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Conflitto Israele-Palestina e in Medio Oriente

Cosa c’è dietro il boicottaggio di Al Jazeera da parte di Israele

La decisione di chiudere il canale in Israele è arrivata mentre al Cairo erano in corso difficili colloqui per arrivare a un cessate il fuoco tra Hamas e autorità israeliane con la mediazione di Egitto, Qatar e Stati Uniti. E di sicuro mettere al bando al-Jazeera ha contribuito non poco a complicare uno scenario già molto teso.
A cura di Giuseppe Acconcia
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“Sospesa in Israele”. Questa è la frase che si legge sugli schermi israeliani quando ci si sintonizza sul canale del Qatar al-Jazeera in arabo e in inglese. La decisione di chiudere a Tel Aviv, per almeno 45 giorni, il canale e il sito internet, è arrivata domenica dopo l'approvazione all'unanimità, lo scorso primo aprile, da parte del parlamento israeliano (Knesset) della nuova legge che ha dato il disco verde al governo per chiudere il canale satellitare in Israele.

Da mesi vanno avanti nel paese proteste anti-governative che chiedono le dimissioni del premier, Benjamin Netanyahu, e elezioni anticipate. Subito dopo l'annuncio del bando, in un raid negli uffici di al-Jazeera in un hotel di Gerusalemme Est, la sicurezza nazionale israeliana ha sequestrato e danneggiato l'equipaggiamento in dotazione dell'ufficio locale del canale.

Il bando di al-Jazeera non riguarderà la Striscia di Gaza e la Cisgiordania, nei territori controllati dalle fazioni palestinesi. Le Nazioni Unite su X hanno duramente criticato la decisione israeliana. “Media liberi e indipendenti sono essenziali per assicurare trasparenza. Chiediamo al governo di revocare la chiusura”, si legge nella nota.

Le ragioni politiche

La decisione di chiudere il canale in Israele è arrivata mentre al Cairo la scorsa domenica erano in corso difficili colloqui per arrivare a un cessate il fuoco tra Hamas e autorità israeliane con la mediazione di Egitto, Qatar e Stati Uniti. E di sicuro la decisione di mettere al bando al-Jazeera ha
contribuito non poco a complicare uno scenario già molto teso in vista della ripresa dei colloqui, martedì, mentre Israele e Hamas si sono divise su consegna degli ostaggi nelle mani del movimento che governa Gaza, rilascio dei prigionieri politici palestinesi e sulla durata della tregua.

Secondo la Foreign Press Association, si è trattato di un giorno nero per la libertà di informazione in Israele. Al-Jazeera è uno dei pochi canali ancora presenti con i suoi giornalisti a Gaza e ha mantenuto un approccio critico verso le operazioni israeliane nei territori palestinesi per tutta la durata del conflitto che va avanti da sette mesi, dopo gli attacchi di Hamas del 7 ottobre 2023, che hanno causato 1200 morti. Per Israele invece, al-Jazeera rappresenta una “minaccia alla sicurezza nazionale”, come hanno dichiarato le autorità di Tel Aviv.

Il canale satellitare viene considerato come vicino all'islamismo politico che ha conquistato il potere in molti paesi della regione dalla Turchia del presidente, Recep Tayyip Erdogan, al Qatar di Tamim al-Thani, ma che estende la sua influenza fino al governo di unità nazionale libico di Abdel Hamid Dbeibah a Tripoli, del movimento Hamas che governa la Striscia di Gaza, e coinvolge i movimenti della Fratellanza musulmana nel mondo.

Dopo le Primavere arabe del 2011 sono fioriti in Nord Africa e in Medio Oriente una quantità significativa di media indipendenti e alternativi, o iniziative di citizen journalism, che hanno raccontato dal basso le mobilitazioni anti-governative. Molti di questi esperimenti sono stati poi censurati e banditi, o messi sotto controllo da parte delle autorità locali. E così oggi è rimasto ben poco di quella stagione di apertura mediatica che ha attraversato la regione.

Sotto attacco prima del conflitto a Gaza

In molti contesti, i giornalisti di al-Jazeera sono rimasti tra i pochi a raccontare sul campo paesi in profondo cambiamento, dai rimanenti tra i terroristi dello Stato islamico (Isis) che continuano a tentare di riprendere il controllo di alcune aree della Siria fino al conflitto in Sudan. E così spesso i giornalisti del canale del Qatar sono diventati il simbolo della libertà di informazione per molti cittadini del Sud globale o delle comunità migranti in Europa e nel mondo. È un esempio in questo senso la giornalista di al-Jazeera, Shirin Abu Akleh, uccisa dall'esercito israeliano, nel campo profughi di Jenin l'11 maggio 2022. La giornalista è diventata subito il simbolo della resilienza dell'informazione libera che continua a narrare la guerra e l'occupazione senza cedere ai rischi di un contesto grave di conflitto.

