delle parti in causa. La nuova escalation di violenza da parte di Hamas solleva perciò una domanda significativa: quale potrebbe essere la reale strategia dietro queste azioni?
Alcuni esperti di Medio Oriente suggeriscono che una dimostrazione di violenza di tale entità potrebbe chiaramente riflettere la frustrazione e la rabbia repressa della popolazione palestinese verso l'occupazione israeliana. Tuttavia, atti così brutali e violenti come quelli che abbiamo visto in mondovisione rischiano indubbiamente di danneggiare la causa palestinese sul palcoscenico internazionale: la solidarietà internazionale verso i palestinesi rischia, infatti, di essere offuscata dalla percezione estremamente negativa delle brutali azioni di Hamas.
Anche per questo motivo, diversi osservatori ritengono che l'obiettivo di Hamas potrebbe non essere tanto quello di guadagnare appoggio internazionale per la causa palestinese, quanto piuttosto un altro: aumentare il livello di violenza per ridurre al lumicino le prospettive di pace con l’ANP, e porre Israele di fronte al bivio di trattare con Hamas alle sue condizioni o rischiare sempre più episodi di violenza di questo tipo.
È sempre più probabile, dunque, che Hamas stia attivamente perseguendo una strategia di scontro diretto con Israele, mettendo così a repentaglio nel processo non solo il futuro pacifico in Medio Oriente, ma anche la sicurezza stessa dei civili israeliani e palestinesi, come stiamo ben vedendo in queste tragiche ore.
Cui prodest?
In risposta all’attacco di ieri, in molti si sono immediatamente chiesti chi potrebbe trarre beneficio da tale escalation. Come avviene spesso in questi casi, Internet è diventato un caleidoscopio di teorie di ogni tipo: mentre alcuni vedono l'ombra della Russia, altri indicano l'Iran come un potenziale burattinaio. Ma data l'attuale guerra in corso tra Russia e Ucraina, sembra poco probabile che Mosca voglia complicare ulteriormente il suo quadro internazionale. D'altro canto, l'Iran, invece, non ha fatto mistero del suo aperto sostegno all'azione di Hamas contro Israele.
L'attacco ha anche messo in ombra i recenti tentativi degli Stati Uniti di mediare un riavvicinamento tra Israele e l'Arabia Saudita. Un tale accordo avrebbe quasi certamente previsto concessioni significative per i palestinesi, ma ora questa eventualità sembra allontanarsi. A peggiorare le cose, c’è il fatto che la reazione saudita post-attacco di ieri indichi in maniera palese quanto l'idea di una normalizzazione sia nei fatti ancora lontana.
Nel panorama geopolitico che si sta delineando, l'Iran sembra dunque emergere come il vero vincitore di questa mossa a sorpresa da parte di Hamas, in quanto non solo ha visto sfumare un potenziale accordo tra i due suoi principali avversari regionali, ma ha anche osservato con piacere l'instabilità crescente in Israele. Allo stesso tempo, dall’altra parte dell’Oceano, la Casa Bianca, con Joe Biden alla guida, affronta ulteriori complicazioni.
Già in difficoltà su diversi fronti politici interni, come la recente instabilità politica legata alla estromissione di Kevin McCarthy dalla posizione di Speaker della Camera che ha messo in stallo il Congresso ed i sondaggi che lo vedono a serio rischio rielezione, Biden ora deve anche navigare in queste acque tempestose in Medio Oriente. La speranza di un accordo tra Israele e l'Arabia Saudita era vista come una potenziale vittoria diplomatica ed economica da parte di Biden, data la possibile implicazione anche sul cruciale aumento saudita della produzione di petrolio in cambio del supporto americano. Ma gli eventi drammatici di ieri hanno cambiato completamente il quadro in cui ci si sta muovendo.
Inoltre, sebbene la stragrande maggioranza del Congresso, sia democratici che repubblicani, abbiano espresso inequivocabile sostegno ad Israele, tra le righe sono emerse alcune critiche dirette alla Casa Bianca. Alcuni esponenti repubblicani di primo piano, incluso l'ex presidente Trump, hanno suggerito, infatti, un collegamento tra un recente accordo finanziario con l'Iran in cambio della liberazione dei detenuti americani e gli attacchi di ieri.
La Casa Bianca ha prontamente respinto queste affermazioni, sottolineando che i fondi destinati all'Iran sono vincolati all'acquisto di beni essenziali come cibo e farmaci e non sono stati ancora stanziati. Tuttavia, questa è l’ennesima dimostrazione di quanto sia spinosa la situazione per Biden ed il suo team e come qualsiasi passo di Biden possa avere ripercussioni anche interne.
In risposta alle critiche, il presidente Biden ha quindi rilasciato una dichiarazione in serata dalla Casa Bianca, ribadendo il sostegno incrollabile degli Stati Uniti ad Israele e lanciando un chiaro avvertimento all'Iran e ad Hezbollah di non intervenire per peggiorare una situazione già di per sé molto esplosiva.
Un eclatante fallimento dell’intelligence israeliana
L’attacco di Hamas ha gettato una luce cruda anche sulle capacità dell'intelligence israeliana, sollevando domande sulla sua preparazione di fronte a una minaccia di questa entità. La comunità dell’intelligence israeliana si è trovata, evidentemente, del tutto impreparata di fronte all'aggressività mostrata da Hamas. La sorpresa e la portata dell'offensiva hanno messo in evidenza dinanzi al mondo la vulnerabilità di Israele, soprattutto alla luce delle tensioni interne scatenate da una controversa riforma giudiziaria proposta dal governo Netanyahu.
Questa riforma ha, infatti, portato ad ampie divisioni politiche, culminate in manifestazioni che vanno avanti da decine di settimane con centinaia di migliaia di partecipanti ed uno sciopero dei riservisti, che rappresentano un elemento fondamentale delle Forze di Difesa Israeliane.
Le domande che già emergono ora sono: queste divisioni interne hanno distratto dalle minacce esterne? E quanto ha influito la crisi politica interna nella lacunosa risposta iniziale all'attacco di Hamas? Questi temi saranno probabilmente centrali nel post-conflitto.
Ma in termini immediati, come avviene in qualsiasi momento di grave crisi, le nazioni tendono a unirsi dietro la propria leadership. Non sorprende quindi che sia stata avanzata da Netanyahu ai leader dell’opposizione Yair Lapid e Benny Gantz una proposta per formare un governo di unità nazionale. Questa mossa potrebbe chiaramente rafforzare la risposta israeliana nel breve termine. Tuttavia, una volta superato lo shock iniziale, gli israeliani inevitabilmente finiranno per chiedersi perché, sotto la guida di Netanyahu, il Paese abbia subito un attacco di tale portata e cosa non abbia funzionato nei sistemi di sicurezza.
La tempesta politica che si profila all'orizzonte potrebbe, dunque, rappresentare un cruciale punto di svolta per Israele che determinerà probabilmente non solo il futuro politico di Netanyahu, ma il corso stesso della politica israeliana e del Medio Oriente in generale.