Un'escalation che ha preso di mira i giornalisti

L'escalation che ha portato i giornalisti dell'emittente del Qatar ad essere sempre più nel mirino dell'esercito israeliano è arrivata con lo scoppio della guerra del 7 ottobre. Al-Jazeera ha accusato le autorità israeliane di aver deliberatamente colpito e ucciso vari giornalisti, tra cui Samer Abu Daqqa e Hamza Al-Dahdouh, a Gaza.

Nel frattempo, molti altri giornalisti e le loro famiglie sono stati minacciati, costretti a usare pseudonimi o a lasciare la loro terra. E così non soltanto i giornalisti di al-Jazeera sono stati presi di mira da parte israeliana. Secondo il Comitato per la protezione dei giornalisti, sono 97 i giornalisti e gli operatori dei media, uccisi nel conflitto. Alcuni media indipendenti, come al-Monitor, indicano le perdite (138) per la stampa nella guerra in corso a Gaza con numeri ancora più alti.

Hasbara 2.0

In altre parole, l'attacco alla stampa farebbe parte di un più generale tentativo di mettere il bavaglio all'informazione critica verso Israele usando la così detta hasbara. Se inizialmente il termine indicava una forma di “diplomazia pubblica” che perorasse la causa israeliana nel mondo, con il
tempo questa strategia ha assunto il significato di favorire la “propaganda pro-Israele”, controllando i mezzi di informazione, come spiega l'antropologa, Miriyam Aouragh, in Hasbara 2.0: Israel's Public Diplomacy in the Digital Age.

E così Israele ha spesso accusato i giornalisti di al-Jazeera, uccisi nel conflitto, di non appartenere alla stampa ma di essere dei veri e propri “terroristi”. Nel dicembre 2023, il caposervizio di al- Jazeera, Wael al-Dahdoub, è stato ferito in un raid israeliano che ha ucciso il suo cameraman. Sua moglie, due suoi figli e il nipote sono stati uccisi lo scorso ottobre in un bombardamento del campo profughi di Nuseirat nel centro della Striscia di Gaza. Il figlio maggiore di al-Dahdoub, anche lui giornalista di al-Jazeera, è stato ucciso in un attacco che ha colpito la sua vettura a Rafah lo scorso gennaio.

Come se non bastasse, a gennaio e febbraio scorsi ha perso la vita a Gaza un giornalista freelance del canale mentre un altro è rimasto gravemente ferito in un raid israeliano. A quel punto, al-Jazeera ha accusato Israele di voler colpire sistematicamente i giornalisti del gruppo.

I precedenti attacchi al canale del Qatar

La stessa censura nei confronti del canale del Qatar e le accuse di diffusione di “notizie false” e di alimentare il terrorismo erano state mosse dalle autorità egiziane nel 2013. Da quel momento, dopo il colpo di stato militare di al-Sisi, al-Jazeera è stata messa al bando in Egitto e i suoi uffici sono stati perquisiti, messi sotto sopra dalle autorità militari egiziane, e infine chiusi. La colpa del canale in quel caso è stata quella di aver coperto giorno dopo giorno l'occupazione di Rabaa al-Adaweya al Cairo, in cui si erano raccolti i sostenitori dell'ex presidente egiziano, Mohammed Morsi, costretto a lasciare il potere il 3 luglio 2013.

Per anni sono andati avanti i processi contro i giornalisti del gruppo al Cairo. Il più noto ha coinvolto il giornalista egiziano-canadese, Mohammed Fahmy, e l’australiano Peter Greste, mentre è arrivata a stretto giro la condanna a dieci anni del giornalista, Baher Mohammed. La decisione di mettere al bando al-Jazeera in Israele rientra nel progetto più generale perseguito dalle autorità israeliane di mettere a tacere tutte le voci critiche nei confronti dei massacri commessi da Israele a Gaza, costati fin qui la vita ad almeno 34mila palestinesi, soprattutto donne e bambini.

Tuttavia, non è una novità che la televisione del Qatar venga messa al bando. Era successo lo stesso al Cairo per reprimere tutte le voci libere emerse dopo le proteste di piazza del 2011. Questa volta però la decisione senza precedenti di Israele, oltre a rappresentare un attacco senza precedenti alla libertà di stampa, potrebbe mettere a dura prova i colloqui per il cessate il fuoco in corso al Cairo. Esasperando le divisioni tra governo israeliano e Hamas, e aggravando le tensioni con il Qatar, uno dei principali mediatori nel conflitto e sede del quartier generale di al-Jazeera.

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Giuseppe Acconcia è giornalista professionista e docente. Insegna Stato e Società in Nord Africa e Medio Oriente all’Università di Milano e Geopolitica del Medio Oriente all’Università di Padova. Dottore di ricerca in Scienze politiche all’Università di Londra (Goldsmiths), è autore tra gli altri de “Taccuino arabo” (Bordeaux, 2022), “Le primavere arabe” (Routledge, 2022), Migrazioni nel Mediterraneo (FrancoAngeli, 2019), Il grande Iran (Padova University Press, 2018).
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